Il Corano ha bisogno di un Sovrintendente, esattamente come gli organi sensoriali hanno bisogno di un cuore
Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 10:11:12
Al-Kulaynī, nato nei pressi dell’attuale Teheran nell’864 e morto a Baghdad nel 941, è autore della più importante raccolta di hadīth sciiti, intitolata Al-Kāfī (“Il libro sufficiente”); titolo quanto mai adatto considerata la vastità della collezione, che forma il primo e più antico tra i “quattro libri” dello hadīth duodecimano. Il ruolo di assoluta centralità riconosciuto agli imam emerge già dalla scelta di riportare nell’opera le tradizioni attribuite non solo a Muhammad, ma anche ai suoi successori, ampliando così significativamente l’estensione della storia sacra. Se infatti per il sunnismo la rivelazione si chiude nel 632 con la morte di Muhammad, per lo sciismo l’autorità docente degli imam continua a esercitarsi almeno fino alla scomparsa fisica dell’ultimo di essi, nell’874.
Non poche tra queste tradizioni vertono poi sulla funzione dell’imam, in particolare nel capitolo intitolato Libro della Prova. Come in un cammino ascendente, esso prende l’avvio da una discussione intorno alla necessità di una guida infallibile, ispirata da Dio. Essa – così argomenta il primo hadīth proposto – non può consistere nel solo Corano, perché il libro sacro islamico è oggetto di interpretazioni divergenti e conflittuali, come mostra l’esistenza di numerose scuole teologiche e giuridiche. Il Corano dunque – conclude il ragionamento – ha bisogno di un Sovrintendente, esattamente come gli organi sensoriali hanno bisogno di un cuore.
Una figura sovraumana
E tuttavia, di questo Imam-Prova sono date nelle tradizioni due letture piuttosto differenti. La prima è quella dell’ottavo imam ‘Alī al-Ridā (766-819), che lo intende essenzialmente come una guida della comunità. Le funzioni che gli attribuisce sono piuttosto simili a quelle del califfo sunnita – prova che le due linee di pensiero si svilupparono in stretto contatto – anche se risulta accentuata la componente carismatica. Designato come erede da parte del califfo abbaside al-Ma’mūn (813-833), al-Ridā fu sul punto di assumere effettivamente tali funzioni, nel quadro di una tentata riconciliazione intra-musulmana. Ma la storia decise diversamente, e al-Ridā morì prima del califfo abbaside.
Molto più radicale è l’interpretazione avanzata dal sesto imam, Ja‘far al-Sādiq (702-765), una delle figure di maggior rilievo del pensiero islamico dei primi secoli, anche al di fuori dell’ambito sciita. Come si deduce dalle tradizioni in cui figura il suo nome, alcuni suoi discepoli inclinavano a vedere nel loro maestro una figura sovraumana, in possesso di una Scienza iniziatica trasmessagli dal profeta. L’imam e i suoi seguaci sarebbero quindi gli “ulema” per eccellenza, dove il termine non ha il senso sunnita di “dottori della Legge”, ma designa quanti detengono lo ‘Ilm, il Sapere divino «che viene comunicato notte e dì, giorno dopo giorno e ora dopo ora[1].
L’Occultamento e il compito del credente
Le prerogative metafisiche dell’imam-Prova, che sempre secondo Ja‘far al-Sādiq «esiste prima delle creature, con le creature e dopo le creature», sono argomentate attraverso una lettura allegorica del Corano, di cui è un buon esempio la parafrasi del celebre versetto della luce (Cor. 24,35). Ognuno degli oggetti menzionati nel brano coranico è infatti letto come un’allusione a una personalità storica della Famiglia profetica: Fātima, figlia di Muhammad e moglie di ‘Alī, Hasan e Husayn, i due nipoti, e Abramo, a cui gli imam si riconnettono volentieri come autentica posterità. A volte questa esegesi si spinge fino a modificare il testo rispetto alla recensione corrente del Corano, ordinata da ‘Uthmān, come nel breve capitolo sulla differenza tra profeta, inviato e imam. Del resto, un’altra tradizione insegna che solo ‘Alī, il grande avversario di ‘Uthmān, avrebbe raccolto e memorizzato il libro sacro nella sua interezza. La celebrazione del ruolo cosmico dell’imam può allora assumere toni scandalosi, ma l’ultimo hadīth tradotto ammonisce i fedeli a non rinnegare anche quelle parole «che destano terrore nel vostro cuore».
Il Libro della Prova testimonia infine lo scoramento che s’impadronì della comunità sciita al momento della scomparsa dell’undicesimo imam. Le tradizioni riportate nel capitolo sull’Occultamento sono tra le prime espressioni della dottrina secondo cui il suo successore, ancora bambino, si sarebbe celato alla vista degli uomini per sottrarsi ai suoi persecutori «per alcuni anni del vostro tempo». Esse però lasciano aperta la decisiva questione su cui da quel momento si dividerà lo sciismo, quella cioè del compito del credente durante l’Occultamento. È chiamato a ritirarsi dalla vita politica per cercare di contemplare nel proprio cuore la luce dell’imam in attesa del suo ritorno come Mahdī alla fine dei tempi o deve piuttosto affidarsi agli ulema – ormai diventati l’analogo dei dottori della legge sunniti – a cui spetterebbe il compito di guidare nel tempo la comunità? Il dilemma attraversa tutta la storia dello sciismo. E non è stato ancora risolto.
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Note
[1] Cfr. Mohammad Ali Amir-Moezzi, Le guide divin dans le shî‘isme originel, Verdier, Lagrasse 2007 (nuova edizione), p. 192, nota 387 e pp. 334-335.