“C’è un difetto nel diritto religioso da cui deriva un difetto nel diritto della vita”

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:54:44

Nel numero 25 di Oasis abbiamo pubblicato la traduzione di una conferenza sul ruolo delle fatwe nell’Islam contemporaneo, che lo studioso libanese Ridwan al-Sayyid ha tenuto al Cairo nel 2015. Per ragioni di spazio non abbiamo potuto includere tutto il testo. Ve ne proponiamo qui l’introduzione, che offre uno spaccato del dibattito intra-musulmano sull’ascesa del fondamentalismo
 

A inizio agosto del 2015 è morto il grande giurista e shaykh siriano Wahba al-Zuhaylī, lasciando un immenso patrimonio interpretativo sulla giurisprudenza shafiita, sul diritto comparato, sulle scienze coraniche, sull’esegesi, sulle fatwe, sui giovani e sulle problematiche dell’epoca contemporanea, sull’Islam e le libertà.

 

Oltre alla tesi discussa all’Università egiziana dell’Azhar su “Le tradizioni relative alla guerra nella giurisprudenza islamica” (1962), la sua più importante pubblicazione è probabilmente l’imponente enciclopedia in otto volumi, intitolata La giurisprudenza islamica e le sue prove (Al-fiqh al-islāmī wa adillatuhu). 

 

I grandi ulema della tradizione giurisprudenziale più aperta, in Egitto, Siria e Marocco, erano profondamente convinti delle potenzialità di questa ingente eredità, che, attraverso un ijtihād assoluto[1] (come diceva lo shaykh), si era aperta al rinnovamento adattandosi ai tempi nuovi.

 

Al-Zuhaylī ha sempre ritenuto che singoli giuristi e istituzioni giuridiche del periodo compreso tra gli anni ’40 e ’90 del secolo scorso avessero raggiunto risultati eccellenti con gli strumenti offerti dagli usūl al-fiqh [i fondamenti della giurisprudenza] e dai vasti orizzonti delle finalità della sharī’a.

 

Non li si può dunque accusare di non aver compreso le novità, né di non esservisi adeguati. Così come non li si può accusare di scarsa lungimiranza di fronte alla tempesta della modernità e al complotto occidentale contro l’Islam.
 

Il rifiuto della tradizione

Negli ultimi vent’anni gli ho sempre detto che noi non siamo il prodotto soltanto della modernità e dell’occidentalizzazione, ma anche del fondamentalismo che si è sviluppato all’interno dell’Islam, che rifiutando tutta questa tradizione e pretendendo di ritornare direttamente al Libro e alla Sunna, ha dato vita a movimenti e partiti che affermano la volontà di “ripristinare la legittimità” della società e dello Stato attraverso la forza e la violenza.
 

Lo shaykh non negava l’esistenza di questi fenomeni ma mi rinviava, come rinviava alcuni dei suoi discepoli, al suo grande libro La giurisprudenza islamica e le sue prove, dicendo: «Questo poderoso libro è stato ristampato cinque volte e nonostante la sua mole è stato tradotto in diverse lingue islamiche. Come potete dunque dirmi che la tradizione giurisprudenziale ha perso il suo slancio ed il suo pubblico? E come si spiega allora la popolarità dei libri dei nostri shaykh Muhammad Abū Zahra, ‘Abd al-Wahhāb Khallāf, ‘Alī Hasan Allāh, Muhammad ‘Abd Allāh Drāz e Mahmūd Shaltūt?![2]»

 

Nel 2009, durante un seminario sul diritto in Oman, uno dei suoi ex-allievi della facoltà di Legge Islamica all’Università di Damasco, gli disse: «Giuro su Dio, shaykh, noi non vogliamo polemizzare con lei, né sminuire ciò che hanno fatto i grandi shaykh giuristi dell’ijtihād, tra i quali figura anche lei; ma che cosa si può fare contro questa violenza atroce in nome della religione? Ci dica poi, onestamente: quali libri sono stati più popolari nei decenni passati, non solo in Siria, ma anche in Egitto e nei paesi del Golfo? I suoi libri o La giurisprudenza della Sunna (Fiqh al-Sunna) dello shaykh Sayyid Sābiq[3]?

 

E questo di cosa è indice rispetto al cambiamento nella coscienza sia dei giovani sia degli adulti?» Vedendolo indugiare, mi intromisi nel dialogo e gli dissi: «Nei primi anni ’70, quando stava da voi in Siria, Malek Bennabi[4] mi aveva detto che l’Islam stava vivendo al suo interno nuovi “protestantesimi” contestatari, estremisti e sediziosi, pronti a ricorrere alla violenza.

 

Per lui era necessario combattere la violenza nella mente dei giovani, che nella maggior parte dei casi non avevano studiato le scienze religiose. Lo shaykh – Dio abbia misericordia di lui – disse: «Bennabi quale prova presentava a dimostrazione di ciò?». Risposi «Diceva che vi era un difetto nel diritto religioso (fiqh al-dīn), da cui derivava un difetto nel diritto della vita (fiqh al-‘aysh)». 

Lo shaykh Wahba non approvò questa interpretazione, e disse: «Si tratta di un maleficio occidentale: l’Inviato di Dio – su di Lui la preghiera e la pace – ci ha lasciato una prova chiara come la luce del giorno, il cui abbandono corrisponde a sicura rovina. 

 

Il difetto nel diritto della vita può essersi verificato per cause politiche, economiche e sociali, mentre è impossibile che si crei un difetto nel diritto religioso: per comprendere il fenomeno del fanatismo, indagate nei difetti della vita (‘aysh), prodottisi per le cause che ho detto, e che spiegano anche la popolarità del libro La giurisprudenza della Sunna, La giurisprudenza della jāhiliyya e tante altre cose». 

 

Gli eventi del 2011 e la Siria

Poi nel 2011 è accaduto quello che è accaduto in Siria e in altri Paesi arabi, e quando la tensione e la violenza si sono acuiti, è apparso l’Islam politico e jihadista. L’ultima volta che vidi lo shaykh Zuhaylī è stata nel 2013 ed era come se fosse invecchiato di vent’anni o anche di più; l’altro famoso shaykh siriano, Muhammad Sa‘īd Ramadān al-Būtī, che era stato dalla parte del regime siriano fino alla fine, è stato ucciso in circostanze misteriose. 

La Siria era stata abbandonata dalla maggior parte dei suoi ulema, che fuggivano per non essere uccisi da una delle parti in lotta, mentre lo shaykh Zuhaylī continuava a vivere nella sua casa di Damasco, mantenendo una ferma neutralità. 

Quando mi affrettai a porgergli il mio cordoglio per l’uccisione di al-Būtī, mi disse: «Fossi morto io prima che questo accadesse! Ridwān dimmi, che cosa diceva Malek Bennabi riguardo al diritto religioso e al diritto della vita, e alla loro relazione reciproca?».


Il seguito di questo testo si trova nel numero 25 di Oasis


 

Note
[1] Cioè di un’interpretazione della legge che non tiene conto degli insegnamenti dei grandi giuristi, ma si fonda su una lettura diretta delle fonti.
[2] Si tratta di grandi ulema riformisti del XX secolo.
[3] Membro dei Fratelli musulmani, fu invitato a scrivere La giurisprudenza della Sunna dal fondatore dell’organizzazione Hasan al-Bannā. Il libro, che ebbe una grande diffusione, aveva lo scopo di presentare in maniera semplice e accessibile a tutti la legge islamica.
[4] Intellettuale algerino, autore di molti libri sul rapporto tra Islam e civiltà moderna.