Quali sono le conseguenze, esplicite e inconfessate, della scelta di Trump di inserire i pasdaran iraniani nella lista delle organizzazioni terroristiche
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:58:56
Il corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniana (Sepah-e pasdaran-e enghelab-e islami) è dunque un’organizzazione terroristica. Alla ricerca di nuovi strumenti per esercitare quella maximum pressure voluta dal presidente Donald Trump contro Teheran, Washington ha optato per questa mossa che ha fatto – prevedibilmente – molto rumore, dato che mai si era incluso nella lista dei gruppi terroristici una forza armata di un Paese. Questa decisione, al di là dei suoi toni propagandistici, non rappresenta solo un nuovo passo verso una demonizzazione di un intero Paese che suona ormai come ossessivo-compulsiva da parte della destra americana. Sono molto più numerose le conseguenze, esplicite o inconfessate che siano, che ne derivano.
Sul piano interno, di fatto, l’amministrazione Trump rende quasi impraticabile la decisione da parte di un possibile nuovo presidente democratico alla Casa Bianca di ritornare all’interno dell’accordo nucleare (JCPOA). Inoltre, concorre a demolire le flebili speranze future di un riavvicinamento diplomatico fra i due paesi, aumentando il rischio che deriverebbe dal partecipare agli incontri cosiddetti Track-2, ossia di diplomazia parallela, fra esponenti statunitensi e iraniani. E complica enormemente anche la paradossale co-abitazione fra pasdaran e forze militari statunitensi in Iraq, dato che entrambe sostengono e assistono il governo di Baghdad. Di fatto, Washington dovrebbe considerare come complici di terroristi la quasi totalità dei vertici istituzionali, politici e militari iracheni, i quali hanno stretti rapporti con esponenti di questa potente forza para-militare.
Eppure, non è questa conseguenza quella più insidiosa. L’aspetto taciuto dal Segretario di Stato Mike Pompeo, falco anti-iraniano e filo-saudita da sempre, è rappresentato dalle ricadute a livello economico. Non è un mistero che l’obiettivo di strangolare l’economia iraniana si stia rivelando più complicato del previsto. Un po’ perché gli iraniani sono abituati alle sanzioni, un po’ perché questa volta gli Stati Uniti hanno contro non solo Cina e Russia, ma la stessa Unione Europea. Bruxelles, che non può certo essere considerata come un attore coraggioso sulla scena internazionale, ha addirittura cercato di reagire creando uno strumento finanziario ad hoc per aggirare le sanzioni (lo Special Purpose Vehicle SPV-INSTEX). Che questo meccanismo funzioni realmente sembra improbabile; e infatti neanche gli iraniani ci scommettono tanto, ma è il messaggio che suona pericoloso al presidente Trump e alla sua corte di ultra-radicali. Perché dà l’idea che si possa resistere alle pressioni che vengono dalla capitale dell’impero, nonostante le nuove sanzioni ideate prevedano la loro extraterritorialità, ossia possano colpire tutti gli individui e le aziende che commerciano con l’Iran se lo fanno in dollari o se hanno filiali o commerci attivi con gli USA. Nei primi mesi di quest’anno, infatti, le esportazioni iraniane di petrolio sono state più alte del previsto, con grande disappunto americano.
Ma ora che i pasdaran sono stati dichiarati un’organizzazione terroristica diventa tutto più difficile. Perché, come noto, essi non sono solo la spina dorsale della difesa militare della Repubblica islamica iraniana, ma un conglomerato di società economiche, aziende produttive, compagnie commerciali. Non vi è settore, da quello bancario a quello delle telecomunicazioni, dai commerci internazionali alla gestione degli aeroporti, che non vedano i pasdaran coinvolti, tramite la galassia opaca delle loro società e fondazioni. Significa quindi che ogni azienda o manager europeo (o russo o indiano o cinese) che fa affari con l’Iran dovrà essere molto cauto e assicurarsi che nell’accordo non entrino società a essi ricollegabili. Perché i rischi sarebbero altissimi, arrivando fino alla richiesta di arresto da parte statunitense. Di fatto, Washington cerca di bullizzare gli altri paesi, amici o meno che siano, minacciando di conseguenze ai limiti (o oltre) del diritto internazionale tutti quelli che non si adeguano alle sue politiche. Quindi, una decisione che è molto più che un semplice atto simbolico come sostenuto da alcuni analisti.
Vi è infine un aspetto più militare e collegato alle azioni di eliminazione dei capi terroristici. Washington si comporterà come si è comportata con al-Qa‘eda e con Daesh? Ricorrerà insomma all’assassinio tramite missili o droni, dei vertici dei pasdaran? Cercherà di uccidere l’eroe super-star dei pasdaran, il generale Qassem Soleimani, la volpe del deserto iraniana? L’uomo, anche se Washington preferisce non ricordarlo, che ha contribuito a salvare Baghdad e l’Iraq dalla disfatta contro le milizie jihadiste del califfo al-Baghdadi nel 2014. Più difficile, invece, che miri a scatenare un conflitto militare vero e proprio, sia per la pericolosità della risposta iraniana, sia perché questo presidente sembra preferire il disimpegno militare (come sta facendo in Afghanistan e Siria) a nuove costose avventure in Medio Oriente.
Insomma, questo passo accentua ulteriormente la polarizzazione in Medio Oriente e asseconda il desiderio israeliano e saudita di provocare un regime change a Teheran, costi quel che costi. Tuttavia, almeno a breve termine, la mossa non può far altro che ricompattare la divisa élite di potere post rivoluzionaria di Teheran. Non è un mistero che il presidente Rouhani e tutti i moderati e riformisti guardino con crescente preoccupazione e fastidio al crescente, tracotante potere dei pasdaran a ogni livello, militare, politico, economico e sociale. Ma di fronte a una escalation di questo tipo, che rafforza ancor di più la già ossessiva securitization di ogni aspetto decisionale nella Repubblica islamica, ogni dissenso e distinguo deve essere messo a tacere. Almeno per ora, in attesa di vedere quando e quanto forte “grandinerà” dalle nuvole nere di una contrapposizione frontale che Trump e i suoi consiglieri sembrano fortemente volere, a dispetto di ogni logica e buon senso visto lo stato di devastazione in cui versa il Medio Oriente. O della constatazione che – in questi decenni – la scia di sangue del terrorismo di matrice islamista non è imputabile principalmente all’estremismo sciita; dottrinalmente esso è infatti legato alla visione salafita-jihadista, diffusasi nel Dar al-islam non già per colpa di Teheran, ma anche grazie alla miopia del pensiero wahhabita radicale sponsorizzato da quell’Arabia Saudita a cui Washington è oggi così legata.