Per Papa Francesco l’unità dei cristiani è “un’esigenza essenziale della fede”

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Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 14:57:31

Segnati da millenarie divisioni, i cristiani del Medio Oriente sono sempre più consci che le persecuzioni che li colpiscono oggi possono essere anche un’occasione provvidenziale per procedere verso l’unità tanto attesa. La proposta shock del Patriarca Sako di riunire la Chiesa caldea, quella assira d’Oriente e quella antica d’Oriente, va in questa direzione. Così come l’idea di istituire una festa comune per tutti i martiri mediorientali.

 

La prima lettera pastorale del nuovo organismo ecclesiale formato dai Patriarchi Cattolici d’Oriente, edita nell’agosto del 1991 col titolo Chiese arabe, chiese vive[1], dichiarava significativamente: «In Oriente, o saremo cristiani uniti o non saremo». Vale a dire: o i cristiani sopravvivranno insieme o non sopravvivranno affatto. Da allora, molte volte questo grido di impegno e di speranza è stato richiamato in convegni inter-cristiani del Medio Oriente e sul Medio Oriente, venendo ripreso in vari documenti, con relativi commenti e attualizzazioni. Tuttavia i cristiani dell’intera regione sono sempre più consci che il momento tragico che stanno attualmente attraversando, in particolare in Siria, Iraq e Libia, può diventare un’occasione propizia e provvidenziale per evidenziare l’essenziale che già unisce e accantonare l’inessenziale che ancora separa, e procedere così verso l’unità.

 

Panorama intricato

 

I cristiani sono presenti in tutti i Paesi del Medio Oriente, in percentuali molto diverse a seconda delle nazioni, e sempre come minoranza in riferimento alla popolazione globale. Su una popolazione totale della regione che oggi si aggira intorno ai 380 milioni, i cristiani autoctoni contavano tutti insieme, almeno fino al 2010, circa 15 milioni, costituendo circa il 3% della popolazione complessiva[2]. Ma ultimamente, dopo le cosiddette Primavere arabe, le varie rivoluzioni e i riassestamenti politico-geografici che ne sono seguiti, e soprattutto a causa delle persecuzioni mirate contro i cristiani, il loro numero è di molto diminuito, per effetto di un esodo continuo. D’altra parte, come flusso contrario, nei Paesi arabi del Golfo si trovano oggi oltre due milioni di cristiani tra i lavoratori stranieri. Ma sono tutti immigrati stagionali, non residenti. Non sono apertamente perseguitati, ma sono sottoposti a restrizioni e vessazioni.

Per continuare a esistere, i cristiani devono essere uniti Per quanto riguarda l’appartenenza confessionale, il Medio Oriente presenta un panorama vastissimo: la Chiesa assira d’Oriente, le Chiese ortodosse orientali, le Chiese ortodosse calcedonesi, le Chiese cattoliche, la Comunione anglicana e molte comunità cristiane protestanti[3]. In questo intricato panorama, i fedeli, pur consapevoli di appartenere a varie Chiese e comunità cristiane che sono separate tra loro in senso canonico, nel profondo sentono però di essere uniti nell’appartenenza all’unico Cristo, soprattutto quando si tratta di dichiarare e vivere la propria identità di fronte ai non-cristiani. In un certo senso l’ecumenismo, quale ricerca di comunione fra Chiese formalmente separate, è sempre esistito nel Medio Oriente, particolarmente a livello locale, vissuto sul terreno solido delle relazioni familiari, dell’amicizia, dell’incontro, della collaborazione, del reciproco sostegno e della solidarietà. È l’ecumenismo della vita e anche l’ecumenismo della diaconia[4], che prevale sull’accentuazione delle differenze, soprattutto quando queste sono eredità ed espressioni di antiche tradizioni e inculturazioni dell’unico Cristianesimo.

 

È soprattutto in questo periodo storico di comune sofferenza e di persecuzione che i cristiani si percepiscono come fratelli e sorelle della stessa famiglia, membri di quell’unica comunità fondata da Cristo e annunciata al mondo intero dagli apostoli proprio a partire da Gerusalemme, da Antiochia, da Efeso, da Alessandria ed Edessa... Come è vero che la comune sofferenza unisce maggiormente i cuori, i cristiani del Medio Oriente si sentono «un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). È il dialogo della carità. Ma sappiamo bene che la comunione si costruisce e si deve costruire anche mediante il dialogo della verità[5]. Già san Paolo infatti esortava i cristiani ad «agire secondo verità nella carità» (Ef 4,15). Nelle righe che seguono si cercherà dunque di evidenziare come si sia vissuto questo doppio percorso di verità e carità, percorso parallelo ed unitario, nella situazione presente di persecuzione.

 

Cristologie riconciliate

 

Esaminiamo in primo luogo il dialogo della verità. Da un punto di vista esistenziale, ognuno capisce e sperimenta che quando si è in pericolo non è il tempo di discutere, ma piuttosto di agire. Ciò spiega perché gli incontri a livello ufficiale e non ufficiale sui punti di differenza tra le varie Chiese, sia con dialoghi bilaterali tra una Chiesa e un’altra, sia con dialoghi multilaterali con la partecipazione di varie Chiese, in questi ultimi anni siano stati meno frequenti e numerosi. Quanto ai luoghi, alcuni di tali incontri sono avvenuti in Medio Oriente, in Egitto (Cairo e monastero di Anba Bishoi), in Siria (Aleppo) o in Libano (Balamand). Vari sono stati gli argomenti trattati, dalle verità dogmatiche e dalle dottrine ed esposizioni teologiche a questioni sacramentali, liturgiche, canoniche e giurisdizionali.

 

Tra tutte, indubbiamente la più importante ed essenziale è da considerarsi la problematica cristologica, dato che proprio a causa delle divergenze sull’identità e la natura di Cristo si sono prodotte le divisioni dei cristiani d’Oriente, particolarmente nel V secolo. Dalla seconda metà del XX secolo fino ai primi anni del XXI, sono state coinvolte nel dialogo cristologico sia la Chiesa pre-efesina (Chiesa assira d’Oriente), sia le Chiese pre-calcedonesi (sira, armena, copta, etiopica, malankarese), sia le Chiese ortodosse e cattoliche[6]. Come esiti positivi dei fraterni incontri e degli intensi dialoghi si è giunti non solo a una miglior comprensione reciproca, ma anche a un ravvicinamento e anzi al riconoscimento di una piena comunione dogmatica in questo campo fondamentale. L'ecumenismo è sempre esistito in Medio Oriente e prevale sulle differenze Lo documentano chiaramente i testi dei comunicati congiunti, delle dichiarazioni comuni e degli accordi cristologici fra le diverse Chiese[7]. Tuttavia è anche importante rilevare che permangono altri campi di divisione, e soprattutto persiste la distanza psicologica, residuo dei tanti secoli di reciproco straniamento e disinteresse.

 

È quindi ovvio che il campo del dialogo della verità sia stato allargato a tanti altri temi, perché, nel periodo dei 1500 o 1000 anni di separazione, ogni singola Chiesa ha coltivato al suo interno le scienze teologiche, ma al di fuori di ogni dialogo con le altre Chiese. Da quando il dialogo ecumenico è ripreso, sono state affrontate molte tematiche di comune interesse, praticamente in tutti i campi della teologia: dogmatica, liturgica, sacramentale e pastorale. Essendo però questioni trattate tra esperti e da esperti, spesso non arrivano alla gente comune, tanto più che questa generalmente è ignara dei motivi delle divisioni o non li comprende, e considera le differenze dottrinali e pratiche come interpretazioni della stessa fede condivisa e possibili modalità diverse di praticarla. Anche le indicazioni pratiche e proposte pastorali, stabilite in alcune Dichiarazioni ufficiali al fine di mettere in atto i passi verso una piena comunione, quasi sempre rimangono lettera morta[8]. Nello stesso campo di servizio pastorale, alcune Chiese, visto il crescente flusso dei propri fedeli al di fuori della madrepatria a motivo delle frequenti situazioni di guerra e disagio, e considerando la loro difficoltà ad accostarsi ai sacramenti in chiese del proprio rito, hanno provveduto al loro bene pastorale mediante specifici accordi pastorali con singole Chiese. Fra i primi accordi in questo senso quelli fra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa, e quella fra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente.

 

Un’altra questione ecumenica, spesso ricorrente, perché tocca le abitudini e la vita delle varie Chiese sia nella regione originaria del Medio Oriente sia nella diaspora, riguarda la data delle feste, particolarmente le due principali dell’anno liturgico, cioè il Natale (e l’Epifania che vi è collegata) e la Pasqua. Quanto alla Pasqua, una commissione di esperti, composta da rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, si è riunita nel 1997 ad Aleppo per studiare la questione e proporre una soluzione comune[9]. Recentemente, nel maggio 2013, anche Papa Tawadros, patriarca dei copti, ha scritto una lettera a Papa Francesco sulla necessità di individuare una data unica di Pasqua per tutte le Chiese cristiane. Finora però non si è giunti a nessun accordo.

 

L’analoga questione della festa del Natale è anch’essa ricorrente nell’agenda riguardante il calendario liturgico delle Chiese del Medio Oriente. Il motivo è che nella stessa città o zona si trovano raggruppate fianco a fianco varie Chiese di rito distinto, ove alcune seguono il calendario giuliano e altre il calendario gregoriano. A ciò si aggiunge il fatto non raro che alcune famiglie abbiano membri che appartengono all’una o all’altra Chiesa. In vari Paesi del Medio Oriente, la Chiesa cattolica, soprattutto là dove è in minoranza a confronto delle altre Chiese, ha disposto che si celebrasse la Pasqua insieme ai fratelli orientali e ortodossi (quindi nella loro data), chiedendo che il Natale venisse festeggiato, come lo è universalmente, il 25 dicembre. Ma in realtà le cose non funzionano così, dato che i siri, gli ortodossi e i copti continuano a celebrare il Natale il 7 gennaio, secondo il loro calendario liturgico giuliano.

 

Siamo tutti nazareni

 

Una proposta shock che riguarda l’ecclesiologia e che rientra in qualche modo nel solco del dialogo della verità e anche della carità, è quella presentata a fine giugno 2015 dal patriarca caldeo Louis Raphael Sako. In sostanza egli propone di unificare in un’unica Chiesa le tre Chiese dell’antica Mesopotamia che hanno comuni radici apostoliche e cioè la Chiesa caldea (cattolica e unita a Roma), la Chiesa assira d’Oriente e la Chiesa antica d’Oriente (ambedue autocefale, e che riconoscono come unica autorità suprema il proprio patriarca). Ciò avverrebbe nel quadro di un Sinodo congiunto delle tre Chiese, con la disponibilità dei tre patriarchi a rinunciare alla propria carica e lasciare il posto al nuovo eletto. La nuova “entità ecclesiastica” sarebbe chiamata “Chiesa d’Oriente”, in riferimento alla Chiesa madre apostolica da cui tutte e tre provengono, ma non sarebbe autocefala, riconoscendo l’autorità primaziale del vescovo di Roma, papa della Chiesa cattolica.

 

È da notare che tale proposta si colloca proprio nel quadro dei penosi eventi degli ultimi decenni: guerre e instabilità politica in generale, e persecuzioni contro le minoranze e specialmente contro i cristiani, in particolare. I persecutori, infatti, non distinguono tra cristiani e cristiani, ma li colpiscono indistintamente perché seguono Cristo, siglando le loro case con la lettera araba «n» [nûn], iniziale di nasârâ “nazareni”, cioè cristiani. A detta dello stesso Patriarca Sako, la sua proposta avrebbe lo scopo di rafforzare la decimata comunità cristiana irachena, formando un blocco unitario di protezione e difesa e permettendo di reclamare meglio i giusti e inviolabili diritti. Ma già una prima risposta, negativa, è venuta dal vescovo assiro della diocesi di California, Mar Awa Royel, pur fatta a nome personale e come riflessione propria. Egli non solo rigetta tale unione, che considera contraria alla genuina tradizione della Chiesa assira, ma ribalta la proposta, in quanto dovrebbe essere la Chiesa caldea a ritornare alle proprie tradizioni, allontanandosi da Roma.

 

Ecumenismo del sangue

 

Veniamo ora al dialogo della carità, che è l’altra colonna dell’ecumenismo, in vista della restaurazione dell’unità completa. Le vie della carità sono sempre attente, premurose, inventive e tempestive. Nei drammi recenti si sono moltiplicate le visite di solidarietà alle vittime e di condivisione da parte dei vescovi della regione. Esse sono state compiute a prescindere dall’appartenenza rituale e confessionale e spesso sono state accompagnate da aiuti concreti con beni di prima necessità. Anche tanti appelli a favore della cessazione delle ostilità, della riconciliazione, del dialogo, della restituzione degli ostaggi e dei rapiti sono stati presentati congiuntamente dai gerarchi delle varie Chiese. Numerose sono state le celebrazioni comuni di preghiera, con la presenza di patriarchi, vescovi, clero e fedeli delle varie Chiese, aventi come fulcro l’implorazione del dono della pace e di tutti i passi che a essa conducono.

 

Gli aiuti e i soccorsi di ogni tipo offerti alle Chiese sofferenti e perseguitate non hanno discriminato persone e comunità. Sono arrivati da tante Chiese cristiane, sia locali che internazionali, e sono andati a beneficio di tutte le comunità cristiane (e di altre minoranze) in difficoltà, senza fare distinzioni.

 

Dato che le persecuzioni presenti pongono le comunità cristiane in un clima di martirio, le stesse Chiese hanno messo in luce l’esistenza martiriale di molti loro figli e figlie, nel presente e nel passato. L’esempio più luminoso, unico e irripetibile, è la canonizzazione, celebrata dalla Chiesa armena il 23-24 aprile 2015, di un milione e mezzo di martiri armeni, in occasione del centenario del loro genocidio. Molte Chiese cristiane vi hanno partecipato, con la presenza di alcuni dei loro massimi rappresentanti. Papa Francesco, superando ogni ambiguo parlare diplomatico, ha chiamato «primo genocidio del XX secolo» quella orrenda carneficina, accomunando nel ricordo dei martiri armeni anche i siri (ortodossi e cattolici), gli assiri, i caldei e i greci ortodossi. Nella stessa linea, lo stesso Papa ha disposto la beatificazione (avvenuta a Beirut il 30) del Vescovo siro-cattolico Flavien Michel Melki, che sofferse il martirio nelle medesime circostanze. Anche la Chiesa copta il 18 febbraio 2015 ha dichiarato martiri i 21 fedeli decapitati dai miliziani dello Stato Islamico nella zona di Tripoli (Libia). Le Chiese hanno pure commemorato il genocidio assiro-caldeo del 1915-16. 

A causa delle violenze nella regione, sono numerosi i gesti di solidarietà congiunti delle varie Chiese Considerando tutto questo nel quadro dell’unità cristiana, gli ultimi Papi hanno coniato espressioni nuove e profondissime. Giovanni Paolo II parla di «martirologio comune» (Ut unum sint, 84) e di «comune esperienza del martirio» (Orientale lumen, 18,19,23). Papa Francesco durante il suo incontro col patriarca Bartolomeo nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme il 25 maggio 2014, ha toccato anche il tema dell’unità nel martirio, affermando: «Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa»[10] È in questa prospettiva che proprio al termine del Sinodo per il Medio Oriente (26 ottobre 2010) i vescovi partecipanti hanno presentato a Papa Benedetto la seguente propositio (n. 29): «Istituire una festa comune annuale dei martiri per le Chiese d’Oriente e domandare a ogni Chiesa orientale di stabilire una lista dei propri martiri, testimoni della fede». Tale richiesta non è stata recepita nella Lettera Apostolica postsinodale di Benedetto XVI, Ecclesia in Medio Oriente; tuttavia non pochi vescovi vorrebbero che si riprendesse ora in considerazione, specialmente per l’alto valore ecumenico che essa assumerebbe.

 

Voglia Iddio che il dialogo della verità e il dialogo della carità tra le Chiese conducano sempre più verso il «dialogo della conversione» (Ut unum sint, 83) e portino a passi decisivi e irreversibili di piena comunione.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

Note
[1] Pubblicata in italiano in «Il Regno» 36 (1991), pp. 590-593.
[2] Gli storici annotano che fino al 1948 i cristiani mediorientali rappresentavano circa il 15% dell’intera popolazione della regione.
[3] Una delle migliori e più esaurenti presentazioni rimane quella di Jean-Pierre Valognes, Vie et mort des chrétiens d’Orient. Des origines à nos jours, Fayard, Paris 1994.
[4] Benedetto XVI, Ecclesia in Medio Oriente, p. 14.
[5] San Giovanni Paolo II annota: «È apparso chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità» (Ut unum sint, 60).
[6] I primi quattro concili ecumenici furono nell’ordine: Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431) e Calcedonia (451). La Chiesa assira d’Oriente riconosce solo i primi due concili, le Chiese ortodosse orientali i primi tre, la Chiesa cattolica, ortodossa e la comunione anglicana tutti e quattro. I primi due concili furono principalmente dedicati alla definizione del dogma trinitario e condussero alla formulazione del Credo (simbolo niceno-costantinopolitano), mentre Efeso e Calcedonia trattarono della cristologia (N.d.R.).
[7] Uno studio approfondito e completo su tutti i documenti è stato compiuto da Antonio Olmi, Il consenso cristologico tra le chiese calcedonesi e non calcedonesi (1964-1996), Editrice Gregoriana, Roma 2003. Per un’analisi più sintetica, Pier Giorgio Gianazza, Temi di teologia orientale. Vol. 2, EDB, Bologna 2012, pp. 119-227.
[8] Un esempio è l’Accordo pastorale tra i Patriarcati di Antiochia greco-ortodosso e siro-ortodosso orientale firmato a Balamand (Libano) il 12 novembre 1991. Cfr. Giovanni Cereti e James F. Puglisi (a cura di), Enchiridion Oecumenicum. 7. Documenti del dialogo teologico interconfessionale. Dialoghi internazionali 1995-2005, EDB, Bologna 2006, p. 2805.
[9] Per il testo completo della Dichiarazione di Aleppo dal titolo Verso una data comune di Pasqua cfr. Giovanni Cereti e James F. Puglisi (a cura di), Enchiridion Oecumenicum. 8. Documenti del dialogo teologico interconfessionale. Dialoghi locali 1995-2001, EDB, Bologna 2007, pp. 2492-2521.
[10] w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/may/documents/papa-francesco_20140525_terra-santa-celebrazione-ecumenica.html