Nella guerra in Siria i curdi hanno svolto un ruolo determinante nell’arginare l’avanzata di Isis e ora controllano parte del territorio siriano. Un’analisi del progetto politico del PYD e dei suoi legami con il PKK di Abdullah Öcalan
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:43
Nel 2019, saranno passati otto anni dallo scoppio delle prime rivolte in Siria. Da quel 2011, il territorio siriano è diventato una zona di guerra estremamente stratificata, in cui diversi gruppi di opposizione combattono gli uni accanto agli altri, ma anche gli uni contro gli altri, per la conquista del potere statale. Nella guerra hanno inoltre interferito molti altri Stati, e in particolare Russia, Turchia, Iran, Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Gran Bretagna e Francia, introducendovi la propria agenda politica. Mentre gran parte dei gruppi di opposizione persegue un progetto settario di cambio di regime, il partito dell’Unione Democratica (PYD, Partiya Yekîtiya Demokrat), prevalentemente curdo, e il multietnico Consiglio democratico siriano di cui il PYD è membro hanno cercato di istituire un sistema di governo decentralizzato, che chiamano “sistema non statale”. La differenza di prospettiva politica tra il PYD/SDC da una parte e gli altri gruppi di opposizione dall’altra ha dato luogo a una reciproca ostilità sin dai primi momenti delle rivolte contro il regime di Assad. Questo articolo discute e contestualizza la visione politica che contraddistingue il PYD/SDC.
Una zona di guerra stratificata
Nel 2011, seguendo l’ondata di proteste comunemente note come “Primavere arabe”, che aveva investito il Nord Africa e il Medio Oriente partendo dalla Tunisia e dall’Egitto, anche in Siria sono scoppiate manifestazioni di massa, accompagnate da azioni e reazioni violente. In Siria la sollevazione civile si è trasformata ben presto in un’insurrezione attiva, la cui posta in gioco era il controllo dello Stato. Nel 2012 la rivolta è stata dominata dai Fratelli musulmani e in seguito dall’ascesa di al-Qaida e dello Stato Islamico (IS), con il tentativo di diversi Stati della regione di provocare il rovesciamento armato del regime di Damasco. Ne è risultato un intreccio sempre più violento di conflitti interconnessi, con lo schieramento di eserciti e milizie composti da forze più o meno indipendenti che agiscono per procura e l’impossibilità di far prevalere un’unica potenza[1]. La Russia e l’Iran sono intervenuti con determinazione a favore del regime, gli Stati Uniti e l’Occidente in generale si sono concentrati sulla rimozione dello Stato Islamico, collaborando in particolare con le forze curde, mentre la Turchia ha sostenuto i gruppi islamisti radicali, sostituendo il proprio obiettivo di abbattere il regime con il contrasto dell’influenza e dell’autonomia curda.
Sebbene il Kurdistan siriano abbia una sua storia di resistenza contro le politiche oppressive dello Stato, come l’arabizzazione e il rifiuto della cittadinanza[2], sia sotto Hafez al-Assad che con il figlio Bashar, in questa regione le rivolte sono scoppiate relativamente tardi, nel 2012. I curdi infatti diffidavano fortemente delle intenzioni dell’opposizione al regime di Assad.
Mentre lo Stato centrale stava affrontando una minaccia esistenziale nella capitale, le Unità di Protezione del Popolo (Yekîneyên Parastinha Gel, YPG), formatesi nel 2012, e in seguito alleate con il PYD, hanno preso la città di Kobanê il 19 luglio, seguita da Amude e da Afrin il 20 luglio, e nei giorni successivi da Derik e Qamislo. Nel giro di due settimane, le forze del regime si sono ritirate nel sud del Rojava, pur mantenendo una roccaforte a Hasakeh e Qamislo[3]. Negli anni seguenti, le forze dell’YPG – e successivamente anche le Unità per la protezione delle donne, costituitesi nel 2013 (Yekîneyên Parastina Jin, YPJ), e le Forze di Difesa Siriane (SDF), una coalizione creatasi intorno al YPG e che si è sviluppata in una più estesa alleanza progressista multietnica e multi-religiosa – sono riuscite a imporre il monopolio della violenza nelle regioni sotto il loro controllo e a costituire amministrazioni funzionanti e relativamente stabili.
Regioni e province della Federazione Democratica della Siria del Nord [© Sebastiàn Estremo Paredes]
Tra cambio di regime e cambio di sistema
Oltre ai rapporti con il regime, anche la questione della forma dello Stato è diventato un importante tema di divisione tra il movimento apoista (ispirato all’ideologia di Abdullah Öcalan) e gli altri partiti, sia i partiti curdi organizzati all’interno del Consiglio Nazionale Curdo (KNC) che si sono orientati verso l’altra entità politica curda – il Governo Regionale Curdo (KRG) in Iraq –, che l’opposizione araba. È significativo che né il PYD né l’organizzazione-ombrello del Consiglio Democratico Siriano abbiano puntato a impossessarsi dello Stato per sostituirsi al regime di Assad. Per il PYD, il problema principale non era la sostituzione di Assad, ma una trasformazione del sistema politico che stava alla base della repressione in Siria e in Medio Oriente in generale, con la costruzione d’istituzioni più autenticamente democratiche e il rafforzamento della società[4].
Contrariamente alla prospettiva politica statalista dei partiti curdi iracheni, in quella del PYD è centrale il rafforzamento della società di fronte allo Stato attraverso una forma di cittadinanza attiva e di auto-governo: una democrazia non statale, o meglio non statalista, in aperto contrasto con l’obiettivo di Assad di rinstaurare il controllo centralizzato dello Stato[5].
L’orientamento del PYD/SDC per un cambio di sistema, più che per un cambio di regime attraverso la conquista dello Stato, spiega la sua diffidenza nei confronti del Consiglio Nazionale Siriano (SNC), un ente dominato dai Fratelli Musulmani e finanziato dalla Turchia, che invoca il cambio di regime ma è stato molto meno esplicito sul cambio di sistema. Il PYD/SNC si è dissociato anche dal Consiglio Nazionale Curdo (KNC), un’organizzazione-ombrello fondata nel 2011, sotto la guida politica del presidente del KRG Massoud Barzani, che ha collaborato con l’opposizione siriana. Le tensioni tra il KNC/SNC da una parte, e il PYD/SDC dall’altra, esprimono una divisione fondamentale tra due diversi approcci allo Stato. Mentre il PYD/SDC ambisce a sviluppare un ordinamento basato sul principio delle assemblee autonome, il KNC punta all’autonomia per i curdi all’interno di una Siria liberata dal regime del Baath, qualcosa a cui possiamo riferirci come “modello KRG”.
Questo conflitto tra il PYD e i partiti curdi pro-KRG trae origine dalla crisi del sistema partitico curdo che sviluppatasi del decennio precedente alla guerra siriana e forse anche prima. La popolarità dei principali partiti curdi in Siria ha cominciato a calare negli anni ‘90, a causa, tra le altre cose, di faziosità e personalismi, oltre che della loro incapacità di ottenere concessioni dallo Stato[6]. Tuttavia, mentre il consenso verso questi partiti diminuiva, aumentavano il livello della coscienza nazionale curda e dell’attivismo giovanile. È alla luce di questa contraddizione – una crisi della politica partitica tradizionale di fronte a un’accresciuta consapevolezza politica – che il PYD è stato in grado rendere attraente per i giovani attivisti, che avevano iniziato a diffidare delle strutture burocratiche centralizzate, la sua alternativa politica di assemblee autonome, connesse orizzontalmente e costituite dall’alto. La prospettiva politica del PYD/SDC, spesso non compresa dalle organizzazioni partitiche tradizionali, aveva invece forti risonanze nell’attivismo emergente.
I consigli
Dopo che nel 2012 ampie porzioni del Rojava erano finite sotto il controllo del YPG, sono state istituite assemblee locali di zona per fornire una qualche forma di governo e l’erogazione dei servizi, dalla distribuzione del cibo e dei combustibili all’organizzazione dell’educazione e dell’auto-difesa. Va ricordato che la creazione dei consigli non ha interessato solo il Rojava. Tra il 2011 e il 2012, infatti, nel contesto della rivolta, sono nati in tutta la Siria centinaia di consigli, che sono stati definiti l’“essenza della rivoluzione siriana”[7]. Interconnessi in modi molto vari, per esempio collegati attraverso gruppi Whatsapp con organizzazioni di simile orientamento, questi consigli hanno rappresentato il prodotto creativo dei bisogni locali, una risposta immediata al collasso delle strutture dello Stato centrale nel contesto della guerra e al vuoto di governo causato dall’assenza improvvisa dei funzionari statali, costretti ad andarsene o rifiutati a livello locale[8]. In altre parole, i consigli si sono appropriati delle funzioni statali. I consigli locali della multietnica Manbij, ad esempio, sono stati descritti come «un esempio convincente di governo dal basso nei due anni che vanno dal ritiro del regime siriano dalla città nel 2012 alla sua presa da parte dello Stato Islamico nel 2014»[9]. È importante sottolineare che i consigli che sono emersi non erano un prolungamento dello Stato centrale, ma hanno rappresentato piuttosto un modello di organizzazione dell’opposizione e di auto-amministrazione da parte delle persone.
Tuttavia, i consigli sviluppatisi in Siria all’inizio delle proteste erano diversi da quelli nati nel Rojava, in primo luogo in termini di organizzazione politica. Quelli del Rojava non erano solo una struttura locale, ma erano anche connessi a una rete più ampia che forniva coesione e orientamento. Insieme alla creazione dei primi consigli nella regione del Kurdistan, il PYD ha infatti dato vita a un Movimento per la Società Democratica (Tevgera Civaka Demokratîk, TEV-DEM), una piattaforma formata da partiti politici, organizzazioni professionali e sociali e rappresentanti dei consigli [10]. TEV-DEM si è presentata come un’istanza di promozione del pluralismo, sulla base del «diritto di ogni gruppo etnico o religioso di organizzarsi liberamente», affermando allo stesso tempo che tale pluralismo non era realizzabile all’interno di uno Stato centralizzato come quello siriano.
Promossi da TEV-DEM, sono stati creati consigli decisionali a livello delle strade, dei villaggi, delle zone, dei distretti, delle città, delle regioni e infine a quello della Federazione Democratica della Siria del Nord (DFNS), tutti con un 40 per cento di quote rosa. L’unità più piccola della confederazione è il comune, che può consistere di un massino di 400 nuclei famigliari, corrispondenti agli abitanti di una strada residenziale, o di più strade o di un villaggio. Il comune si riunisce ogni uno o due mesi e tutti i residenti sono autorizzati a partecipare alle sue riunioni. Spesso un consiglio delle donne, a cui hanno diritto di partecipare le donne dell’area residenziale, lavora in parallelo al consiglio comunale, discutendo i temi che esse ritengono importanti e che hanno la possibilità di fare entrare nell’ordine del giorno della riunione del comune.
Si è anche stabilito che ciascun comune abbia un organo esecutivo, composto dai co-presidenti (un uomo e una donna) e alcuni membri aggiuntivi. Gli organi esecutivi dei comuni si riuniscono ogni settimana e idealmente dispongono di comitati per la pace, l’autodifesa, l’economia, la politica, la società civile, la società libera e l’ideologia. Non tutti i comitati sono stati effettivamente istituiti, ma quelli per la pace e l’autodifesa sono diffusi. Un consiglio di zona è composto da diversi villaggi o da un quartiere di una città e i suoi membri sono i rappresentanti degli organi esecutivi dei comuni. A loro volta questi consigli di zona hanno un esecutivo e ulteriori comitati[11] e lo schema viene replicato a livello del consiglio cittadino, dei cantoni e delle regioni (Cezîre, Eufrate e Afrin) e al livello della DFNS. Lo sviluppo di un sistema alternativo di auto-amministrazione locale doveva servire a risolvere la frattura tra popolo e Stato, mentre l’idea dell’autonomia come diritto dei vari gruppi (culturali, etnici, religiosi, di genere) di organizzarsi ed esprimere i propri interessi e la propria identità rispondeva al problema dello Stato.
Abdullah Öcalan
Mentre in cima alle priorità del movimento curdo del vicino Iraq si trovano la creazione dello Stato e l’autonomia federale, il pensiero politico del PYD/SDC si è ispirato all’opera di Abdullah Öcalan successiva al 1999, e alla sua problematizzazione del concetto di Stato. In Liberating Life, Öcalan ha sostenuto che la lotta per la giustizia «implica la creazione di formazioni politiche che aspirano a una società democratica, egualitaria quanto alle questioni di genere, rispettosa dell’ambiente e in cui lo Stato non è l’elemento essenziale»[12]. Lo Stato è criticato da Öcalan[13] come un’istituzione che non favorisce la democrazia, la libertà e i diritti umani, ma piuttosto li nega.
In sintesi, la critica di Öcalan contro lo Stato moderno combina due filoni analitici. Il primo problematizza lo Stato amministrativo e la creazione di una burocrazia come classe dominante, in cui quest’ultima si pone in antitesi rispetto al popolo. La soluzione a questa contraddizione è rappresentata secondo Öcalan da un sistema di auto-amministrazione locale. Il secondo filone critica invece la forma dello Stato-nazione per il suo obiettivo di omogenizzare la popolazione attraverso l’assimilazione in una identità dominante e quindi di eliminare diversità e differenze. L’idea dell’autonomia come diritto di gruppi culturali, etnici, religiosi e di genere di organizzare se stessi e ed esprimere i propri interessi e la propria identità è la risposta a questo secondo aspetto.
Rifiutando lo Stato amministrativo e lo Stato-nazione, Öcalan ha dunque proposto un nuovo modello:
Le persone devono essere coinvolte direttamente nel processo decisionale della società. Questo progetto poggia sull’auto-governo delle comunità locali ed è organizzato nella forma di consigli aperti, consigli cittadini, parlamenti locali e congressi più ampi. Gli attori di questa forma di autogoverno sono i cittadini e non le istituzioni statali. Il principio dell’autogoverno federativo non ha limitazioni. Può essere esteso al di là dei confini per creare strutture democratiche multinazionali. Il confederalismo democratico preferisce “gerarchie orizzontali” in cui i processi decisionali hanno luogo all’interno delle comunità locali. Esso fornisce un quadro in cui le minoranze, le comunità religiose, i gruppi culturali e i gruppi di un genere specifico e altri gruppi sociali possono auto-organizzarsi autonomamente[14].
Seguendo il pensatore socialista libertario Murray Bookchin[15], Öcalan usa il termine “autonomia democratica” per riferirsi alle capacità e alle responsabilità decisionali delle persone stesse, una politica basata fondamentalmente su un coinvolgimento impegnato, una democrazia in primo luogo partecipativa piuttosto che rappresentativa[16]. Il principio del “confederalismo democratico” fa riferimento al contesto interconnettivo in cui dovrebbe realizzarsi l’auto-governo, che comprende una rete stratificata di assemblee locali, intese come principio di organizzazione sociale che punta a «democratizzare l’interdipendenza senza rinunciare al principio del controllo locale»[17]. In questo modo, un processo dal basso che comincia con la creazione di «assemblee popolari di democrazia diretta a livello municipale, cittadino e di zona» diventa un’alternativa allo Stato attraverso la forma confederata emergente; si tratta di «una politica che cerca di ricreare una sfera vitale, locale, politica o civica»[18]. Nelle regioni più estese, queste assemblee potrebbero confederarsi e, rafforzandosi, mettere in discussione lo Stato-nazione centralizzato. Bookchin affermava l’idea di una municipalizzazione (più che di una nazionalizzazione marxiana) dell’economia, come un modo di opporsi al sistema imprenditoriale capitalista di proprietà e di gestione[19].
Il cambiamento ideologico all’interno del PKK di Öcalan è stato accompagnato da una riconfigurazione organizzativa del suo partito. Una delle novità principali è stata la differenziazione interna, attraverso l’istituzione di partiti separati capaci di organizzare la lotta per i diritti dei curdi nel contesto della democratizzazione dell’Iraq, dell’Iran e della Siria. Sono così nati il Partito Curdo della Soluzione Democratica (PÇDK, Partiya Çareseriya Demokratik a Kurdistan), formatosi in Iraq nel 2002, il Partito della Vita libera del Kurdistan (PJAK, Partiya Jiyana Azad a Kurdistan), sorto in Iran nel 2004, e l’Unione Democratica (PYD, Partiya Yekitiya Demokratik) fondata in Siria nel 2004. Il programma del PYD contiene ufficialmente l’obiettivo di realizzare un’autonomia democratica[20], affermato anche nella sua carta, la quale aggiunge che il progetto del confederalismo democratico non è solo un meccanismo generale per unificare i curdi del Medio Oriente[21], ma è anche un modello di convivenza e perciò un’alternativa al settarismo etnico e religioso e alla frammentazione[22].
Un modello sotto attacco
Quando i partiti della regione del Kurdistan iracheno si stavano preparando al referendum per l’indipendenza del 25 settembre 2017, il movimento curdo in Siria si apprestava alle elezioni locali. In quell’occasione sono stati espressi un totale di circa 728450 voti, che rappresentano circa il 70 per cento di tutti gli aventi diritto. Nella regione della Cezîre (nei cantoni dei Qamislo e Hesekê), la popolazione ha eletto i co-presidenti di 2669 comuni su oltre 12000 candidati, nella regione del Firat (cantoni di Kobanê e Grê Spî) sono stati eletti i co-presidenti di circa 843 comuni su oltre 3100 candidati, mentre nella regione di Afrin (cantoni di Afrin e Sehba) quelli di 435 comuni su oltre 1550 candidati[23]. Così, mentre in un’altra parte del Kurdistan si compiva il tentativo di formare uno Stato indipendente, in Siria si è cercato di rafforzare l’autoamministrazione attraverso le elezioni locali, che sono il principio essenziale di quella che si vuole una forma di governo non statuale. È questa visione alternativa, partecipativa ed inclusiva del governo ad essere sotto assedio da ogni lato, da parte dello Stato Islamico e degli altri gruppi islamisti radicali, del regime e della Turchia.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] Si veda Nikolaos van Dam, Destroying a Nation, The civil war in Syria, I.B. Taurus, London 2017.
[2] Si vedano Harriet Allsopp, The Kurds of Syria, Palgrave, New York 2014; Michael Knapp, Anya Flach e Ercan Ayboga, Revolution in Rojava. Democratic Autonomy and Women’s Liberation in Syrian Kurdistan, Pluto, London 2014; Robert Lowe, The Emergence of Western Kurdistan and the Future of Syria in David Romano e Mehmet Gurses (a cura di), Conflict, Democratization and the Kurds in the Middle East, Palgrave Macmillan, New York 2014 e Thomas Schmidinger, Krieg und Revolution in Syrisch-Kurdistan, Mandelbaum Verlag, Wien 2014.
[3] Michael Knapp, Anya Flach e Ercan Ayboga, Revolution in Rojava e Michael Knapp e Joost Jongerden, Communal Democracy: The Social Contract and Confederalism in Rojava, «Comparative Islamic Studies», vol. 10, n. 1 (2016), pp. 87-109.
[4] Si veda quanto dichiarato dall’ex co-presidente del PYD Salih Muslum nel 2011: «Vogliamo un cambiamento fondamentale del sistema oppressivo. Alcuni sostengono lo slogan che chiede “la caduta del regime”. Il nostro problema non è il potere. Chi detiene il potere a Damasco va e viene», cit. in Harriet Allsopp, The Kurds of Syria, p. 209.
[5]Robert Lowe, The Emergence of Western Kurdistan; Michael Knapp, Anya Flach e Ercan Ayboga, Revolution in Rojava; Thomas Schmidinger, Krieg und Revolution in Syrisch-Kurdistan e Renée in der Maur e Jonas Staal (a cura di), Stateless Democracy, BAK, Utrecht 2015.
[6] Harriet Allsopp, The Kurds of Syria, pp. 176–177.
[7] Si veda https://bit.ly/2QWDqYl
[8] Generalmente la politica del regime è stata quella di continuare a pagare i salari dei funzionari locali. In questo modo esso segnalava di non accettare la nuova configurazione e di essere deciso a riaffermare il controllo dello Stato in qualche momento del futuro.
[9] ISIS è stato espulso nel 2016 da parte delle SDF. Yasser Munif, Participatory Democracy and Micropolitics in Manbij: An unthinkable revolution, «The Century Foundation» (2017), https://bit.ly/2BaXVLF
[10] Michael Knapp, Anya Flach e Ercan Aybog, Revolution in Rojava.
[11] Michael Knapp, Anya Flach e Ercan Aybog, Revolution in Rojava, p. 87.
[12] Abdullah Öcalan, Liberating Life: Woman’s Revolution, International Initiative Edition in cooperation with Mesopotamian Publishers, Neuss 2013, p. 55.
[13] Abdullah Öcalan, Demokratik Uygarlık Manifestosu: ortaduğu'da uygarlik krizi ve demokratik uygarlık çözümü, Mezopotamya Yayınları, Neuss 2010.
[14] Abdullah Öcalan, War and Peace in Kurdistan, Transmedia Publishing, London 2014.
[15] Murray Bookchin, Libertarian municipalism: an overview, «Green Perspectives» (ottobre 1991).
[16] Ahmet Hamdi Akkaya e Joost Jongerden, Confederalism and autonomy in Turkey: The Kurdistan Workers’ Party and the reinvention of democracy in Cengiz Gunes e Welat Zeydanlioglu (a cura di), The Kurdish Question in Turkey: New perspectives on violence, representation and reconciliation, Routledge, London 2013.
[17] Murray Bookchin, Libertarian municipalism.
[18] Si veda https://bit.ly/2Ba7jiu
[19] John Simkin, Murray Bookchin, «Spartacus International » (2014). Si veda https://bit.ly/2BbLC1
[20] Si veda https://bit.ly/2Tksoh2
[21] Si veda https://bit.ly/2QSxO1u
[22] Si veda anche il discorso di Salih Muslim alla Conferenza della Commissione Civica della Turchia in Unione Europea (EUTCC), tenutasi il 5 e il 6 dicembre 2012 a Bruxelles.
[23] Si veda https://bit.ly/2cBfrOL