Una puntata extra di T-arab. Un omaggio al maestro siciliano attraverso la sua leggendaria esibizione a Baghdad e la versione araba della sua celebre canzone, che curiosamente nessuno aveva mai trascritto

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:06:30

La nostra rubrica T-arab si occupa di musica araba e di rivoluzioni incompiute. Questa settimana però abbiamo deciso di fare un’eccezione, aggiungendo alla puntata (in arrivo domani) un extra un po’ speciale, per un artista italiano sui generis recentemente scomparso.

Parliamo ovviamente di Franco Battiato. La sua morte ha infatti avuto un’eco anche nel mondo arabo. Non è poi così sorprendente: Battiato ha studiato l’arabo, si è definito «arabo mitteleuropeo», e la sua parabola personale e annessa produzione artistica si è spesso avventurata sull’altra sponda del mediterraneo (e ben oltre).

 

Sono infatti numerose le canzoni in cui, più o meno sorprendentemente, Battiato si cimenta con la lingua araba, ed elencarle tutte non è semplice. Ci accontentiamo di menzionarne alcune tra le più famose: una canzone degli albori come Arabian Song (1980); qualche anno dopo la profetica Zai Saman (1988); Veni l’autunnu (1988), in cui amalgama siciliano e arabo; la rivisitazione della canzone tradizionale irachena Fogh al-Nakhal; la saga di Gilgamesh con libretto in arabo annesso; il progetto Diwan ispirato al poeta arabo-siculo Ibn Hamdis,  oppure la celebre introduzione di Voglio vederti danzare, in cui Battiato afferma di voler «fermare la latinizzazione della lingua araba». E si potrebbe continuare a lungo.

 

Per non parlare del suo concerto a Baghdad nel 1992, un episodio a suo modo rivoluzionario, e che ha acquisito nell’immaginario collettivo (soprattutto degli arabisti) una dimensione semi-leggendaria.

In quell’occasione, Battiato salì sul palco, si sedette in mezzo a un’orchestra arabo-italiana, e aprì il concerto con uno dei suoi pezzi più famosi, L’ombra della luce. Unica differenza: la cantò interamente in arabo.

 

Stupisce dunque scoprire che, a distanza di 30 anni, nessuno abbia riportato il testo di questa versione (tradotta forse da Angelo Arioli, professore di lingua araba e paroliere di alcune canzoni di Battiato?). Navigando nel web, si trova una traduzione letterale che non corrisponde a ciò che effettivamente canta; oppure, sotto i video di YouTube, varie promesse di trascrizione di qualche arabofono o volenteroso arabista. Eppure, il testo in arabo del brano così come cantato su quel palco non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte.

 

Certo, non è poi così sorprendente: l’accento di Battiato e la difficile adattazione di un eloquentissimo arabo (con vocalizzazione completa) a una metrica italiana lascia parecchio all’immaginazione. Non aiuta molto nemmeno la delicata versione di Juri Camisasca e Nabil Bey Salameh (voce del gruppo Radiodervish), che si discosta in parte o semplicemente non include tutto il testo originale.

 

Eppure, Zilāl al-nūr, la versione araba de L’ombra della luce ha un suo interesse e valore proprio. Perciò, non solo merita di essere (almeno tentativamente) trascritta e “consegnata ai posteri”, ma vale anche la pena di “ritradurla”, offrendo, attraverso la mediazione dell’arabo, un testo italiano “inedito”.

 

Si potrebbe parlare a lungo delle origini di questo brano, delle sue possibili esegesi, di quanto alcune scelte linguistiche del traduttore diano un gusto “sufi” (ben tra virgolette!) al testo. Consequenzialmente, partendo da questa canzone si potrebbe facilmente scrivere (spesso speculando, come tanto si è fatto e si sta ancora facendo) sul percorso personale, religioso e spirituale di Battiato.

 

Ma non è questo l’interesse di tarab: a noi oggi importa consegnare un testo rimasto finora “manoscritto”. Un gesto artistico di considerevole bellezza di un cantante italiano in arabo. Nel suo contesto, qualcosa di indubbiamente visionario.

 

Buon (extra) tarab!

 

Canzone: L’ombra della luce (Zilāl al-nūr)

Artista: Franco Battiato

Anno: 1991 (1992)

 

Il testo in italiano e arabo è disponibile sotto al video.

 

 

 

Le ombre della Luce[1]

Purifica[2] il mio spirito dalle impotenze[3]

La notte, nel sonno e al risveglio, nella mia negligenza[4]

Quando, sul percorso, aumenta la mia perplessità[5]

 

E tu non abbandonarmi, no[6]

Non abbandonarmi, no.

 

Elevami nelle mie più alte stazioni spirituali[7]

Verso i mondi della gente del tuo Regno[8]

E liberami dai cicli della mia umanità[9]

 

E tu non abbandonarmi, no

Non abbandonarmi, no.

 

Perché i miei lamenti, le angosce, le ferventi passioni,

gli amori struggenti e l’estasi del cuore[10]

Non sono altro che le ombre della Luce.

Ricordami del mio tormento e delle mie sconfitte

Lontano dalla tua Legge.

Di come non sprecare il mio tempo.

 

E tu non abbandonarmi, no

Non abbandonarmi, no.

 

Poiché la purezza dei cuori nel tuo tempio

o le melodie che unificano la commozione della mia gioia[11]

Non sono altro che le ombre della Luce.

La Luce.

(se Tu…)

 

 

 

ظلال النور

 

صفّ لي روحي من الإعياء

الدجى في النوم والصحوة غفلتي[12]

حين تزيد في الدرب حيرتي

 

فلا تهجرني لا

لا تهجرني لا

 

اُسم بي لعُليا المقامات

إلى عوالم إنس الملكوت[13]

وخَلِّصْني (من) أطوار بشريتي 

 

فلا تهجرني لا

لا تهجرني لا

 

فلهفي والشجو والصبابة

والجوى ووجد الفؤاد

إن هي إلاّ ظلال النور[14]

واخبرني بكربي وخيباتي

بعيدًا عن ناموسكَ

كيف لا أهدر الزمن

 

فلا تهجرني لا

لا تهجرني لا

 

لأن صفاء الجنان في معبدك

أو نغمات توحّد طرب فرحتي 

إن هي إلاّ ظلال النور

النور

)إن كنتَ(

 

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Manteniamo una traduzione relativamente letterale, per porre in risalto le sfumature che il testo arabo riconsegna nella sua “nuova” traduzione italiana, a sua volta in dialogo con la versione italiana originale. Si tratta di un testo in arabo classico, eloquente, con un chiaro uso di “termini tecnici” della tradizione ascetico-mistica islamica. Come accennato, la pronuncia del cantante, la qualità del video e alcune traduzioni più libere hanno reso la trascrizione del testo arabo complessa e probabilmente non priva di errori (di cui mi prendo la completa responsabilità). Per questa puntata extra non solo ringrazio, come sempre, Omar, per la sua pazienza e disponibilità, ma anche Martino e Raja, maestro di oud e grande appassionato di Battiato.
[2] Il primo verbo, “rendere limpido”, “purificare”, “filtrare”, “rettificare” (saffā) evoca immediatamente l’idea di “purezza” dello spirito e dei cuori. Si tratta di un concetto cardine nella celebre corrente di “mistica” islamica conosciuta come sufismo o tasawwuf, termine la cui etimologia (popolare e non scientifica!) vorrebbe derivante proprio dall’idea di purezza (safā’).
[3] Vocabolo ricercato, traducibile anche con “fatiche”, “sfinimenti”, “languori”, “incapacità”, “fiacchezze”, “crolli”.
[4] Termine fondamentale della tradizione ascetico-mistica islamica: ghafla indica “disattenzione”, “negligenza”, “oblio” e “inavvertenza” del servo (del credente) nei confronti del proprio Signore.
[5] Un ulteriore vocabolo fondamentale, questa volta più marcatamente sufi, corrispondente spesso a stati spirituali elevati o stazioni spirituali avanzate del percorso di ricerca del divino. Hayra, a volte tradotto più o meno opportunatamente come “aporia”, indica infatti la “perplessità” dell’uomo di fronte al mistero, in particolare nel suo essere coincidentia o summa oppositorum.
[6] Interessante la scelta del termine che rende l’italiano “abbandonare”. Battiato ricorre infatti a un verbo fondamentale per la storia islamica: hajara (“emigrare”, “dissociare”, “separare”), da cui il sostantivo hijra, l’emigrazione di Muhammad dalla Mecca a Medina, momento chiave della sua missione profetica.
[7] Si noti l’elegante scelta di traduzione del verbo “elevarsi”, che si rifà alla radice verbale da cui deriva anche il sostantivo “cielo”. Maqāmāt è invece un termine tecnico sufi che indica le “stazioni” spirituali che il ricercatore attraversa nel suo percorso verso Dio.
[8] Non siamo certi della correttezza di questa frase. Può darsi che ins (qui inteso come “gente”, ma anche “mondo”, “universo”, “umanità”) debba leggersi invece uns, una stazione o stato spirituale sufi di “intimità”  e “prossimità” con il divino.
[9] Il verbo polisemico qui usato per indicare l’atto di “liberare” (khallasa) sottintende una potente libertà salvifica, redentiva e purificativa.
[10] Questo elenco presenta una ricchezza etimologica non indifferente: il verbo lahafa (da cui la nostra traduzione con “lamenti”) indica una pena agognante, un desiderio addolorato, un anelito ansioso, e finanche brama; il termine qui tradotto con “angosce” (shajū) indica invece un’afflizione patetica, un’angoscia piena di paura, etimologicamente legata alla sensazione di un corpo estraneo conficcatosi in gola. “Fervente passione” e “amore struggente”, riportate al plurale per scelte stilistiche, sono pallide parafrasi dei termini sabāba (amore “bramoso”, tendente all’altro, incontrollabile) e jaw (un amore “di unione”, tanto “erotico” quanto “mesto”). Per il polisemico quanto “esistenziale” termine wajd, qui tradotto con “estasi”, rimando invece a questo articolo.
[11] Si noti il termine… tarab!
[12] أو: "وغفلتي".
[13] أو: "أٌنس".
[14] أو: "ما هي إلاّ ظلال النور".

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