La prima introduzione critica a Ibn Taymiyya, contraddittorio giurista-teologo e ispiratore dei salafiti contemporanei

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:43

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Jon Hoover, Ibn Taymiyya, “Makers of the Muslim World”, OneWorld Academic, London 2019

 

Alzi la mano chi, tra quanti si occupano di Islam contemporaneo, non ha sentito nominare almeno una volta Ibn Taymiyya, il pensatore siriano morto nel 1328 punto di riferimento dell’odierno mondo fondamentalista (e anche di parte di quello riformista). Ma tra l’averlo sentito nominare e il conoscerlo a fondo ne passa di strada, non foss’altro per la vastità della sua produzione letteraria: solo le fatwe riempiono, nell’edizione a stampa, 37 volumi.

 

Non si può quindi che essere grati a Jon Hoover, professore associato di Studi islamici all’Università di Nottingham, per aver fornito la prima introduzione critica a questo giurista-teologo in una lingua occidentale, tratteggiandone, in poco più di 100 magistrali pagine, la contraddittoria figura. Punto di partenza è la biografia di Ibn Taymiyya, da conoscere a fondo poiché molte sue prese di posizione, anche occasionali, continuano a fare autorità fino ai nostri giorni.

 

Ad esempio le sue fatwe contro i mongoli, che autorizzano a combatterli nonostante siano nominalmente musulmani, offrono un’importante legittimazione alla violenza che i jihadisti rivolgono contro le loro stesse società. Ugualmente rilevante è la sua fatwa contro i Nusayri (modernamente noti come alawiti) e i Drusi, un pezzo forte degli islamisti nella guerra civile siriana. L’episodio di uno scriba cristiano accusato di aver insultato il profeta dell’Islam diventa lo spunto per il più ampio trattato in materia nella giurisprudenza islamica, La spada sguainata contro chi insulti il Profeta, nel quale si afferma la necessità di punire con la morte il colpevole, persino nel caso in cui si converta all’Islam.

 

E di nuovo il nesso con l’attualità delle vignette satiriche è più che evidente. Più imbarazzanti per gli ambienti fondamentalisti sono le sue opinioni sui versetti satanici (per lui la tradizione è autentica), sulla fallibilità dei profeti e sul mawlid, la festa per la nascita di Muhammad che gli odierni salafiti rifiutano come innovazione, mentre per Ibn Taymiyya va mantenuta se non può essere sostituita da qualcosa di meglio.

 

In ogni caso Ibn Taymiyya fu un pensatore profondamente intollerante, che già da vivo suscitò devozione e avversione, finendo più volte incarcerato dalle autorità. Così intense furono le polemiche in cui si gettò a capofitto che non gli lasciarono il tempo di sposarsi, fatto rarissimo nell’Islam. Intollerante però non significa affatto intellettualmente irrilevante, non nel suo caso almeno. Un primo punto di grande interesse è a questo riguardo la sua graduale scoperta della teologia, in genere poco considerata nell’Islam sunnita. Ibn Taymiyya infatti comincia la sua carriera come giurista nella scuola hanbalita, ma gradualmente se ne allontana assumendo lo statuto di interprete indipendente.

 

Questo lo porta a riconsiderare i presupposti stessi del diritto islamico, formulando quello che diventerà il suo programma di vita: riconsiderare ogni aspetto della civiltà islamica alla luce del Corano e della Sunna per purificarla da ogni aggiunta successiva. Il progetto si estenderà ben presto dal diritto al sufismo, alla filosofia, alle controversie intra- e inter-religiose. Passando appunto attraverso la “scoperta” della teologia, tanto che «un giorno uno dei discepoli […] gli chiese perché avesse scritto più di teologia che di qualsiasi altro argomento» (p. 107). È questa coscienza della centralità della teologia che sembra oggi mancare a gran parte del pensiero islamico, eccessivamente assorbito nella discussione degli aspetti pratici della legge, con la paradossale eccezione – appunto – dei salafiti. Naturalmente – precisa Hoover – «la teologia per Ibn Taymiyya non è un’impresa teoretica, ma un esercizio pratico teso all’ubbidienza e all’adorazione» (p. 139).

 

Come già nella sua personalità, capace secondo i contemporanei di slanci di sincera pietà, ma anche di terribili scatti d’ira e maleducazione, così anche nel suo pensiero teologico si registrano sorprendenti contraddizioni. Da una parte ad esempio egli sostenne un antropomorfismo gretto sulla base del principio per cui «non esiste nulla di incorporeo e non spaziale fuori della mente», (pp. 109-110), cosa che lo portò a essere accusato, probabilmente a ragione, di corporalismo, «immaginando un Dio di enormi dimensioni che avvolge l’universo» (p. 118). Dall’altro spicca la finezza con cui imposta il problema del male, rifiutando il volontarismo ash‘arita in nome della saggezza divina, accettando da Avicenna (sì, proprio lui!) l’idea della non-sostanzialità del male e concludendo che Dio crea i peccati umani «come punizione per un fallimento originario da parte dell’umanità a compiere gli atti buoni per cui Dio l’ha creata» (p. 128).

 

Ma la più grande contraddizione è probabilmente quella tra la sua implacabile militanza contro chiunque si discostasse dal suo progetto di ritorno alle fonti e la sua fede nella temporalità delle pene infernali, altro elemento di serio imbarazzo per gli odierni salafiti. Per dirla con Hoover «Ibn Taymiyya è totalmente ostile a religioni diverse dall’Islam e non ha dubbi che i miscredenti soffriranno una punizione nel fuoco infernale nell’aldilà. Tuttavia al termine della sua vita giunse alla conclusione che questa punizione non durerà per sempre» (p. 137). Perché allora accanirsi con tanto zelo contro la minima deviazione dalla presunta ortodossia se alla fine la misericordia divina saprà trionfare su queste mancanze umane? Non ci risulta che Ibn Taymiyya abbia visto la contraddizione né tanto meno che abbia tentato di rispondervi.

 

Quale sarà stata dunque la sua sorpresa, nell’ora della morte, nello scoprirsi potenziale destinatario di quella misericordia divina che aveva a un tempo intravisto nel pensiero e negato nell’azione.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Martino Diez, Il teologo che non ti aspetti, «Oasis», anno XVI, n. 31, dicembre 2020, pp. 156-158.

 

Riferimento al formato digitale:

Martino Diez, Il teologo che non ti aspetti, «Oasis» [online], pubblicato il 10 dicembre 2020, URL: /it/il-teologo-che-non-ti-aspetti

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