Il testimone inerme smaschera la contro-testimonianza del jihadista e mette a nudo il virus che ha distrutto interi Paesi, dalla Siria all’Iraq: la ricerca della vittoria a ogni costo, attraverso l’annientamento del diverso
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:51
C’è una sola parola in grado di definire quanto sta accadendo ai cristiani in Medio Oriente: martirio. Il testimone inerme smaschera la contro-testimonianza del jihadista e mette a nudo il virus che ha distrutto interi Paesi, dalla Siria all’Iraq: la ricerca della vittoria a ogni costo, attraverso l’annientamento del diverso. L’Europa, distratta e troppo a lungo ripiegata nel suo narcisismo, ora si scopre impotente.
«La storia della Chiesa, la vera storia della Chiesa, è la storia dei santi e dei martiri: i martiri perseguitati». Queste recenti parole di Papa Francesco[1] ricordano con particolare forza il “caso serio” dell’esistenza cristiana: la testimonianza a cui ogni battezzato è chiamato, anche di fronte alla persecuzione, anche, se Dio lo chiede, fino all’effusione del sangue. È una realtà crudamente prevista nel discorso missionario del capitolo 10 del Vangelo di Matteo e confermata da 2000 anni di storia. Ma toccarla con mano oggi, tra i profughi di Erbil, come mi è stato dato nel giugno scorso su invito dei Patriarchi Béchara Raï e Louis Sako, è un’esperienza che resta impressa per sempre nella memoria e nel cuore. Introduce una luce nuova con cui guardare i tragici fatti mediorientali – le fiamme di una guerra che non accenna a placarsi – e la loro ricaduta su un’Europa troppo apatica e ripiegata su di sé, che solo recentemente sembra risvegliarsi dal torpore in cui è precipitata.
San Massimo il Confessore, riprendendo un’espressione paolina (1Cor 2,16), afferma che avere «il pensiero di Cristo» significa pensare secondo Cristo, ma soprattutto «pensare Lui attraverso tutte le cose»[2]: questo è il senso dell’Incarnazione, questo è il genio cristiano. Che cosa vuol dire allora avere il pensiero (la mens) di Cristo rispetto a quanto sta avvenendo in Medio Oriente? Io credo significhi, prima di tutte le considerazioni geo-politiche, economiche o strategiche, stare di fronte a una semplice constatazione: in quelle terre è in atto un martirio. Sono convinto che questo dato, che fatichiamo a guardare frontalmente, abbia una rilevanza enorme non solo per la Chiesa, ma anche per una comprensione più profonda sia della radice della persistente conflittualità in Medio Oriente, sia dell’impotenza in cui si dibatte l’Occidente. Il pensiero di Cristo è principio esplicativo del reale, di tutto il reale, e mi pare ci consegni qui almeno tre lezioni.
Tesoro prezioso
La prima riguarda il posto del martirio nella vita della Chiesa. Non è certo questa la sede per ripercorrere la lunga storia del Cristianesimo orientale; altri lo hanno fatto in modo eccellente, anche in questo numero di Oasis. È un fatto però che negli ultimi decenni si siano intrecciati in questa regione del mondo due fenomeni particolarmente tragici: da un lato il tentativo di costruire Stati più omogenei, attraverso l’assorbimento e la “normalizzazione” delle minoranze etnico-religiose; dall’altro un deciso ritorno del fondamentalismo islamista che, a partire dagli anni ‘60, ha reintrodotto un linguaggio religioso e prassi discriminatorie che sembravano ormai definitivamente superate. Ben difficilmente si sarebbe potuto immaginare che, agli inizi del XXI secolo, si sarebbe ripreso a parlare di jizya, la tassa sui non-musulmani che fa a pugni con qualsiasi moderna concezione di uguaglianza dei diritti e dei doveri! Eppure è accaduto, ben prima che l’ISIS diventasse un fenomeno mediatico. Poi il crollo di molti Stati mediorientali, certificato dalle rivolte del 2011, ha innescato l’ultimo salto di qualità e dalla discriminazione si è passati alla persecuzione aperta, che ha costretto intere popolazioni a lasciare in tutta fretta le proprie case per non essere massacrate.
Spetterà agli storici pronunciare un giudizio su questo processo di lunga durata, a proposito del quale certamente anche le comunità cristiane hanno commesso errori di valutazione. Ma oggi quello che colpisce di più sono i fatti nudi e crudi: «Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; quei migranti che in alto mare sono buttati in mare perché cristiani; quegli etiopi, assassinati perché cristiani»[3].
Questi episodi sono prima di tutto una provocazione alla fede di ciascuno; infondono nuovo vigore alla tensione verso la santità spingendoci a uscire da noi stessi. Personalmente, nel visitare i campi profughi di Erbil, sono stato impressionato dalle condizioni di radicale privazione in cui i rifugiati cristiani – e delle altre minoranze perseguitate – sono costretti a vivere dopo che, per l’avanzata minacciosa dei terroristi, in poche ore sono stati costretti ad abbandonare città, casa e lavoro. Eppure, in questa durissima situazione al limite della vivibilità, ho visto in loro una dignità ammirevole. Ma ciò che più di tutto continua a interrogarmi e provocarmi è la fede straordinaria che anima la loro speranza, anche di fronte a un futuro che si presenta come sospeso. Dalla nostra limitata prospettiva non sappiamo misurare l’effetto di queste testimonianze, fuori e dentro la Chiesa. Una cosa sola sappiamo con certezza: sono un tesoro troppo prezioso per essere dilapidato. Proprio per questo mi sembra particolarmente urgente la decisione di indire una giornata dei nuovi martiri mediorientali[4]. Senza rinnegare le specificità di ogni rito e delle altre Chiese e comunità cristiane che vivono nella regione, questa ricorrenza potrebbe assumere la forma di una giornata comune alle diverse confessioni cristiane, volta a celebrare la memoria dei martiri moderni che, nella varietà della loro appartenenza, pagano con la vita la loro fedeltà a Cristo ai giorni nostri e in Medio Oriente. La giornata sarebbe inoltre un’occasione provvidenziale di domandare perdono per le divisioni tra i cristiani, divisioni che nel passato hanno portato anche a conflitti sanguinosi tra le diverse comunità. È l’ecumenismo del sangue di cui parla così di frequente Papa Francesco. Il momento tragico che investe la regione potrebbe allora diventare un’occasione propizia per superare ciò che separa e ricercare ciò che unisce; così anche il male della persecuzione potrebbe volgersi nel bene di una maggiore unità[5].
La vera vittoria
E tuttavia, la lezione che i cristiani orientali consegnano al mondo non è un puro affare intra-ecclesiale. Ha anche degli insegnamenti politici molto concreti da offrire, che permettono di decifrare in modo più profondo il virus che ha distrutto interi Paesi, dalla Siria all’Iraq. Da dove ha origine infatti questa malattia? Dalla ricerca della vittoria a ogni costo, attraverso la sopraffazione e l’annientamento dell’avversario. Oggi in Medio Oriente è tutto un frenetico concludere alleanze, disfarle, chiamare in soccorso sempre nuovi protettori stranieri, in una escalation di violenza che finisce per autoalimentarsi. Eppure mai come ora appare chiaro che questa via conduce solo a morte e distruzione. Il processo di “de-umanizzazione” che ne consegue investe anzitutto il “religiosamente diverso”, ma non si ferma ad esso. Dopo i non-musulmani, tocca ai musulmani di diversa confessione (sunniti contro sciiti e viceversa), poi ai musulmani “devianti”, infine a tutti coloro che non possono esibire una perfetta ortoprassi, secondo uno schema d’intolleranza progressiva già visto molte altre volte.
Di fronte a questo progetto, i martiri dei nostri giorni dicono un chiaro “No!”. Non è questa la strada per il Medio Oriente. Più omogeneità non significa meno conflitti, perché ci sarà sempre qualcuno “più fondamentalista di me” che cercherà di piegarmi al suo credo. E non è questa la vittoria da perseguire, anche sul piano temporale. La vittoria autentica infatti è la Pasqua, è il Crocifisso Risorto che accetta di portare su di sé il peccato del mondo e con la sua obbedienza distrugge il corpo del peccato (cfr. Rm 6,6). Una vittoria di portata universale che tocca anche chi non crede.
Così facendo, il martire smaschera alla radice la contro-testimonianza del jihadista, dell’uomo-bomba, mostrando dove si situa l’errore di ogni fondamentalismo, nella pretesa di poter spezzare l’inscindibile binomio verità-libertà. Ma non soltanto smaschera: sana anche, e ripara. Se infatti l’uomo-bomba pensa di poter imporre la sua verità prescindendo dalla sofferenza delle sue vittime, il martire, soffrendo ciò che doveva soffrire il colpevole, toglie al male la sua irreparabilità. C’è dunque in questa vicenda di martirio dei nostri giorni una rilevanza culturale e politica della Croce Gloriosa che attende ancora di essere pienamente valorizzata. Ciò tra l’altro potrebbe suggerire un modo nuovo di presentare questo punto capitale della fede cristiana, da sempre motivo di scandalo. Anche oggi infatti la logica della Croce gloriosa rimane l’unica capace di illuminare fino in fondo le scelte politiche. E i martiri lo testimoniano, non a parole, ma nei fatti.
Cambio di passo
Ma la prova durissima che attraversano le comunità cristiane orientali mette impietosamente a nudo anche l’abdicazione dell’Occidente da se stesso. Mentre gli Stati Uniti contribuivano attivamente alla destabilizzazione dell’Iraq, l’Europa ha dato prova di tutta la sua impotenza in Siria. Tradendo la propria missione storica di difendere la libertà e i cosiddetti “valori europei” che ora vorrebbe opporre al terrorismo, l’Unione ha preferito voltare la faccia dall’altra parte. Presa dal suo narcisismo ha ignorato il conflitto, salvo qualche azione umanitaria ai confini, ha finto di non vedere la rapida ascesa dell’odio settario, le centinaia di migliaia di morti e i milioni di sfollati, e si è risvegliata soltanto quando le colonne di profughi hanno cominciato a premere ai suoi confini.
Ora è emergenza, e l’emergenza non è mai una buona consigliera, perché confonde insieme fenomeni diversi: i profughi, in gran parte provenienti dal Medio Oriente, e i migranti per ragioni economiche, originari di altri Paesi e per cui devono valere logiche differenti, pur nel rispetto inderogabile della dignità di ogni persona. Nonostante tutti i ritardi e le chiusure, sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo a livello politico, per passare da una gestione alla giornata a una visione strutturale, nella consapevolezza che il processo è troppo vasto per poter essere dominato. Ma per quanto riguarda i profughi, la doverosa accoglienza resta comunque una soluzione di ripiego: il vero obbiettivo di lungo termine – i Vescovi orientali non si stancano di ripeterlo – è rendere nuovamente il Medio Oriente una regione vivibile per tutti, in cui sia possibile avere un futuro.
Come hanno ricordato più voci, ciò probabilmente richiede nell’immediato una più coraggiosa azione per fermare l’aggressore ingiusto. Infatti «è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male»[6]. Si dovrà inoltre prendere atto che in molti casi gli anni di guerra hanno prodotto ferite così profonde tra le diverse comunità che rendono difficile immaginare nell’immediato un cammino insieme. E si dovrà iniziare a parlare del diritto al ritorno da parte dei profughi.
Tuttavia, perché qualsiasi iniziativa possa avere qualche possibilità di successo, assolutamente prioritario è dar vita a una sorta di “Piano Marshall”, che garantisca la possibilità di scegliere di rimanere o ritornare; esattamente come avvenne in Europa alla fine della seconda guerra mondiale, quando un continente in macerie trovò in pochi anni la strada per rinascere dalle sue ceneri. L’enorme potere che la tecnologia ci consegna porta con sé una preoccupante capacità distruttiva, di cui il Medio Oriente fa oggi amara esperienza. Ma offre anche la possibilità di invertire situazioni che sembrano irrimediabilmente compromesse. Perché, come scrive Papa Francesco nella Laudato Si’ (n. 13), «il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune».
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Note
[1] Francesco, Omelia alla Santa Messa, 21 aprile 2015
[2]«Anch’io, infatti, dico di avere il pensiero di Cristo, che pensa secondo Lui e pensa Lui attraverso tutte le cose» (Massimo Confessore, Il Dio-uomo, Jaca Book, Milano 1980, p. 103)
[3]Francesco, Omelia alla Santa Messa, 21 aprile 2015
[4] Del resto già la propositio 29 presentata a Papa Benedetto al termine del Sinodo per il Medio Oriente il 26 ottobre 2010, suggeriva di «istituire una festa comune annuale dei martiri per le Chiese d’Oriente e domandare ad ogni Chiesa orientale di stabilire una lista dei propri martiri, testimoni della fede»
[5]È stato questo uno degli aspetti emersi con più forza nella mattinata di confronto sull’avvenire dei cristiani orientali a cui ho avuto la possibilità di partecipare presso l’università Saint-Joseph di Beirut, lo scorso 18 giugno
[6]Conferenza Stampa di Papa Francesco nel volo di ritorno dalla Repubblica di Corea, lunedì 18 agosto 2014
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Angelo Scola, Tre lezioni dai martiri, «Oasis», anno XI, n. 22, nnovembre 2015, pp. 14-19.
Riferimento al formato digitale:
Angelo Scola, Tre lezioni dai martiri, «Oasis» [online], pubblicato il 5 novembre 2015, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/tre-lezioni-dai-martiri.