Gli uomini di religione hanno per secoli considerato gli studi storici del Testo sacro come una miscredenza di derivazione occidentale: ciò non ha impedito lo sviluppo di un pensiero critico

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Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 17:26:33

L’establishment religioso del mondo musulmano ha considerato per secoli gli studi critici del Testo sacro una forma di miscredenza di derivazione occidentale: intellettuali e studiosi sono stati attaccati nei tribunali, sui mass media, nelle università. Il soffocamento della libertà intellettuale tuttavia non ha impedito il pensiero: lo ha semplicemente trasferito su Internet e i social network.

 

È lecito coniugare la libertà intellettuale, un valore umanista emerso dal cuore dell’Illuminismo europeo, e lo studio del Corano, libro sacro per le società islamiche? In altre parole, è possibile studiare il Corano secondo i metodi scientifici e critici moderni senza restrizioni dogmatiche? Non si apre così la strada al dubbio, alla miscredenza e alla sedizione (fitna)? Se a questa serie di domande rispondiamo negativamente, ne dobbiamo concludere che le società islamiche sono tenute a imporre un concetto rigido del testo (che coincide con il dogma) e processare chiunque sia in disaccordo con esso: questa è precisamente la tragica situazione in cui ci troviamo oggi. Se per esempio facciamo una ricerca su Internet, in arabo, circa la questione della libertà in generale, per non parlare della libertà nello studio del Corano, troveremo che la maggior parte dei pareri, delle dichiarazioni e delle opinioni provengono da uomini di religione. Questo semplice esperimento rivela già da solo un malessere circa la natura della libertà nel mondo arabo-islamico, dal momento che in queste società gli uomini di religione svolgono un ruolo di gran lunga superiore alla loro consistenza numerica.

 

Molti di essi affermano che la libertà intellettuale conduce alla libertà di espressione e quindi alla libertà di credo, ciò che è vero. Ma quello che in realtà intendono dire è che la libertà corrompe la dottrina e la religione, e questo è falso. Il problema in questa tesi è il sistema con cui imporre alla gente comune una dottrina onde creare una società credente, secondo gli standard degli uomini di religione. Come confermano molti indicatori, questa è una grande illusione. Possiamo infatti sinteticamente dire che in molte società arabo-islamiche si assiste contemporaneamente alla propagazione del fondamentalismo religioso, alla comparsa di focolai terroristici e alla crescita dell’ateismo[1]. A questi dati statistici si aggiunge il fatto che il mondo arabo-islamico è oggi il più attivo sui social network come Twitter, a causa della diffusione su larga scala della repressione e della mancanza di libertà di pensiero che ne deriva[2]. Ormai gli arabi musulmani, soprattutto i giovani, hanno creato una società digitale parallela che si oppone alle società repressive, uno spazio che offre la libertà di porre domande e ricevere risposte senza dover ricorrere alla società esterna o agli uomini di religione. A questo proposito, la questione forse più importante è quella del Corano e della sua comprensione attraverso un approccio critico, possibile esclusivamente attraverso gli studi coranici moderni.

 

L’autonomia del pensiero nel Corano

 

Il contesto storico del Corano, come testimoniano i suoi versetti, era caratterizzato dalla presenza di numerosi gruppi religiosi tra cui ebrei, cristiani, zoroastriani, sabei e altre antiche sette (Cor. 2,62; 5,69; 22,17). Non sorprende perciò che il testo sfidi i fedeli di queste religioni precedenti all’Islam facendo appello alla loro sensibilità intellettuale per invitarli a una nuova visione della fede. La fede si stabilisce soltanto dopo aver meditato sulla creazione dei cieli e della terra ed esaminato i Segni che essi contengono. Dalla domanda «Non esaminano dunque il Corano?» (4,82), all’attestazione secondo cui «e certo in questo v’han Segni per la gente che sa meditare» (45,13), nel testo si contano decine di versetti che invitano il lettore a valutare il messaggio. Nonostante questo, e dopo aver dato ai suoi ascoltatori piena libertà e molte prove e argomentazioni, il Corano afferma che «i più degli uomini, anche se tu lo brami, non sono credenti» (12,103). Neppure uno tra gli oltre seimila versetti che compongono il Libro Sacro trasmette l’idea che la società coranica fosse una società credente. Anzi, in molti versetti il Messaggero è deluso e avvilito a causa dell’assenza di quella fede a cui la sua predicazione invita. Come risponde il Corano? Reprimendo la libertà o imponendo la dottrina del monoteismo abramitico (hanīfiyya)? Esattamente il contrario.

 

Tra i versetti del testo non mancano le prove a favore della libertà intellettuale e della pluralità dottrinaria, di cui unico giudice è Dio. I versetti sono chiari e manifesti: «Ma dì: “La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole respinga la Fede. Per vero abbiam preparato per gli empi un fuoco il cui turbinare fumoso li avvolgerà d’ogni parte”» (18,29); «Non vi sia costrizione nella Fede, la retta via ben si distingue dall’errore» (2,256); «E gli uomini formavan dapprima una comunità sola: poi sorsero dissensi fra loro e se non fosse stato per un Decreto Antico del tuo Signore, sarebbero già stati decisi i loro dissensi» (10,19); «Se un gruppo di voi avrà creduto nel mio messaggio, e un altro gruppo non avrà creduto, pazientate, finché Iddio giudicherà fra di voi: Egli è il migliore dei giudici!» (7,87).

 

Persino l’annuncio della religione dell’Islam è associato nel testo alla divergenza: «In verità la Religione, presso Dio, è l’Islam, e coloro cui fa dato il Libro furon dilaniati da scismi solo dopo che venne a loro la scienza, per invidie sorte fra loro» (3,19). Che cosa ha ordinato il Dio del Corano al suo Messaggero e alla gente che lo scherniva? Nel Libro si legge: «E noi ben conosciamo che a quel ch’essi dicono ti si stringe il cuore. Ma celebra le lodi del tuo Signore e insieme agli altri adoraLo» (15,97-98); «Meglio Noi conosciamo quel che essi dicono, e tu non sei stato inviato a costringerli alla Fede: ammonisci, solo, col Corano, chi la Mia minaccia paventa» (50,45); «Noi abbiamo a te rivelato la Scrittura per gli uomini, secondo Verità, e chi se ne lascerà guidare sarà a suo vantaggio, e chi devia, devia contro se stesso: e tu non hai da esser loro patrono» (39,41); «Ammonisci, ché un Ammonitore tu sei, non sei stato nominato loro sovrano! Solo coloro che avran volto le spalle e non avranno creduto, Dio infliggerà loro il castigo supremo» (88,21-24); «E se il tuo Signore avesse voluto, avrebbero creduto tutti quanti son sulla terra. Ma potresti tu costringere gli uomini ad essere credenti a loro dispetto?» (10,99).

 

E tuttavia i versetti coranici relativi all’uccisione dei miscredenti non contraddicono forse la libertà di pensiero? No, perché quegli stessi versetti sono legati a uno stato di guerra, come dimostra la storia e il testo stesso. Ma allora che rapporto esiste tra la questione che ci occupa, cioè la libertà, e lo scacciamento dalla Mecca, lo scandalo (cfr. 2,191; 4,89-92) e il patto con le tribù nei quattro mesi sacri (cfr. 9,1-5)? Il problema risiede nella continua polarizzazione politica, nelle ondate di guerre locali e globali, nell’instabilità delle società arabo-islamiche odierne. Il problema risiede nella percezione che l’Islam stesso sia minacciato, che favorisce la diffusione del pensiero jihadista, le organizzazioni terroristiche, gli scontri militari e l’uccisione di musulmani e non-musulmani innocenti. Non sorprende che queste società vivano in una condizione di paura e di ripiegamento e che alla nostra amara realtà contrappongano un passato santificato. Le nostre società si sono trasformate, se è lecita l’espressione, in un popolo a cui «basta la tradizione dei [loro] padri! E se i loro padri non avessero avuto scienza alcuna, e non avessero seguito la retta via?» (5,104). E tuttavia la storia stessa mostra come la scienza, il pensiero e la libertà diventino miscredenza in un contesto in cui dominano le tenebre[3].

 

La fuga dei cervelli

 

Il soffocamento della libertà ha portato in molte società arabo-musulmane alla persecuzione degli intellettuali e al loro esilio. Fra di essi figurano anche pensatori che lavorano e scrivono nell’ambito degli studi coranici, come l’illustre studioso egiziano Nasr Hāmid Abū Zayd (m. 2010), che l’establishment religioso ufficiale condannò al divorzio dalla moglie con l’accusa di essere diventato un miscredente in seguito alla pubblicazione di alcune ricerche scientifiche sul Corano in occasione di un concorso all’università del Cairo.

 

Il suo libro sul “significato del testo” rimane unico nel suo genere in quanto presenta gli strumenti espressivi del testo coranico e la sua semantica con grande brillantezza e semplicità scientifica[4]. Il suo esilio resta una pagina nera in una società che in seguito sarà funestata da feroci battaglie tra terrorismo ed esercito. Prima di Abū Zayd era stato ostracizzato l’azharita Ahmad Subhī Mansūr, fondatore del movimento degli Ahl al-Qur’ān o coranisti, che rifiutano i libri della tradizione islamica e in particolare le raccolte di hadīth. In Iran è stato attaccato il grande intellettuale ‘Abd al-Karīm Sorūsh, accusato di tradimento per le sue conferenze all’estero e per le sue ricerche, che ripensano il rapporto tra i testi religiosi e la filosofia.

 

Chi non è stato esiliato dal proprio Paese si trova in perenne conflitto con le classi religiose e governative. A questo proposito possiamo citare brillanti ricercatori e professori universitari come Sayyid al-Qimnī, che ha scritto sul fattore umano nello sviluppo del Corano e del profeta Muhammad ed è scampato ai tentativi di omicidio ma non alle percosse e ai pugni in diretta televisiva. Rientrano in questa categoria anche grandi letterati egiziani come Taha Husayn, Amīn al-Khūlī e Muhammad Abū Zayd, che hanno studiato il Corano come testo letterario, elevandolo in questo modo al livello di oggetto di uno studio critico scientifico. Peccato che la loro società non si sia elevata allo stesso modo. Anzi, l’establishment religioso ha considerato gli studi critici, soprattutto nell’ambito del Corano e dell’Islam, una miscredenza di derivazione occidentale, e su questa base gli intellettuali sono stati attaccati nei tribunali, nei media e nelle conferenze.

 

C’è anche chi ha pagato con la vita: il grande pensatore egiziano Farag Foda è stato assassinato dalla Jamā‘a Islāmiyya in seguito ai dibattiti che lo videro protagonista e ai suoi veementi scritti critici, nei quali denunciava l’incapacità di distinguere tra i concetti coranici e la tradizione, citando per esempio il caso della lapidazione, una pena che nel Corano non esiste. Gli scritti e la reputazione della scrittrice e psichiatra Nawāl al-Sa‘dāwī, alleata di Foda nella promozione di una posizione illuminata, furono diffamati al punto che l’autrice lasciò l’Egitto per l’Occidente, ma questa è un’altra storia. In Sudan, Muhammad Mahmūd Taha sostenne la libertà e l’uguaglianza attraverso il Corano, che leggeva invertendo l’importanza giuridica dei versetti noti come meccani e medinesi[5]. Il suo destino non poté essere che l’accusa di miscredenza e l’esecuzione della pena prevista per l’apostasia, cioè la morte.

 

La repressione della libertà di pensiero e la fuga dei cervelli non significa peraltro che le società arabo-islamiche siano completamente prive di pensatori che fanno sentire la loro voce nell’ambito degli studi coranici, anche se essi sono una minoranza. Nel 2016 è morto in Egitto Ali Mabrouk, collega e amico di Abū Zayd, noto per aver avanzato l’ipotesi, sulla base della tradizione islamica, che il profeta Muhammad avesse lasciato il Corano come un discorso aperto. In Tunisia il campo intellettuale è rimasto leggermente più aperto e Olfa Yousef ha potuto sostenere la pluralità dei significati nella semantica coranica. Analogamente, il grande pensatore Hishem Djaït [Hishām Ja‘īt] ha indagato l’incidenza dei fattori storici e umani sulla persona del profeta Muhammad e sul processo di formazione del testo coranico, compresa l’influenza della tradizione siriaca cristiana. Anche in Arabia Saudita e Kuwait permangono scintille di pensiero critico nelle opere di Ibrāhīm al-Buleihi [al-Bulayhī] e Ibtihāl al-Khatīb. La verità però è che la maggior parte di quanti studiano il Corano con un metodo critico non vive né nel mondo arabo né nel mondo islamico, ma in Occidente, dove c’è una più grande libertà intellettuale e maggiori possibilità di lavorare.

 

È necessario infine fare un riferimento al reato di “offesa delle religioni” e alle leggi oppressive verso i cittadini di molte società arabo-islamiche che ne derivano. È un frutto della stessa mentalità esclusiva e takfirista che ha innescato le guerre e il confessionalismo in queste società. Se Dio davvero non ha bisogno degli uomini, siano essi credenti o miscredenti (39,7), e se «renderà perfetta la Sua luce» (9,32), la società dovrebbe piuttosto preoccuparsi di varare una legge che impedisca “l’offesa dell’uomo”.

 

Lo studio libero delle Scritture online e in Tv

 

Come abbiamo detto in precedenza, la repressione politica e l’imposizione dell’ortodossia non hanno reso credente la società, ma hanno spinto le persone verso gli estremi, il fondamentalismo o l’ateismo. Che ne è dello studio del Corano e della libertà intellettuale in una situazione di questo genere? La risposta risiede nella natura degli esseri umani: ciò che l’uomo non può fare pubblicamente lo compie segretamente, o ancor meglio su Internet. A questo proposito possiamo citare alcuni programmi indipendenti che indagano liberamente le questioni religiose, tra cui il Corano, al di fuori del controllo religioso e governativo. Tali programmi si sono moltiplicati negli ultimi dieci anni e hanno conosciuto una grande popolarità a livello globale attraverso YouTube e i social network. Hanno così raggiunto la celebrità diverse personalità che, dopo aver patito la repressione in alcune società arabo-islamiche, sono diventate cristiane, atee, o di altra religione. Tra queste vi è Fratel Rashīd, un marocchino che dopo aver lasciato l’Islam si è convertito al Cristianesimo e conduce sul canale satellitare al-Hayat un programma piuttosto famoso intitolato “Su’āl jarī’” [Domanda audace]. E audace il programma lo è davvero visto che arriva a criticare (e denigrare) il testo coranico e il Profeta dell’Islam. L’estensione di questo e di altri programmi si è ampliata dopo la comparsa dello Stato Islamico, che rimane sullo sfondo di qualsiasi questione affrontata. Tra questi programmi c’è anche “Sundūq al-Islām” [la scatola dell’Islam], di genere accademico, diretto da Hāmid ‘Abd al-Samad, egiziano che vive in Germania e che ha abbandonato l’Islam dopo aver ricevuto un’educazione religiosa conservatrice. “Sundūq al-Islām” si caratterizza per una serie di puntate sulle “fonti del Corano” e sul rapporto tra il testo sacro islamico e il Cristianesimo e l’Ebraismo secondo alcune moderne teorie accademiche nate in Occidente.

 

Ma non tutti i programmi di questo tipo nascono dall’iniziativa di persone che si trovano al di fuori dei confini dell’Islam. Vi è anche chi vuole una “riforma religiosa”. L’esempio più significativo è quello dell’intellettuale egiziano Islam Behery, che durante il mese di Ramadan del 2017 ha lanciato il suo nuovo programma “al-Kharīta” [la mappa] dopo lunghe lotte con l’Azhar, l’istituzione religiosa ufficiale in Egitto, e dopo aver trascorso un anno in prigione, da cui è uscito in seguito alla grazia presidenziale[6]. Behery s’ispira agli insegnamenti di Muhammad ‘Abduh e Mahmūd Shaltūt[7], rifiutando molti hadīth come offensivi e contraddittori e proponendo una biografia del Profeta fondata sul Corano anziché sulla tradizione. Behery ha ricevuto ospitalità sulla televisione egiziana soltanto dopo che il governo ha intrapreso la via della riforma religiosa nel contesto della crisi provocata dal terrorismo e dalla nascita dello Stato Islamico.

 

Nel campo delle scienze linguistiche, il saudita Loay Alshareef [Lu’ay al-Sharīf] è diventato famoso su YouTube per i video in cui, per svelare l’enigma delle lettere isolate che compaiono nel Corano, invece di affidarsi ciecamente agli esegeti antichi legge il testo in aramaico anziché in arabo. Anche questo è un prodotto delle moderne teorie accademiche nate in Occidente. I programmi e i siti sono innumerevoli e non possiamo menzionarli tutti. È sufficiente dire che il soffocamento della libertà intellettuale in queste società, in particolare nel XXI secolo, non ha impedito il pensiero, anzi, ne ha favorito la diffusione su Internet e nei social network, dove noi tutti oggi viviamo. Il problema di questo fenomeno è che esso è disorganizzato e caotico: a volte dà vita a un gruppo come i “liberali sauditi”, a volte invece forma un Isis. Pertanto è necessario sostenere le istituzioni indipendenti come le università e dare spazio alla libertà intellettuale, soprattutto tra i pensatori, per far crescere la sicurezza e la stabilità.

 

L’imprescindibilità dell’approccio critico

 

Oggi la tradizione islamica relativa al Corano (le opere di esegesi, i trattati sulle circostanze della rivelazione e le scienze coraniche in genere) non può essere considerata un ambito di studio caratterizzato da metodo critico e rigore concettuale. Per dirla chiaramente, c’è un abisso tra il ripetere la tradizione passata con il pretesto d’insegnare del Corano (con l’unico risultato di rafforzare il potere degli uomini di religione a spese delle persone comuni) e il dar vita a un ambito di studio fondato su strumenti critici moderni, che indaghino approfonditamente il contenuto del testo e la storia secondo criteri scientifici accettati. Ma per quale ragione dovremmo creare una nuova scienza del Corano? Perché esso, come tutti gli altri libri sacri, è diventato patrimonio di tutti coloro che lo leggono, in Oriente e in Occidente. Il Corano è una parte imprescindibile della letteratura e della storia universale e un Libro eccelso quale esso è merita di essere studiato con i metodi scientifici più avanzati. Questo è quanto sta accadendo oggi a Houston con l’Associazione Internazionale per gli Studi Coranici (IQSA), a Berlino con il progetto Corpus Coranicum e in altre città del mondo in cui si pratica lo studio critico del Corano. I moderni studi coranici sono multidisciplinari e indagano il testo attraverso la letteratura, la storia, i manoscritti, le scienze sociali, l’archeologia, la numismatica e altre scienze umane classiche e digitali[8].

 

In conclusione esiste comunque un legame tra gli obiettivi della tradizione islamica antica e i moderni studi coranici, nonostante il divario metodologico che li separa. Se concordiamo sul fatto che l’obiettivo degli studi coranici moderni è la comprensione del testo, senza voler attaccare o difendere questa o quella dottrina, questo equivale a ridar vita alla pratica dello sforzo interpretativo (ijtihād) con uno stile nuovo: e chi tenta l’ijtihād è ripagato anche se commette degli errori, come insegna un celebre detto.

 

I moderni studi coranici rispettano le differenze di opinioni e le inevitabili divergenze tra gli uomini e tra le credenze. Essi ripristinano cioè “il galateo della divergenza” e la misericordia che vi è implicita in un momento in cui abbiamo disperatamente bisogno di entrambe. Ultimo ma non meno importante, nulla vieta di correggere l’errore e rinnovare le cose antiche, secondo le celebri parole di Abū Hanīfa[9]: «Loro sono uomini e noi siamo uomini», anzi oggi, a dire il vero, uomini e donne. La questione della libertà intellettuale e degli studi coranici non è questione di fede e miscredenza, ma di valorizzazione del Corano e dell’uomo allo stesso tempo. È per «gente che sa meditare».

 

[Un grazie speciale alla collega Khadīja Ja‘far, scrittrice e ricercatrice indipendente in filosofia e scienze islamiche, per aver rivisto il testo di questo articolo]

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

Note

[1] Gilgamesh Nabeel, Atheists in Muslim world: Silent, resentful and growing in number, «The Washington Times», 1° agosto 2017, http://bit.ly/2wlOSBZ; N.A. Hussein, How Egypt’s religious institutions are trying to curb atheism, «al-Monitor», 23 maggio 2017, http://bit.ly/2hwzldW.
[2] Twitter…minbar al-sa‘ūdiyyin wa silāhu-hum [Twitter, il pulpito e l’arma dei sauditi], «al-Jazeera», 27 settembre 2017.
[3] Mamdūh Dasūqī, Al-Duktūr Khālid Muntasir al-bāhith wa l-mufakkir al-misrī li-«l-Wafd»: tuhmat izdirā’ al-adyān sayf ‘alā riqāb al-mubdi‘īn [Il ricercatore e intellettuale egiziano Khālid Muntasir ad “al-Wafd”: l’accusa di offesa alle religioni è una spada sulle teste degli innovatori], «al-Wafd», 3 ottobre 2017.
[4] Nasr Hāmid Abū Zayd, Mafhūm al-nass: dirāsa fī ‘ulūm al-Qur’ān, al-Markaz al-thaqāfī al-‘arabī, al-Dār al-Baydā’ 2008.
[5] Taha sosteneva che il messaggio più autentico e universale del Corano si trovasse nei testi risalenti al periodo meccano, mentre i versetti medinesi sarebbero la traduzione di questi principi nel contesto storico dell’Arabia del VII secolo. Egli invitava perciò i musulmani a leggere il Corano alla luce dei testi meccani, mentre i giuristi hanno sempre sostenuto la centralità dei versetti medinesi, soprattutto per l’elaborazione del diritto (NdR).
[6] Islam Behery era stato condannato a cinque anni di prigione per blasfemia, a causa di alcuni suoi giudizi molto critici nei confronti della tradizione islamica e dell’Azhar (NdR).
[7] Si tratta di due grandi personalità del riformismo islamico. Muhammad ‘Abduh (1849-1905) fu Mufti d’Egitto dal 1899 al 1905. Mahmūd Shaltūt (1893-1963) fu grande Imam dell’Azhar dal 1958 fino alla morte (NdR).
[8] ‘Imrān al-Badawī, Al-Bahth ‘an siyāq al-Qur’ān al-tārīkhī – nubdha ‘an i l-dirāsāt al-qur’āniyya al-hadītha, «Al-Mashriq al-raqamiyya» 5 (dicembre 2014).
[9] Il celebre giurista fondatore di una delle quattro scuole giuridiche del Sunnismo, morto a Baghdad nel 767 (NdR).