Dal punto di vista teologico, gli sciiti zaiditi si differenziano dai duodecimani dell’Iran. Tuttavia, la Rivoluzione islamica del 1979 e l’ascesa del movimento houthi li hanno avvicinati. Una breve storia

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:30

Questo testo è un estratto, adattato in alcune sue parti, di Eleonora Ardemagni, The Huthis: Adaptable Players in Yemen’s Multiple Geographies, Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato dell’Università Cattolica di Milano – CRiSSMA, Working paper n. 25/2019, EDUCatt, Milano 2019, pp. 31-39.

 

L’élite religiosa zaidita è costituita dai sāda (sing. sayyid), che rivendicano una discendenza diretta dal profeta Muhammad (hashemiti[1]) e porterebbero, soprattutto agli occhi delle tribù zaidite, questa benedizione (baraka) alla comunità[2]. La famiglia al-Houthi è un gruppo sciita zaidita: sono sāda e appartengono allo strato sociale hashemita. Pertanto, il termine “Houthi” è innanzitutto il cognome di una famiglia, dal nome del suo fondatore Husayn al-Houthi, solo successivamente è stato utilizzato per designare il movimento. La regione di Saʻda è sempre stata il feudo degli Houthi (Marran è la loro prima casa); gli antenati dei sāda di Saʻda venivano dall’Hijāz (Arabia Saudita), dall’Iraq e dall’Iran. L’élite sciita zaidita ha governato sotto la bandiera dell’imamato (imāma, il governo dell’imam) lo Yemen settentrionale dall’897 al 1962, anno della rivoluzione repubblicana a partire dal quale gli zaiditi non hanno più avuto un imam. Imam (letteralmente “la guida”) è un termine polisemico: indica colui che guida la preghiera nella moschea, il capo della comunità islamica, i dodici imam infallibili dello sciismo duodecimano e, più in generale, una persona con un ruolo politico-religioso importante.

 

Lo zaidismo ha delle caratteristiche proprie che lo distinguono dagli altri rami dello sciismo come il ja‘farismo (la scuola giuridica seguita dagli sciiti duodecimani), diffuso principalmente in Iran, Libano, Iraq, Bahrain, Kuwait e Arabia Saudita. I ja‘fariti, per esempio, riconoscono dodici imam (il dodicesimo è il mahdī occultato) e hanno un clero. Inoltre, gli zaiditi hanno mutuato dai sunniti shafi‘iti alcuni riferimenti teologici, che li rendono piuttosto differenti rispetto ai duodecimani. Generalmente, infatti, gli zaiditi riconoscono la legittimità dei primi quattro califfi. Il sincretismo, più che il dogmatismo, caratterizza l’elaborazione dottrinale zaidita che, in epoca moderna, ha assorbito anche idee compatibili con il marxismo come la giustizia sociale. Secondo gli zaiditi, l’imam dev’essere fisicamente presente all’interno della comunità politica e deve essere un sayyid: questo è un altro punto di divergenza con i ja‘fariti. La dottrina zaidita sottolinea la necessità del governo giusto dei sāda, i quali esercitano il controllo sugli affari religiosi e sociali. L’imamato è un contratto politico: la successione ereditaria è praticata ma non istituzionalizzata[3]. Al contempo, lo zaidismo consente il khurūj, cioè la ribellione contro un governante ingiusto, accentuando la distanza dalla posizione quietista delle altre sette sciite, come il ja‘farismo. Nel 1990 alcuni ‘ulamā’ zaiditi hanno firmato un manifesto chiedendo l’abolizione dell’imamato per via del mutato contesto storico. Secondo molte interpretazioni, infatti, gli zaiditi sostengono il primato della ragione sulla tradizione (al-‘aql qabl al-naql), visto anche il loro rapporto con la scuola teologica mu‘tazilita, promossa e studiata dalla zaydiyya, che enfatizza il ruolo dell’argomento razionale nel discorso religioso e autorizza l’ijtihād (lo sforzo ermeneutico) come metodo di lettura del testo sacro. In risposta al manifesto, alcune voci della comunità zaidita yemenita si sono aperte al sunnismo cercando dei possibili punti di convergenza e facendo riferimento alle scuole di giurisprudenza sunnita per contestare l’autorità giuridico-razionale dell’imam (marja‘iyya), come ha fatto Muhammad al-Shawkani (1760-1834)[4]. Infine, a differenza dei duodecimani, gli zaiditi non praticano la dissimulazione della fede in caso di pericolo (inkār al-taqiyya) e non credono nel ritorno del Mahdī attualmente occultato, che è invece il pilastro del ja‘farismo.

 

Dal punto di vista sociale, i sāda si collocano al vertice della gerarchia di Sa‘da, seguiti dai giudici (qudāt, sing. qādī) e dai qabilī (gli uomini delle tribù)[5]. Tuttavia, la rivoluzione del 1962 ha modificato gli equilibri sociali. Durante la guerra civile (1962-70) combattuta tra i sostenitori dell’imamato, appoggiati dall’Arabia Saudita, e i rivoluzionari pro-repubblicani, sostenuti dall’Egitto, l’élite religiosa di Sa‘da si è opposta alle forze repubblicane ma ha perso. Dal punto di vista regionale, la “Guerra fredda araba” combattuta indirettamente tra sauditi ed egiziani ha avuto il suo epicentro nel nord dello Yemen[6]. All’epoca, i sāda avevano ruoli apicali nell’esercito dell’imam. Successivamente, la maggior parte degli sciiti zaiditi, tra cui molti sāda, avrebbe accettato il nuovo Stato repubblicano. Tuttavia, a partire dal 1970 la Repubblica Araba dello Yemen (YAR), creata sul modello nasseriano, ha emarginato i sāda, che godevano di una certa autonomia territoriale e avevano sviluppato delle reti economiche parallele (armi, macchine, qat), anche con i clan tribali dell’Arabia meridionale. Il regime repubblicano invece ha promosso una politica di cooptazione neo-patrimoniale nei confronti dei qabilī di Sa‘da, allontanandoli progressivamente dalle loro basi tribali. Durante la presidenza di Qadi ‘Abd Al-Rahman Al-Iryani (1967-74), molti shuyūkh (capi tribali, sing. shaykh) del nord sono stati nominati capi delle brigate dell’esercito regolare, diventando noti come “shaykh colonnelli”[7].

 

Il successivo presidente Ali Abdullah Saleh (1978-2011) ha proseguito le politiche militari di Al-Iryani nei confronti delle tribù dell’altopiano settentrionale, oltre a favorire i sanhani (da Sanhan, il clan tribale di Saleh, che appartiene alla confederazione tribale degli Hashid) all’interno dell’esercito. Saleh inoltre ha nominato alcuni suoi parenti in posizioni apicali, limitando così il ruolo dei capi tribali settentrionali negli alti ranghi dell’esercito, come strategia per prevenire i colpi di Stato. Durante le sei guerre di Sa‘da (2004-10) combattute tra gli houthi e le forze governative, gli “shaykh colonnelli” hanno guidato le milizie tribali che hanno combattuto a fianco dell’esercito regolare contro gli houthi, mettendo così in evidenza il modello ibrido di governo securitario costruito dal regime[8]. Inoltre, questo tipo di politica ha generato affiliazioni multiple: molti combattenti erano allo stesso tempo zaiditi, soldati e abitanti della regione di Sa‘da. La riunificazione dello Yemen, avvenuta nel 1990, ha favorito un maggiore coinvolgimento degli zaiditi nelle politiche di partito. Data la funzione clientelare dei partiti yemeniti, il GPC (Congresso Generale del Popolo) guidato da Saleh, e l’Islah (abbreviazione araba della Congregazione Yemenita per la Riforma, partito che comprende la Fratellanza Musulmana yemenita e parte dei salafiti) hanno incluso un numero considerevole di zaiditi. Tuttavia, solo due partiti facevano riferimento esplicito alla tradizione zaidita: l’Unione delle Forze Popolari (UPF), fondata nel 1962, e Hizb al-Haqq (Partito della Verità), creato nel 1990. All’interno di quest’ultimo, Husayn al-Houthi ha organizzato il movimento della Gioventù Credente (al-Shabāb al-Mu’minīn), ala di Hizb al-Haqq fino alla rottura del 1997, anno in cui al-Houthi ha lasciato il partito. Questo movimento è stato capace di tradurre il discorso teologico della rinascita zaidita nell’educazione, negli studi culturali e nell’attivismo sociale, esperienze che hanno spianato la strada alla nascita del movimento houthi.

 

La rinascita dello sciismo zaidita. Come il movimento houthi ha riportato al centro la tradizione zaidita

 

A partire dagli anni ’70 Badr al-Din al-Houthi, padre di Husayn e importante chierico di Sa‘da, ha incoraggiato la rinascita zaidita contro le influenze wahhabite: aveva studiato in Iran, alla hawza (seminario sciita) di Qom (1994-97), dove aveva approfondito la scuola di pensiero jarudita – l’approccio zaidita più vicino allo sciismo duodecimano. Per gli houthi, la principale eredità della rivoluzione islamica iraniana è il messaggio anti-imperialista sviluppato dal khomeinismo, anziché il suo nucleo teologico. La teoria del velāyat e-faqih (il governo dei giureconsulti), estesa dall’ayatollah Ruhollah Khomeini alla sfera politica, ha creato involontariamente un ponte dottrinale tra lo sciismo duodecimano (con una tradizione quietista) e lo zaidismo (che crede in un imam impegnato nella comunità e consente il khurūj). Lo zaidismo dello Yemen e il ja‘farismo dell’Iran sono originariamente distanti, ma la politicizzazione dei duodecimani dopo il 1979 insieme all’assenza di un imam zaidita hanno contribuito ad accorciare le distanze.

 

A partire dagli anni ’80, la “purezza ideologica” zaidita è minacciata da un insieme di fattori esterni: ciò favorisce il movimento di rinascita zaidita di Husayn al-Houthi. Innanzitutto, il nuovo Stato yemenita, pur non essendo fondato sul confessionalismo, aveva bisogno di una narrativa religiosa condivisa, capace di unire i diversi gruppi di interesse e rafforzare la legittimità interna dello Stato. Per questa ragione, a partire dal 1990, il regime ha cercato di costruire un discorso repubblicano in grado di integrare e, allo stesso tempo, neutralizzare, alcune rivendicazioni zaidite come l’imamato. Il regime guidato da Saleh ha cercato di assimilare lo zaidismo nella sfera repubblicana, promuovendo un processo di “modernizzazione dall’interno”.

 

Anche la strategia di “sunnizzazione” ha una funzione e un obiettivo politico moderno, volti a promuovere una convergenza di identità tra lo zaidismo e lo shafiʻismo. Ciò è possibile enfatizzando il ruolo degli hadīth anziché quello della giurisprudenza (fiqh), dando così rilievo alle voci dei religiosi zaiditi aperti alla dottrina sunnita. In secondo luogo, la “sunnizzazione” è stata incoraggiata da Riad: dagli anni ’70 l’Arabia Saudita ha sostenuto la diffusione del salafismo nel nord dello Yemen per contrastare la zaydiyya lungo i confini sauditi, finanziando l’apertura di istituti scientifici (ma‘āhid ‘ilmiyya) educativi gestiti da salafiti nel cuore del territorio zaidita. Il salafismo è anche un modo per consolidare lo status quo presente nello Yemen settentrionale, che emargina i sāda[9]. La tradizionale divisione sociale tra i sāda e i qabilī ha assunto toni confessionali nel momento in cui molte tribù, tra cui un numero consistente di militari delle brigate settentrionali e di milizie tribali alleate con il governo, hanno aderito al pensiero salafita. Denunciando la diluizione dell’identità zaidita alla luce della convergenza shafiʻita-zaidita, Husayn al-Houthi (1959-2004), che è stato parlamentare dell’Hizb al-Haqq (1993-1997) e leader della “Gioventù Credente”, ha lasciato il partito nel 1997 per fondare il movimento houthi (2001). Gli houthi (al-hūthīyyūn) sono noti anche come “movimento Houthi” (al-haraka al-hūthīyya) e “partigiani di Houthi” (Ansār al-Hūthī). I suoi sostenitori si definiscono anche Ansār Allah/Ansarullah, partigiani di Dio.

 

Lo slogan degli houthi (noto come al-shi‘ār, il grido) fu inventato nel 2000 come reazione alla Seconda Intifada di Israele, ma è stato urlato pubblicamente per la prima volta solo nel gennaio 2002 per denunciare l’allineamento della politica estera di Saleh con la guerra al terrore americana. Durante una conferenza tenutasi presso la madrasa Imam Al-Hadi, nel distretto di Marran (provincia di Sa‘da), Husayn al-Huthi ha invitato i militanti a ripetere «Dio è grande! Morte all’America! Morte a Israele! Siano maledetti gli ebrei! Vittoria per l’Islam!», slogan che in breve tempo è diventato la firma dell’enigmatica ribellione degli houthi[10]. Come emerge chiaramente da questo episodio simbolico, al-Houthi ha dato un forte messaggio politico alle rivendicazioni del movimento, adottando un approccio conflittuale nei confronti del governo e dei suoi alleati internazionali. Il primo oggetto pubblico di contesa tra gli houthi e il governo è stata la politica estera, più che le politiche sociali. Dal punto di vista teorico, “l’indeterminatezza dottrinale” dei discorsi di al-Houthi ha favorito la nascita di un’ideologia vaga e flessibile, che ha assicurato al movimento «un margine di manovra e di adattamento, senza fargli perdere la credibilità»[11]. Questo si rivelerà essere una risorsa in un contesto yemenita caratterizzato da alleanze mutevoli e geografie multiple. A livello sociale, Husayn al-Houthi ha favorito le alleanze matrimoniali tra famiglie di sāda e qabilī, nonostante queste appartenessero a lignaggi diversi, adottando una vera e propria politica matrimoniale. I quattro matrimoni di suo padre Badr al-Din, avvenuti nel corso di diversi decenni, non solo hanno generato una famiglia multigenerazionale (con fratelli appartenenti a generazioni diverse), ma sono anche un esempio di famiglia ibrida in cui si intersecano diversi lignaggi[12]. Queste scelte interclassiste hanno prodotto reti di mutuo sostegno capaci di superare le stratificazioni sociali e unire i centri geografici rivali degli altopiani settentrionali, consentendo al movimento houthi di ampliare il proprio raggio di azione oltre i feudi tradizionali[13]. Per esempio, Husayn al-Houthi era solito riscuotere la zakāt (elemosina rituale) a Sa‘da[14]. Dal punto di vista dottrinale, egli ha optato per un approccio dogmatico e rigoroso al Testo Sacro, limitando così gli spazi per il dialogo teologico e la contaminazione con il sunnismo.

 

A livello culturale, il movimento houthi ha importato molte celebrazioni e pratiche dallo sciismo duodecimano, come la celebrazione dell’‘Āshūraʼ (festa del sacrificio) in stile iraniano organizzata dal 2012 nei governatorati di Sana‘a (al-Jiraf) e la commemorazione della rivoluzione islamica[15]. Di fatto Husayn al-Houthi ha rimesso al centro la tradizione zaidita yemenita, spostando l’attenzione sulla politica e dando inizio a un nuovo periodo di scontro con le autorità centrali yemenite. Dal punto di vista teologico, al-Houthi ha sostenuto un approccio dogmatico allo zaidismo, mettendo l’imamato, anche come simbolo, al centro del dibattito.

 

Oltre che sulla scelta revivalista, al-Houthi si è concentrato sull’attivismo sociale e sulla militanza politica zaidita, costruendo un discorso ideologico fondato sulla posizione anti-imperialista della Rivoluzione islamica di Khomeini, nel quadro cronologico della politicizzazione dello sciismo. Al di là delle rivendicazioni generali, l’agenda degli houthi quale milizia e movimento politico resta tuttora vaga e piena di ambiguità. Gli houthi rivendicano essenzialmente l’autonomia territoriale per gli altopiani settentrionali, la libertà religiosa per la madrasa zaidita e la partecipazione alle entrate dello Stato, anche se i loro leader ribadiscono continuamente la loro fedeltà allo Stato yemenita.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oasiscenter
Abbiamo bisogno di te

Dal 2004 lavoriamo per favorire la conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani e studiamo il modo in cui essi vivono e interpretano le grandi sfide del mondo contemporaneo.

Chiediamo il contributo di chi, come te, ha a cuore la nostra missione, condivide i nostri valori e cerca approfondimenti seri ma accessibili sul mondo islamico e sui suoi rapporti con l’Occidente.

Il tuo aiuto è prezioso per garantire la continuità, la qualità e l’indipendenza del nostro lavoro. Grazie!

sostienici

 

[1] Gli hashemiti sono i discendenti arabi del profeta Muhammad attraverso sua figlia Fatima e il figlio di quest’ultima, Hasan. Essi fanno risalire le loro origini al bisnonno di Muhammad, Hashim bin ‘Abd Manaf. Uno dei loro rami è rappresentato dalla famiglia regnante in Giordania, la dinastia hashemita.

[2] I sāda yemeniti non sono solo zaiditi: nella regione meridionale dell’Hadhramaut, per esempio, vivono dei sāda sunniti (noti anche come habā’ib; sing. habīb). Nel sud dello Yemen, i sāda unirono contro i sultani locali protetti dagli inglesi.

[3] Samy Dorlian, La mouvance zaydite dans le Yémen contemporain. Une modernisation avortée, L’Harmattan, Paris 2013.

[4] Il Marja‘ al-taqlīd è la fonte di imitazione, l’autorità religiosa suprema a cui i fedeli sciiti dovrebbero far riferimento in materia di dottrina religiosa. Per al-Shawkani si veda Bernard Haykel, Revival and Reform in Islam, the legacy of Muhammad al-Shawkani, Cambridge University Press, Cambridge 2003. Vale la pena notare che al-Shawkani ha sottolineato la necessità dell’ijtihād come via per affrontare la crisi del taqlīd ed è stato un critico agguerrito delle scuole di giurisprudenza sunnita. Dopo la Rivoluzione repubblicana avvenuta nel 1962 nel nord dello Yemen, le autorità della Repubblica Araba dello Yemen hanno visto in al-Shawkani «una figura che poteva ancora unire gli yemeniti dopo la fine dell’imamato». Si veda ancora Bernard Haykel, “Al-Shawkānī and the jurisprudential unity of Yemen”, Revue des mondes musulmans et de la Méditerranée 67 (1993), 1, pp. 53-65.

[5] Muhammashīn (emarginati) è il termine adottato dalle istituzioni per sostituire la precedente nozione dispregiativa di akhdām (servi), in riferimento a un sistema di “caste” comprendente spazzini, mendicanti e yemeniti di colore.

[6] Malcom Kerr, The Arab Cold War: Gamal ‘Abd al-Nasir and His Rivals, 1958-1970, Oxford University Press, Oxford 1971.

[7] Marieke Brandt, “The Irregular of the Sa‘ada War: ‘Colonel Sheykhs’ and ‘Tribal Militias’ in Yemen’s Huthi conflict”, in Helen Lackner (ed.), Why Yemen Matters. A Society in Transition, Saqi Books, London 2014, capitolo 5.

[8] Negli ordinamenti politici ibridi «attori della sicurezza statali e non-statati convivono, collaborano o sono in concorrenza» in quanto «lo Stato e il suo monopolio della violenza sono contestati». Robin Luckham e Tom Kirk, “The Two Faces of Security in Hybrid Political Orders: A Framework for Analysis and Research”, Stability: International Journal of Security & Development, 2013.

[9] Marieke Brandt, Tribes and Politics in Yemen. A History of the Houthi Conflict, Oxford University Press, Oxford 2017, p. 348.

[10] “Allāhu akbar, al-mawt li-Amrīkā, al-mawt li-Isrā’īl, al-la‘na ‘alā-l-yahūd, al-nasr li-l-islām”.

[11] Alexander Weissenburger, “Vague and Flexible: Explaining the Houthi Movement’s Resilience”, in Eleonora Ardemagni (ed.), Trapped in War: Yemen Three Years On, Italian Institute for International Political Studies, ISPI Dossier, March 20, 2018.

[12] Barak A. Salmoni, Bryce Loidolt, Madeleine Wells, Regime and Periphery in Northern Yemen. The Huthi Phenomenon, RAND National Defense Research Institute, 2010, p. 132.

[13] Ibi, p. 37.

[14] I sunniti riscuotono la zakāt e la versano allo Stato, mentre gli sciiti la danno direttamente alla comunità religiosa.

[15] International Crisis Group, Yemen: Defusing the Saada Time Bomb, Middle East Report no. 86, maggio 2009, p. 10.

Tags