L’architettura istituzionale della Repubblica Islamica dell’Iran prevede la presenza contemporanea di organi a legittimazione popolare e religiosa. Una guida allo “stato duale”
Ultimo aggiornamento: 29/02/2024 14:45:00
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L’Iran è un attore centrale dello scacchiere mediorientale, e gli sviluppi degli ultimi anni, a partire dall’invasione americana dell’Iraq fino alla guerra in Siria e in Yemen, hanno accresciuto la sua influenza. Se le sue mosse geopolitiche sono costantemente oggetto dell’attenzione mediatica, meno nota è la sua complessa architettura “duale”, caratterizzata dalla compresenza di organi elettivi e non elettivi e da centri di potere formale e informale, che rendono semplicistica la raffigurazione di un monolite teocratico al cui vertice siede la Guida suprema.
Al contrario, in particolare dopo la riforma costituzionale del 1989 e la morte dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, i poteri del rahbar (Guida suprema) non sono quelli di un monarca assoluto. Egli resta l’ago della bilancia del sistema iraniano, ma deve confrontarsi con altre forze.
Per capire l’assetto istituzionale della Repubblica islamica, che quest’anno compie 40 anni, occorre tornare al momento della sua instaurazione.
L’11 febbraio 1979 si celebrava il successo della rivoluzione e la sconfitta dello shah Reza Pahlavi, fuggito all’estero. Poco più di un mese dopo, il 30 marzo, un referendum sanciva con il 98% di voti favorevoli l’istituzione di una nuova forma di Stato: la Repubblica Islamica dell’Iran, basata sul principio del velayat-e faqih elaborato da Khomeini, che propugna la gestione diretta del potere politico da parte del faqih, il giurisperito religioso.
Dopo il referendum si tennero le elezioni per la prima Assemblea degli esperti (Majles-e Khebregan), che aveva il compito di redigere una nuova Costituzione. Il risultato è un assetto istituzionale ibrido, con la presenza contemporanea di poteri di emanazione divina e altri di emanazione popolare. Un risultato che indica il compromesso raggiunto tra l’idea di Khomeini e quella di Mehdi Bazargan, allora primo ministro favorevole a una Costituzione ispirata alla Quinta Repubblica francese[1], e che rispecchia la natura ibrida della Rivoluzione del ’79, messa in moto sia dalle forze islamiche che da quelle laiche.
Infografica a cura di Irene Pozzi
Gli organi di derivazione religiosa
Dopo la riforma del 1989 la Costituzione iraniana assegna alla Guida suprema, eletta a vita, il potere di indirizzo di tutti gli organi dello Stato. Il rahbar è inoltre comandante supremo delle forze armate, di cui nomina il capo di stato maggiore, ha il controllo degli apparati di sicurezza (servizi segreti e corpi paramilitari pasdaran e basiji) e delle fondazioni religiose (prima tra tutte la potentissima fondazione dei diseredati, Bonyad-e mostazafin), nomina il vertice del potere giudiziario e delle emittenti radiofoniche e televisive nazionali.
I poteri della Guida sono tali da sancire la preminenza dell’amministrazione della Repubblica Islamica persino sui pilastri dell’Islam. Khomeini stesso, infatti, affermava: «il governo dell’Islam è un obbligo primario che ha la precedenza sugli obblighi secondari come la preghiera, il digiuno e il pellegrinaggio. Per preservare l’Islam, il governo può sospendere uno o tutti gli obblighi secondari».
Di particolare importanza è la facoltà assegnata alla Guida suprema di nominare 6 dei 12 componenti del Consiglio dei guardiani della Costituzione. Gli altri sei membri di questo consiglio, che opera come una sorta di corte costituzionale e che ha assunto una rilevanza sempre maggiore dopo la morte di Khomeini, sono nominati dall’organo di controllo della magistratura e ratificati dal parlamento.
Il Consiglio dei guardiani ha svolto un ruolo sempre più importante grazie al suo potere di veto sull’elettorato passivo. Ciascun candidato, che si tratti di elezioni presidenziali, parlamentari o locali, è infatti preventivamente esaminato dal Consiglio, che ne valuta la conformità ai valori della Repubblica Islamica e conseguentemente ne stabilisce o meno l’eleggibilità. Negli ultimi anni sempre più candidati sono stati squalificati prima delle elezioni. Il Consiglio dei guardiani controlla inoltre che tutti gli atti emessi dal Parlamento siano in linea con la sharī‘a. Si tratta di un organismo dominato dai conservatori più dogmatici che ha contribuito grandemente al fallimento delle proposte riformiste[2].
La riforma costituzionale del 1989, rispondendo al venir meno del carisma del fondatore della Repubblica (Khomeini), ha istituito anche un nuovo organo, il Consiglio per il discernimento (o Consiglio per i pareri di conformità) con il compito di dirimere le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani. Teoricamente, questo organo ha anche il potere di imporre l’approvazione di un disegno di legge rifiutato dal Consiglio dei guardiani, ma la cui necessità è ribadita dal parlamento. I membri del Consiglio del discernimento sono direttamente nominati dalla Guida suprema con un mandato quinquennale. Per anni il Consiglio per il discernimento è stato poco influente, ma la nomina, nel 2012, dell’ex presidente della Repubblica Hashemi Rafsanjani (1934-2017) al vertice di questa istituzione ne ha accresciuto l’importanza, fino a portarlo a supervisionare tutte le attività di governo. La dinamica appena descritta indica la personalizzazione del potere in Iran, che ha portato alla costruzione di un articolato sistema che «crea legami trasversali familiari, alleanze matrimoniali, vincoli patrono-clientelari e solidarietà di ceto sociale»[3].
Gli organi a legittimazione popolare
L’elettorato attivo iraniano comprende tutti gli adulti, incluse le donne, che con voto segreto eleggono il Presidente della Repubblica (elettori maggiori di 16 anni), il Parlamento (Majles-e showra-ye islami, elettori maggiori di 15 anni), i consigli comunali e regionali, e l’Assemblea degli esperti sulla Guida.
Il Presidente della Repubblica, oggi il moderato Hassan Rouhani, presiede il governo, di cui nomina i ministri, svolgendo la funzione di primo ministro dopo l’abolizione di questa figura nel 1989. È eletto con sistema a doppio turno ogni quattro anni, con limite di due mandati consecutivi, ed è l’autorità ufficiale più alta dopo la Guida suprema. L’articolo 115 della Costituzione stabilisce che egli debba essere un musulmano sciita. Il presidente, si legge, «viene eletto fra le personalità di rilievo in campo religioso e politico che siano in possesso dei seguenti requisiti: origine iraniana per nascita da genitori iraniani, nazionalità iraniana, capacità direttive testimoniate da precedenti esperienze, affidabilità e virtù, lealtà convinta nei confronti dei principi della Repubblica Islamica dell’Iran e della religione dello Stato».
Tra le sue prerogative vi è la nomina degli ambasciatori, dei direttori della banca nazionale e della National Iranian Oil Company (NIOC). I poteri del presidente eletto sono limitati dalla presenza delle cariche non elettive in particolar modo in alcuni ambiti, come la politica estera. Un esempio significativo in questo senso sono stati i negoziati per l’accordo sul nucleare, (JCPOA) che sono stati possibili perché il presidente e il ministro degli esteri Mohammed Javad Zarif godevano del benestare della Guida suprema. Ma l’azione del Presidente eletto può essere ostacolata non soltanto dai centri a legittimazione religiosa, ma anche dal Parlamento. A differenza di quanto normalmente avviene nelle democrazie occidentali, il governo iraniano non può essere sfiduciato da questa assemblea. Tuttavia, il rapporto tra presidente e parlamento è spesso conflittuale e il majles può bloccare l’azione del governo sfiduciandone i ministri.
La Costituzione stabilisce che il parlamento sia composto da 270 membri, cifra elevata nel 1999 a 290 in considerazione dell’aumento della popolazione. L’elezione avviene ogni quattro anni attraverso un sistema misto di collegi uninominali e plurinominali, con cinque seggi riservati alle minoranze religiose: uno ciascuno per ebrei, zoroastriani, cristiani assiro-caldei e due per gli armeni, uno per quelli del Nord e l’altro per quelli del Sud dell’Iran. Tra i poteri del parlamento unicamerale iraniano vi sono l’approvazione del bilancio statale, la ratifica dei trattati internazionali e soprattutto dei sei membri rimanenti del Consiglio dei guardiani, selezionati dall’organo di controllo della magistratura. Per anni le elezioni parlamentari sono state «sostanzialmente democratiche, con una selezione preventiva dei candidati tutto sommato limitata (…) e con minime manipolazioni dei risultati elettorali»[4]. Il clima cambia nel 2004, quando i gruppi conservatori e ultraradicali hanno iniziato a eliminare dalla competizione elettorale la maggioranza dei candidati moderati e riformisti, alterando pesantemente l’esito del voto.
Ultimo tra gli organi a legittimazione popolare è l’Assemblea degli esperti sulla Guida, il cui compito più importante è eleggere tra i suoi ranghi la Guida suprema. Quest’organo, con sede ufficiale a Qom, è previsto dagli articoli 107 e 108 della Costituzione iraniana, che ne stabiliscono l’elezione diretta. Gli 88 membri che la compongono devono avere una provata fede religiosa, essere affidabili e avere un comportamento moralmente ineccepibile; essere in grado di interpretare la legge islamica in modo da poter giudicare se la Guida suprema è degna di tale carica; conoscere le tematiche politiche e sociali del Paese e infine credere nel sistema della Repubblica Islamica e averlo sempre sostenuto.
La durata di questo organo elettivo, i cui candidati sono comunque preventivamente vagliati dal Consiglio dei guardiani (fu squalificato persino Hassan Khomeini, figlio del fondatore della Repubblica), è fissata a otto anni. Considerando l’età dell’attuale Guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, ormai ottantenne, le ultime elezioni tenutesi nel 2016 sono state seguite con una certa attenzione, ipotizzando che prima del 2024 possa essere necessario scegliere un nuovo rahbar.
Come si è visto, dunque, ciascuna scelta politica o economica iraniana è frutto della composizione di interessi, poteri e prerogative di diverse tipologie di organi: tutto il sistema concorre affinché l’efficacia degli organi che godono di legittimazione popolare sia limitata dalla presenza di centri formali di potere legittimato religiosamente (la Guida, il Consiglio dei guardiani e il Consiglio per il discernimento) e informali, come le fondazioni e i corpi paramilitari. Ecco perché, più che auspicare improbabili riforme o avventurose punizioni, le politiche occidentali e statunitensi in particolare dovrebbero cercare di rafforzare le figure non oltranziste che, per ora, siedono negli organi elettivi.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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