Le donne nei movimenti di riforma sufi in Africa hanno svolto un ruolo importante nella diffusione delle istituzioni educative e nel consolidamento dell’autorità religiosa maschile
Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 15:15:16
Il contributo delle studiose musulmane è un aspetto trascurato della storia africana. Su di loro sappiamo ancora poco, anche perché la ricerca ha iniziato a occuparsene soltanto di recente e le fonti a disposizione sono scarse. L’analisi dei movimenti di riforma sufi del XVIII e del XIX secolo mostra tuttavia che le donne hanno svolto un ruolo importante sia nella diffusione delle istituzioni educative islamiche che nel consolidamento dell’autorità religiosa maschile.
Una delle prime cose di cui ci rendiamo conto osservando il fenomeno del sapere islamico femminile in Africa è che ne sappiamo molto poco. Ciò è dovuto essenzialmente a tre ragioni. In primo luogo, la storia musulmana africana è dominata dall’interesse per le potenti ed emblematiche figure maschili e questo spiega perché le donne siano assenti dalla maggior parte della storiografia sull’Africa islamica. In secondo luogo, la percezione del ruolo sociale delle donne in Africa in generale, e nelle società musulmane in particolare, ha fatto sì che buona parte della ricerca accademica abbia ignorato l’esistenza delle studiose musulmane, dal momento che ciò avrebbe messo in discussione lo stereotipo ricorrente delle donne musulmane subordinate agli uomini musulmani[1]. Infine, né la ricerca accademica né il sapere islamico tradizionale si sono mai preoccupati di documentare le attività religiose femminili e i loro risultati nella stessa misura di quanto fatto per gli uomini. Di conseguenza, le fonti archivistiche che riportano le attività delle studiose scarseggiano. Solo recentemente la loro opera ha iniziato a costituire oggetto d’interesse[2].
Un fenomeno sfuggente
Anche se sappiamo poco, bisogna ammettere che donne devote e colte sono spesso menzionate in alcuni tipi di fonti, come le note biografiche e i resoconti di viaggio scritti da studiosi maschi in occasione dei loro viaggi di studio (spirituale). Peraltro, alcuni dizionari biografici dedicano alle studiose delle voci distinte[3]. Eppure, ci accorgiamo subito che le informazioni fornite sulle studiose sono spesso brevi e che le donne non esistono da sé, ma sono sempre legate agli uomini, che si tratti di un figlio, del padre, del fratello o del marito. Le donne sono primariamente descritte come mogli, figlie o madri di personalità religiose o di shaykh, e solo in seconda battuta viene menzionato il loro impegno nel campo della spiritualità o del sapere religioso. È questo che nei dizionari biografici distingue significativamente le voci sulle donne da quelle dedicate ai loro compagni maschi, le cui relazioni famigliari spesso non sono neppure menzionate[4].
Le donne non esistono da sé, ma sono sempre legate agli uomini, che si tratti di un figlio, del padre, del fratello o del marito Di conseguenza, l’indagine sulle studiose musulmane richiede una riflessione accurata sulle concezioni relative al genere e allo status sociale nelle società culturalmente islamiche, ed evidenzia la necessità di mettere ulteriormente in discussione il paradigma orientalista secondo cui esisterebbe un Islam monolitico. Le opinioni degli studiosi musulmani riguardo alla partecipazione delle donne al campo della produzione, della trasmissione e della conservazione della conoscenza islamica sono variegate. Di conseguenza, anche le modalità di coinvolgimento delle fedeli musulmane in questo ambito sono abbastanza differenziate. Le donne possono diventare autorità religiose attraverso l’esperienza spirituale nei contesti sufi[5] e attraverso il sapere islamico[6] in un contesto connotato dallo studio dei testi. Esse svolgono inoltre un ruolo significativo all’interno delle istituzioni dell’autorità musulmana, come le moschee[7] e i centri sufi, ricoprendovi talora posizioni di prestigio per l’autorità religiosa acquisita, ma il più delle volte hanno molta meno visibilità delle loro controparti maschili[8]. Più recentemente, col cambiamento delle società si sono trasformate anche le istituzioni religiose, adattandosi alle nuove condizioni di vita e alle nuove norme sociali, e queste attività nascoste sono diventate più visibili[9].
Posto che, non essendo menzionato regolarmente nelle fonti scritte, il coinvolgimento religioso delle donne resta generalmente poco osservabile, se ne trova comunque traccia in alcuni generi letterari, soprattutto nelle agiografie e nei racconti di viaggio, ma anche nei panegirici per le personalità defunte (madīh), nei quali vengono spesso citate studiose musulmane o leader spirituali donne. Oltre alle fonti scritte, anche gli edifici possono fornire informazioni riguardo a forme femminili di santità e di produzione del sapere islamico, per esempio i santuari dedicati alla commemorazione di santi e di personalità pie. Costruzioni di questo tipo possono trovarsi nelle città più antiche dell’Africa islamica, alcune delle quali sono dedicate a delle sante. Ciò è particolarmente evidente nell’Africa settentrionale, per esempio con la tomba di Lāla Sittī (XII secolo) a Tlemcen, in Algeria, ma anche in altre città africane islamiche più antiche, come Harar in Etiopia[10].
Il sapere femminile rimane più spesso nell’ambito orale, può scomparire nel corso delle generazioni o essere ricordato soltanto in una località specifica Un altro tipo di fonte, per quanto molto rara, sono i testi redatti da studiose e conservati perlopiù nelle raccolte private di manoscritti presenti in tutta l’Africa islamica. Questi testi sono molto difficili da rintracciare, dal momento che la maggior parte di essi non sembra essere stata molto citata né è stata oggetto di edizioni critiche. Inoltre, molti di questi manoscritti sono di autori anonimi e, alla fine, sono pochi i testi che possono essere attribuiti a una personalità specifica. Molto spesso si tratta di autografi che potrebbero non essere mai stati copiati e perciò mai trasmessi alle future generazioni, rischiando così di scomparire con il passare del tempo. Di conseguenza, i dati raccolti negli strumenti bio-bibliografici rimangono spesso incompleti quando si elencano le opere di un’autrice[11].
Le studiose della Mauritania
Io mi interesso dal 2012 di studiose in Mauritania. Un aspetto del mio lavoro riguarda la misura in cui le studiose partecipano alla produzione di testi eruditi locali. Nel complesso, ho potuto identificare quindici studiose musulmane autrici di testi dal XVIII secolo a oggi. Una di queste è Fātima bint Muhammad Mahmūd Ibn ‘Abd al-Fattāh al-Abyayriyya (morta prima del 1882, nota come Tūt bint al-Tāh), importante studiosa appartenente alla comunità sufi dello shaykh Sīdiyya, del XIX secolo[12]. Celebre per la sua bella calligrafia, secondo una pubblicazione locale[13] Tūt bint al-Tāh è anche l’autrice di una quindicina di testi, di cui soltanto due citati nel Maurische Literaturgeschichte[14], e altri due nel più recente Arabic Literature of Africa V[15]. Sono riuscita a trovare altri tre titoli in forma di manoscritti in una collezione privata a Nouakchott, ma gli altri otto non sono ancora stati rinvenuti.
I testi delle studiose ovviamente non erano molto diffusi, eppure hanno spesso contribuito ai dibattiti intellettuali locali. È il caso di ‘Ā’isha bint Ahmad Maylūd al-Hājjiyya (morta verso la fine del XIX secolo), che ha commentato uno dei testi di Hamādan ibn al-Amīn al-Būhamdī al-Majlisī (1756/7-1848/9) sulla disciplina della sīra (biografia del Profeta e dei suoi compagni). Le donne tuttavia non si limitavano a commentare i testi dei sapienti locali, ma potevano anche introdurre dei loro commentari nella tradizione intellettuale del luogo. A questo proposito è significativo il caso di Khadīja bint Muhammad al-‘Āqil al-Daymāniyya (m. 1835/6), che è stata tra gli studiosi che hanno introdotto il mantiq (logica) nel programma di studi per l’insegnamento islamico superiore locale. Autrice di uno dei primi commenti scritti nel Sahara occidentale ad al-Sullam al-murawniq fī ‘ilm al-mantiq di al-Akhdarī (m. 1575), è stata la maestra di molti celebri studiosi del suo tempo che hanno contribuito al dibattito nella disciplina del mantiq (logica). Uno dei suoi studenti fu Mukhtār ibn Būna, autore della più celebre opera di logica di quel tempo, dal titolo Tuhfat al-muhaqqiq fī hall mushkilāt al-mantiq.
È una cecità che ha portato a celebrare le «nuove» libertà conquistate dalle donne musulmane durante la modernità, che però potrebbero non essere così nuove La maggior parte delle studiose che ho identificato come autrici di testi provenivano da famiglie di grande tradizione intellettuale, con padri o fratelli famosi. Molte di loro insegnavano attivamente nella scuola islamica della loro famiglia. C’è una sola autrice, Fātima bint Muhammad Sīd Ahmad al-Habīb, sulla cui vita e sui cui famigliari non sono riuscita a trovare informazioni. È possibile che questa studiosa non provenisse da una famiglia di eruditi dotata di una tradizione scritta, ma sia entrata a far parte di una di queste sposandosi. D’altra parte, è anche possibile che tutti gli scritti della sua famiglia siano andati perduti. La perdita d’informazioni è un fenomeno diffuso nella tradizione manoscritta del Sahara occidentale e, in molti casi, è soltanto attraverso la conoscenza del proprietario della raccolta di manoscritti che si possono scoprire maggiori dettagli. Questi risultati indicano chiaramente che alcune studiose hanno redatto dei testi propri, ma siamo ancora molto lontani dallo scoprire quale sia stato il loro contributo effettivo alla tradizione manoscritta del Sahara occidentale.
Volendo riflettere sull’influenza del sapere femminile nelle tradizioni intellettuali islamiche, questi esempi dimostrano come, considerando in particolare la tradizione scritta, la nostra conoscenza rimanga lacunosa. I testi scritti da studiose non sono facilmente rintracciabili, né si trovano su di essi molte informazioni in altre fonti scritte. Per questa ragione occorre includere nella ricerca anche l’ambito dell’oralità. Questa è la conclusione alla quale giungono anche Mack e altri colleghi nei loro studi sul sapere islamico femminile: la mancanza di documentazione scritta suggerisce la rilevanza della tradizione orale che, insieme alla memorizzazione, è estremamente importante nella ricerca del sapere islamico[16]. In questo senso, il sapere femminile rimane più spesso nell’ambito orale, può scomparire nel corso delle generazioni o essere ricordato soltanto in una località specifica, ma raramente entra a far parte di una memoria transregionale. Ciononostante, il fatto per esempio che in Mauritania le studiose abbiano lasciato diversi testi scritti dimostra come le donne fossero parte attiva della tradizione intellettuale islamica in Africa. Queste attività potevano spaziare dall’introduzione di un sapere innovativo nella tradizione del luogo, come nel caso di Khadīja bint Muhammad al-‘Āqil al-Daymāniyya con il suo trattato di logica, al commento di testi locali, come nel caso del commentario di ‘Ā’isha bint Ahmad Maylūd al-Hājjiyya. Peraltro, ci sono alcune prove del fatto che le donne emettessero persino dei pareri legali (fatwe).
Anche in altre comunità musulmane africane oltre alla Mauritania le donne svolgevano spesso importanti ruoli nel campo delle istituzioni educative religiose come insegnanti, guide spirituali, o persino come fondatrici di istituzioni preposte alla trasmissione del sapere islamico. Ancora una volta, allo stadio attuale della ricerca le nostre conoscenze sono scarse ed è difficile valutare l’impatto del sapere islamico femminile. Le donne che conosciamo costituivano un’eccezione o erano parte della vita intellettuale ordinaria? Il loro lavoro ha esercitato qualche influenza o ha avuto una portata limitata a causa dei ruoli di genere? Queste domande spesso non trovano risposta oppure vengono trattate all’interno di un quadro ipotetico. Possiamo dire che alla domanda sulla misura in cui le studiose abbiano influenzato le tradizioni spirituali e intellettuali islamiche si potrebbe rispondere in modo diverso a seconda delle circostanze specifiche del caso in esame.
Le donne possono diventare autorità religiose attraverso l’esperienza spirituale nei contesti sufi e attraverso il sapere islamico Detto questo, possiamo constatare come il fenomeno delle studiose musulmane non possa essere ricondotto soltanto ad alcune società, né a determinati periodi storici o a determinate tradizioni intellettuali. Studiose musulmane sono esistite in tutte le comunità musulmane africane, in periodi storici diversi e in tradizioni intellettuali differenti. Sin dall’arrivo dell’Islam nel continente ci sono informazioni sparse su casi di donne devote. Le loro attività spaziano dall’insegnamento, alla copiatura di manoscritti, alla scrittura e, in rari casi, all’emissione di fatwe. Le modalità di coinvolgimento nella tradizione intellettuale sono molte e variegate, e sono possibili solo in seguito a una formazione avanzata. Questo vale per la direzione spirituale, per la copiatura di testi religiosi oltre che per l’insegnamento delle varie discipline delle tradizioni intellettuali islamiche, a volte destinato alle sole donne, spesso a uomini e donne indistintamente.
La maggior parte delle informazioni sono documentate tra i movimenti di riforma sufi del XVIII e del XIX secolo. Anche nelle fonti relative ai primordi della storia islamica africana, il sapere islamico femminile si confonde con la storiografia delle donne sufi e delle sante. Da un lato, la ragione di ciò potrebbe risiedere nel fatto che il sufismo ha svolto un ruolo chiave nella diffusione dell’educazione islamica. Dall’altro, poiché le studiose non hanno contribuito in maniera significativa ed evidente alla produzione scritta riguardante la dottrina islamica, la maggior parte delle informazioni di cui disponiamo riguardano donne devote e il contributo che hanno dato alla società attraverso la fondazione di importanti istituzioni, la beneficenza, la cura degli ammalati e l’insegnamento.
La matrice maghrebina e i movimenti sufi
La prima donna ricordata nel continente africano per il suo insegnamento potrebbe essere Sayyida Nafīsa bint al-Hasan (762-824), probabilmente una pronipote di ‘Alī ibn Abī Tālib (m. 661). Di origine meccana, verso i quarantacinque anni si trasferì a Fustāt, un insediamento creato nelle vicinanze della futura Cairo per governare l’Egitto settentrionale all’epoca del primo impero islamico. Venerata ancora oggi in Egitto e nota per la sua pietà e per oltre un centinaio di miracoli, si dice che la sua casa fosse un importante luogo di incontro di celebri studiosi musulmani del tempo. Secondo la tradizione popolare, Sayyida Nafīsa bint al-Hasan sarebbe stata insegnante di molti celebri studiosi nel campo degli hadīth, tra cui i fondatori della scuola giuridica shafi‘ita e di quella hanbalita[17]. Un’altra donna colta e devota del tempo è Fātima al-Fihrisiyya (m. 890), una signora araba di Tunisi la cui famiglia si stabilì a Fes, in Marocco, all’inizio del IX secolo. Alla morte del padre, Fātima investì l’eredità ricevuta per fondare, nell’859, la più antica madrasa tuttora in funzione, la Qarawiyyīn, che ospita ancora oggi la più antica biblioteca del Marocco e presso la quale sono conservati manoscritti rari e preziosi.
Le informazioni circa i contributi femminili al sapere islamico nel Maghreb tra il X e il XV secolo sono piuttosto ricche grazie agli studi realizzati da Nelly Amri[18] a partire dagli anni ’90 sulla concezione hafside di santità. Durante il periodo hafside maghrebino, la santità non era prerogativa esclusivamente maschile, ma era accessibile a entrambi i sessi e questo valeva per il conseguimento di un particolare stato spirituale e per la funzione di guida: le sante potevano raggiungere lo stato spirituale più elevato (al-qutbiyya) e la posizione più elevata di guida spirituale e rappresentazione (al-khilāfa)[19]. Questi attributi (qutbat al-aqtāb; khalīfat Allāh) si trovano ad esempio in una delle rarissime agiografie dedicata a una santa di Tunisi: ‘Ā’isha al-Mannūbiyya (m. 1267)[20]. Come ricordano alcune fonti, tuttavia, in quell’epoca le donne colte potevano esercitare la loro autorità non solo nella sfera della spiritualità e della santità, ma anche nell’ambito della giurisprudenza e della predicazione. È il caso, per esempio, di alcune studiose marocchine come ‘Azīza al-Saksāwiyya (fine XIV secolo), che emetteva pareri legali tenuti in considerazione da coloro che li chiedevano[21], Sārā bint Ahmad b. ‘Uthmān al-Halabatiyya (XII secolo), che insegnava diritto (fiqh) e tradizione profetica (hadīth) a Fes, sia a studenti che a studentesse, o ancora Khadīja bint al-Hawwāt (XV secolo), nota predicatrice di Chefchaouen (Marocco)[22]. Questo fenomeno non riguarda soltanto il Maghreb. Anche nell’Egitto mamelucco le studiose si erano ritagliate un ruolo di primo piano, specialmente nel campo della tradizione profetica (hadīth)[23].
Successivamente, la tradizione intellettuale islamica maghrebina avrebbe influito profondamente sulla nascita di una tradizione intellettuale islamica sahariana e africana occidentale. Ambedue le tradizioni condividono l’eredità andalusa e il corpus della letteratura malikita (scuola giuridica), di quella ash‘arita (scuola teologica) e di quella sufi. Nana Asma’u (1793-1865), figlia del fondatore del califfato di Sokoto (Nigeria settentrionale del XIX secolo), è una delle figure storiche più celebri in Africa. Una serie di pubblicazioni di Murray Last, Beverly Mack e Jean Boyd dedicate alla sua vita, alle sue attività educative e alle sue opere, ne hanno fatto una figura emblematica della storiografia relativa al sapere islamico femminile in Africa[24]. La sua vita è rappresentativa del ruolo delle donne colte nel mondo intellettuale musulmano dell’Africa di fine Settecento/inizio Ottocento. Come membro della famiglia regnante del califfato di Sokoto, Nana Asma’u ha contribuito con le sue attività al consolidamento dell’autorità politica e religiosa dei maschi della sua famiglia. Con le sue competenze nell’ambito del sapere islamico, ha svolto la funzione di scriba e di educatrice. In qualità di fondatrice del movimento yan taru, ha formato le donne a formare altre donne e ha creato una rete educativa per diffondere i valori e le norme sociali sui quali si fondava il califfato di Sokoto. La creazione di quest’ultimo è andata di pari passo con le fortune di un movimento di riforma sufi nella regione, la Qādiriyya, presente nell’area sahariana e saheliana dalla fine del XV e l’inizio del XVI secolo e che ha conosciuto un revival popolare tra il XVIII e il XIX secolo.
Le donne hanno svolto un ruolo importante in questo movimento popolare di riforma sufi così come in altri. Anche la Tijāniyya, che fu fondata alla fine del XVIII secolo, contava per esempio un numero significativo di donne colte. Alcune di loro sono diventate delle autorità attraverso la direzione spirituale, altre attraverso l’insegnamento del sapere testuale. Casi di autorità femminili nella Tijāniyya sono documentati nella Mauritania del XIX e del XX secolo[25], ma anche nello stato di Kano, nel nord della Nigeria[26], nel XX secolo, o nel Senegal della metà del XX e del XXI secolo[27]. Nel Senegal di inizio Novecento ci sono anche altri casi, ad esempio nel contesto della Murīdiyya e del movimento Laayeen, o Layènne in francese[28]. Ciò detto, la notorietà delle autorità femminili sufi ha superato i confini dell’Africa occidentale. Nell’Africa settentrionale, ad esempio, troviamo Zaynab nell’Algeria coloniale[29]; mentre nell’Africa orientale una recente pubblicazione dedicata a Sittī ‘Alawiyya, vissuta nell’Eritrea coloniale, fa luce sul sapere femminile nella regione[30].
Le donne svolgono inoltre un ruolo significativo all’interno delle istituzioni dell’autorità musulmana, come le moschee, ricoprendovi talora posizioni di prestigio Tutte queste donne appartenevano a influenti famiglie di studiosi (per nascita o per acquisizione tramite matrimonio) ed erano impegnate nel progetto di diffusione dell’Islam sufi e delle sue pratiche devozionali. Esse sono la dimostrazione del fatto che i movimenti di pietà popolare richiedono la partecipazione attiva delle donne, e creano così degli spazi per l’autorità femminile. Diffondendo le pratiche sufi, queste donne non contrastavano l’autorità religiosa maschile, ma contribuivano ai movimenti popolari che promuovevano una maggiore pietà e pratica devozionale in conformità con gli insegnamenti delle Scritture islamiche. Questi movimenti hanno spesso contribuito all’arabizzazione del sapere islamico africano attraverso la fondazione di diverse istituzioni educative che offrivano un’educazione islamica e l’insegnamento dell’arabo a un pubblico più ampio. Uno dei loro obiettivi era contrastare la crescente influenza coloniale nel campo dell’istruzione, che aveva iniziato a espandersi in tutto il continente africano attraverso l’invito di insegnanti europei per modernizzare i piani di riforma (ad esempio in Egitto ai tempi di Muhammad ‘Alī), ma anche attraverso il proselitismo delle organizzazioni europee che fondavano scuole missionarie cristiane. A questi primi incontri nel settore educativo sono seguite le scuole coloniali per formare il personale amministrativo necessario a governare le colonie. L’introduzione dei valori e dell’educazione «cristiani» ha provocato delle «risposte intellettuali» sia tra gli studiosi musulmani che avevano ricevuto una formazione tradizionale, sia tra quelli che si erano formati con i nuovi metodi[31] e che spesso sottolineavano la necessità di integrare maggiormente le donne nell’educazione islamica per difendere i valori musulmani e le visioni del mondo nelle comunità musulmane.
Non solo una questione di genere
A seguito dell’introduzione della moderna istruzione di massa, si sono sviluppate nuove forme di educazione islamica, che hanno prodotto anche donne colte impegnate nell’insegnamento, nella predicazione e a volte nella scrittura. Queste tendenze più moderne non sono state considerate in questo articolo, perché tale fenomeno richiederebbe una riflessione più dettagliata sulle intersezioni tra le politiche moderne, lo sviluppo delle istituzioni statali e gli effetti di lungo periodo del colonialismo nella trasformazione dei valori e delle società a livello globale. L’oggetto di questo articolo è piuttosto la dimensione storica del sapere islamico femminile, un tema che viene spesso trascurato. È questa cecità che ha portato a celebrare le «nuove» libertà conquistate dalle donne musulmane durante la modernità, che però potrebbero non essere così nuove. In generale, bisogna ammettere che il colonialismo ha introdotto le proprie modalità di esclusione delle donne dall’educazione, diverse da quelle islamiche precoloniali. D’altra parte, sarebbe irrealistico pensare che le comunità musulmane precoloniali in generale non escludessero affatto le donne dall’accesso al sapere islamico e all’autorità.
A prescindere dalla riflessione sul genere, la questione dell’esclusione o dell’inclusione delle donne nel mondo del sapere islamico deve tenere conto anche dello status sociale. Come dimostrano gli esempi delle studiose musulmane autrici di testi in Mauritania, queste donne appartenevano a famiglie colte. Esaminando più da vicino la questione dell’autorità religiosa nei circoli sufi in Mauritania vediamo che, sebbene la posizione di guida all’interno di una comunità sufi fosse spesso una prerogativa maschile, le mogli svolgevano ruoli importanti e favorivano la carriera dei propri mariti. Un uomo che all’interno dei circoli intellettuali ambiva a posizioni di leadership poteva raggiungerle più facilmente con una donna colta al suo fianco. Essa infatti poteva assisterlo copiando i testi, insegnando agli studenti e guidando le donne della comunità[32].
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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[1] Una buona panoramica degli stereotipi, nel dibattito accademico, riguardo alle donne musulmane e alla loro influenza sui programmi di ricerca si trova in Munira M. Charrad, Gender in the Middle East: Islam, State, Agency, «Annual Review of Sociology», vol. 37 (2011), pp. 417˗437.
[2] Si veda Muhammad al-Rādī Kanūn, Nisā’ Tijāniyyāt, Casablanca 2010.
[3] Uno dei lavori accademici pionieristici che fa luce sulla presenza continuativa delle donne nell’ambito del sapere islamico è il volume di Ruth Roded, Women in Islamic Biographical Collections: from Ibn Sa‘d to Who is Who, Lynne Rienner Publishers, Boulder 1994.
[4] Alcune riflessioni sugli aspetti di genere dell’autorità femminile in Marocco e altrove si trovano in Aziza Ouguir, Female Religious Agents in Morocco. Old Practices and New Perspectives, tesi di dottorato, ASCA, Amsterdam 2013, p. 81. Disponibile su http://hdl.handle.net/11245/1.400239 [ultimo accesso settembre 2019].
[5] Un breve e interessante articolo sulla santità femminile è quello di Michel Chodkiewicz, Female Sainthood in Islam, «Sufi: A Journal of Sufism» n. 21 (1994), pp. 12-19.
[6] Per una panoramica delle attività intellettuali femminili nella storia si veda Asma Sayeed, Women and the Transmission of Knowledge in Islam, Cambridge University Press, New York 2013.
[7] Marion Holmes Katz, Women in the Mosque: A History of Legal Thought and Social Practice, Columbia University Press, New York 2014.
[8] Ho trattato la questione del nascondimento delle studiose musulmane in Britta Frede, Following in the Steps of ‘Ā’isha. Hassāniyya-Speaking Tijānī Women as Spiritual Guides (Muqaddamāt) and Teaching Islamic Scholars (Limrābutāt) in Mauritania, «Islamic Africa», vol. 5, n. 2 (2014), pp. 225-273.
[9] Le trasformazioni in corso riguardo la questione della visibilità delle studiose musulmane sono trattate in Joseph Hill, Wrapping Authority: Women Islamic Leaders in a Sufi Movement in Dakar, Senegal, Toronto University Press, Toronto-London 2018.
[10] L’unico breve resoconto sulla santità femminile ad Harar si trova in Camilla Gibb, Negotiating Social and Spiritual Worlds: The Gender of Sanctity in a Muslim City in Africa, «Journal of Feminist Studies in Religion», vol. 16, n. 2 (2000), pp. 25-42.
[11] Sulla difficoltà di rintracciare i testi di studiose musulmane si veda Britta Frede, Arabic Manuscripts of the Western Sahara: Trying to Frame an African Literary Tradition, «Journal of Islamic Manuscripts» n. 8 (2017), pp. 57-84.
[12] Per un approfondimento su shaykh Sīdiyya si veda Charles Cameroon Stewart, Islam and Social Order in Mauritania: A Case Study from the Nineteenth Century, Oxford University Press, Oxford 1973.
[13] Sīdi Ahmad bin Ma‘lūm bin Ahmad Zarūq, Mashāhīr al-‘ālimāt wa al-sālihāt min al-nisā’ al-mūrītāniyyāt, Nouakchott 2006.
[14] Ulrich Rebstock, Maurische Literaturgeschichte, 3 voll., Ergon Verlag, Würzburg 2001.
[15] Charles C. Stewart, Arabic Literature of Africa. Volume 5. The Writings of Mauritania and the Western Sahara, 2 voll., (Handbook of Oriental Studies: The Near and Middle East I/13), Brill, Leiden-Boston 2015.
[16] Michel Chodkiewicz, La sainteté féminine dans l’hagiographie islamique, in Denise Aigle (a cura di), Saints orientaux, De Boccard, Paris 1993, pp. 99˗115; Beverly B. Mack, Muslim Women’s Educational Activities in the Maghreb. Investigating and Redefining Scholarship in Northern Nigeria and Morocco, «The Maghreb Review», vol. 29, n. 1˗4 (2004), pp. 165˗85.
[17] Per un approfondimento su Sayidda Nafisa si veda Yūsūf Rāghib, Al-Sayyida Nafisa, sa légende, son culte et son cimetière, «Studia Islamica» n. 44 (1976), pp. 61˗86; Valerie J. Hoffmann, Muslim Sainthood, Women, and the Legend of Sayidda Nafisa, in Arvind Sharma (a cura di), Women Saints in World Religions, State University of New York Press, Albany 2000, pp. 107˗144.
[18] Il suo primo lavoro sulle sante musulmane è Les femmes soufies ou la passion de Dieux, Ed. Dungles, St-Jean de Braye 1992.
[19] Uno dei lavori più recenti sulle sante e sulle studiose del Mashreq e del Maghreb è Nelly Amri, Entre Orient et Occident musulmans. Retour sur la sainteté féminine (IIe/IXe s. – fin du IXe/XVe siècle). Modèles, formes et l’ascèse et réception, 2016. Disponibile su https://bit.ly/2N96vir [ultimo accesso settembre 2019].
[20] La pubblicazione più importante su ‘Āisha al-Mannūbiyya è Nelly Amri, La sainte de Tunis. Présentation et traduction de l’hagiographie de ‘Āisha al-Mannūbiyya (m. 665/1267), Sindbad Actes du Sud, Arles 2008, p. 165 e pp. 169˗70.
[21] Alcuni esempi di studiose che hanno emesso fatwe si trovano in Eadem, Entre Orient et Occident musulmans, p. 9. Disponibile su https://bit.ly/2N96vir [ultimo accesso settembre 2019].
[22] Si veda Aziza Ouguir, Female Religious Agents in Morocco. Old Practices and New Perspectives, p. 81.
[23] Una delle prime panoramiche delle studiose nell’Egitto mamelucco si trova in Yossef Rapoport, Women and Gender in Mamluk Society: An Overview, «Mamlūk Studies Review», vol. 11, n. 2 (2007), pp. 1˗47.
[24] La popolarità di Nana Asma’u può essere fatta risalire alle pubblicazioni seguenti: Jean Boyd, D. Murray Last, The role of women as “agents religieux” in Sokoto, «Canadian Journal of African Studies», n. 19 (1985), pp. 283˗300; Jean Boyd, The Caliph’s Sister: Nana Asma’u (1793˗1865). Teacher, Poet, and Islamic Leader, Cass, London 1989; Beverly B. Mack, Jean Boyd, One Women’s Jihad: Nana Asma’u, Scholar and Scribe, Indiana University Press, Bloomington 2000; Id., Educating Muslim Women: The West African Legacy of Nana Asma’u, 1793˗1864, Kube Publishing, Markham, Leics 2013.
[25] Sul ruolo delle donne nella Tijāniyya in Mauritania si veda Britta Frede, Following in the Steps of ‘Ā’isha, pp. 225˗73, 231˗235.
[26] Sul ruolo delle donne nella Tijāniyya in Nigeria si veda Alaine Hutson, The Development of Women’s Authority in the Kano Tijaniyya, 1894˗1963, «Africa Today», vol. 46, n. 3 (1999), pp. 43˗64; Ead., Women, Men and Patriarchal Bargaining in an Islamic Sufi Order: The Tijaniyya in Kano, Nigeria 1937 to Present, «Gender & Society», vol. 15, n. 5 (2001), pp. 734˗753.
[27] Sul ruolo delle donne nella Tijāniyya in Senegal si veda Joseph Hill, ‘All Women are Guides’: Sufi Leadership and Womenhood among Taalibe Baay in Senegal, «Journal of Religion in Africa», vol. 40, n. 4 (2010), pp. 375˗412; Id., Niasse, Mariama Ibrahim, in John Esposito (a cura di), Oxford Islamic Studies online, Oxford University Press, Oxford 2013. Disponibile su https://bit.ly/2MGwa3l . Joseph Hill, Wrapping Authority: Women Islamic Leaders in a Sufi Movement in Dakar, Senegal, Toronto University Press, Toronto-London 2018.
[28] Sul ruolo delle donne in altri movimenti sufi dell’Africa occidentale si veda Christian Coulon, Women, Islam and Baraka, in Donal B. Cruise O’Brian, Christian Coulon (a cura di), Charisma and Brotherhood in African Islam, Clarendon, Oxford 1988, pp. 113˗133; Christian Coulon, Odile Reveyrand, L’Islam au féminin: Sokhna Magat Diop, cheikh de la confrérie mouride, Senegal, Centre d’Étude d’Afrique Noire, Institut d’Études Politiques de Bordeaux, Talence 1990; Amber Gemmeke, Marabout Women in Dakar. Creating Trust in a Rural Urban Space, Lit Verlag, Berlin 2008; Ead., Marabout Women in Dakar: Creating Authority in Islamic Knowledge, «Africa: Journal of the International African Institute», vol. 79, n. 1 (2009), pp. 128˗147.
[29] Per l’Algeria si veda Julia Ann Clancy-Smith, The House of Zainab: Female Authority and Saintly Succession in colonial Algeria, in Nikki R. Keddie, Beth Baron (a cura di), Women in Middle Eastern History, Indiana University Press, Bloomington 1992, pp. 254˗274.
[30] Per l’Eritrea si veda Silvia Bruzzi, Islam and Gender in Colonial Northeast Africa: Sittī ‘Alawiyya, the Uncrowned Queen, Brill, Leiden 2018.
[31] Una delle rare pubblicazioni sui discorsi e sulle trasformazioni degli studiosi musulmani durante il periodo coloniale in Africa è Muhammad Sani Umar, Islam and Colonialism: Intellectual Responses of Muslims of Northern Nigeria to British Colonial Rule, Brill, Leiden 2006, capitoli 4 e 5.
[32] Questo è vero per la maggior parte dei padri fondatori di nuovi movimenti sufi, ad esempio la Qādiriyya di Mukhtār al-Kuntī, o la Tijāniyya di Muhammad al-Hāfiz. Entrambi i fondatori avevano una moglie molto capace che li aiutava.