Dietro il termine “Salafismo” si cela un fenomeno in evoluzione che assume forme diverse, da quello storico a quello moderno, fino al salafismo contemporaneo
Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 17:02:16
Dietro il termine “Salafismo” si cela un fenomeno in evoluzione che assume forme diverse, da quello storico di Ibn Taymiyya o Ibn ‘Abd al-Wahhāb a quello moderno di Rashīd Ridā, fino al salafismo contemporaneo di al-Albānī. Lo sviluppo è segnato dalla rivalità con le scuole giuridiche tradizionali, anche se tra le due correnti non si può tracciare una demarcazione netta. Il caso egiziano mette in scena i diversi atti di questa vicenda.
“Salafismo” è uno dei termini più diffusi del discorso religioso contemporaneo in Egitto, specialmente a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso. Per indagare questo concetto occorre tuttavia considerare diversi aspetti: il primo è puramente lessicale; un secondo riguarda le trasformazioni di tale concetto nel corso della storia religiosa del mondo islamico e le ambiguità che ha generato; un terzo aspetto investe infine i principi ideologici sui quali esso si fonda.
Con il concetto di “salafismo” i suoi seguaci intendono
la strada seguita dai Compagni [del Profeta], dai loro più eminenti Successori, dai seguaci di questi ultimi e dalle autorità religiose riconosciute come guide e note per la loro eccellenza nella religione, la cui parola si sia trasmessa di generazione in generazione e sia stata accolta dalla gente, con l’eccezione di coloro che sono stati accusati d’innovazione indebita o sono noti con appellativi sconvenienti quali kharijiti, rafiditi, qadariti e murjiti1.
Nonostante la sua chiarezza, questa definizione è difficilmente applicabile. Essa può essere infatti considerata uno dei principi consolidati (muhkamāt) sui quali le diverse scuole di pensiero e teologiche si sono trovate d’accordo nel corso della storia dell’Islam2. Il fatto che sia anche il fondamento teorico di tutti i salafismi storici è uno dei motivi per cui assolutizzare la contrapposizione tra salafiti e seguaci delle scuole giuridiche rappresenta una generalizzazione indebita. Non sempre i salafiti hanno rifiutato l’adesione alle scuole giuridiche, mentre tra coloro che aderivano alle scuole giuridiche vi erano anche dei salafiti. Per questo l’opposizione tra i due gruppi è corretta soltanto nella misura in cui si tenga conto che essi sono reciprocamente correlati. A meno che non si voglia collocare quest’opposizione nel quadro specifico del legame tra il salafismo e i movimenti islamisti, nel qual caso essa è legittima. Non la si può però applicare in modo così netto al salafismo antico.
Da Ibn Taymiyya a Ibn ‘Abd al-Wahhāb
Dal punto di vista storico, il salafismo egiziano, al di là di tutte le sue varianti, può essere ricondotto a Ibn Taymiyya (m. 728/1263) in virtù di due considerazioni. In primo luogo, egli fu il pioniere della rinascita salafita nel Medioevo e tutti i salafismi successivi si sono ispirati o si sono riferiti a lui. In secondo luogo, il suo legame con l’Egitto gli assicurò nel tempo una sorta di influenza latente nel Paese. Questa si sarebbe manifestata secoli dopo con Rashīd Ridā, il precursore della rinascita salafita moderna in Egitto3.
Ibn Taymiyya ha criticato severamente molti aspetti del sapere del suo tempo – in ambito giuridico, teologico, sufi – e le loro implicazioni sociopolitiche. Oggetto delle sue critiche non era tanto il pensiero giuridico dominante al suo tempo, né l’appartenenza scolastica o le scuole giuridiche in quanto tali, ma una realtà più specifica: egli rifiutava in particolare l’idea che l’elaborazione giurisprudenziale dovesse rimanere rinchiusa all’interno di una scuola sulla base di una serie di enunciati considerati fondanti e che non potevano essere rimessi in discussione nella formulazione delle fatwe o delle sentenze. Ibn Taymiyya contestava inoltre l’idea che le persone comuni dovessero conformarsi a questi enunciati, escludendo ciò che li contraddiceva, anche se aveva il sostegno di un rappresentante della scuola, di una prova o di un’altra scuola antica4.
Nel corso della storia islamica l’adesione a una scuola giuridica è stata la via normalmente seguita dalla riflessione giurisprudenziale e Ibn Taymiyya non l’ha rinnegata in alcun modo. Le prove in questo senso sono numerose. Il padre e il nonno erano imam hanbaliti ed egli stesso ricevette un’educazione hanbalita saldamente radicata nella scuola giuridica, di cui contribuì peraltro a classificare i fondamenti e i rami. Nella sua attività di giurista Ibn Taymiyya dedicò molta cura all’esposizione delle dottrine delle scuole (tahrīr al-madhhāhib)5, riportando con precisione le loro posizioni circa le questioni che di volta in volta gli si ponevano. Per mettersi al riparo dall’accusa di sostenere un’opinione innovativa, estranea alla pratica dei pii antenati, Ibn Taymiyya prestava sempre grande attenzione a elencare le posizioni degli antichi a suffragio delle proprie, anche se contraddicevano l’opinione ufficiale di un esponente tardivo di una scuola6. La prospettiva giuridica di Ibn Taymiyya non è mai coincisa con l’invito a rifiutare le scuole giuridiche, o con la limitazione del processo di deduzione delle norme legali all’osservazione diretta delle prove specifiche7: da questo punto di vista è anzi corretto accostarlo ai seguaci delle scuole giuridiche.
Il secondo pioniere della rinascita salafita è Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhāb al-Najdī (m. 1206/1791)8, sulla cui produzione letteraria si fonda gran parte del salafismo contemporaneo. Prescindendo dalla forte ambiguità che circonda il wahhabismo, a interessarci qui è la posizione di Ibn ‘Abd al-Wahhāb quale precursore del salafismo moderno nell’ambito della contrapposizione tra salafiti e seguaci delle scuole giuridiche.
Nel complesso, la lezione giurisprudenziale di Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhāb e della sua scuola originaria si collocava nel solco della tradizione: egli stesso apparteneva alla scuola hanbalita per quanto riguarda i rami del diritto. Il padre e il nonno erano ulema hanbaliti nel Najd dell’epoca ed è da loro che Ibn ‘Abd al-Wahhāb apprese la giurisprudenza. Lui e i suoi seguaci tenevano a esibire la propria appartenenza alla giurisprudenza della scuola hanbalita e a non discostarsene9. Nonostante la pochezza degli strumenti giuridici in possesso di Ibn ‘Abd al-Wahhāb e la sua scarsa familiarità con l’indagine giurisprudenziale, egli fu influenzato dal metodo giuridico di Ibn Taymiyya e, in particolare, da ciò a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza: il fatto cioè di rimproverare ai giuristi di limitarsi a seguire e replicare le opinioni ufficiali delle scuole giuridiche, con tutte le partigianerie e le controversie che questo poteva generare. La dottrina hanbalita è rimasta la tradizione giurisprudenziale seguita dal wahhabismo fino al terzo Stato saudita10 ed è tutt’oggi considerata scuola ufficiale delle autorità religiose saudite e dottrina autorizzata nei corsi tenuti presso le moschee o nelle università.
Il salafismo egiziano moderno
Sono stati i pionieri della scuola riformista a diffondere i concetti salafiti nell’ambiente egiziano, fino a un pieno radicamento all’inizio del XX secolo. In particolare, il ruolo principale nell’adozione, diffusione e predicazione del salafismo fu svolto da Muhammad Rashīd Ridā, considerato il primo salafita dell’epoca moderna in Egitto. Quello di Rashīd Ridā e della sua scuola era un salafismo dottrinario (‘aqā’idī), nel senso più generale del termine, che si limitava a purificare il concetto di unità e unicità divina (tawhīd) dalle sue sedimentazioni storiche per riportarlo alla sua formulazione originaria. Questo primo salafismo puntava infatti a una riforma dei metodi di riflessione giurisprudenziale e più in generale delle scienze islamiche, a livello dottrinale e giuridico. I suoi primi fautori miravano inoltre a un revival modernista. Benché il salafismo abbia esercitato una grande influenza sulla realtà egiziana di quel periodo, non possiamo collocarlo, almeno in questa versione, nell’ambito dei cosiddetti “movimenti islamisti” o dell’“Islam politico”, dal momento che non possedeva una struttura organizzativa stabile né alcuna forma sociale di attivismo.
Certo, nella sua evoluzione storica, il salafismo si attirò vari tipi di ostilità. Un primo esempio fu la disputa giuridica e teologica che scoppiò tra Ibn Taymiyya e gli imam della sua epoca. Poi fu la volta del wahhabismo e dei conflitti generati dalla sua comparsa, sfociati nella campagna di Ibrahim Pascià – figlio del governatore d’Egitto Muhammad ‘Alī – che distrusse Dir‘iyya, roccaforte del movimento di Ibn ‘Abd al-Wahhāb. In seguito sorse il conflitto tra il salafismo moderno e i suoi oppositori ashariti e sufi. Tuttavia, nel corso di tutti questi sviluppi, non troviamo quasi alcun invito a rifiutare le scuole giuridiche e l’imitazione (taqlīd) come metodo seguito nel ragionamento giuridico. Se i detrattori del “salafismo” hanno rivolto ai salafiti questa accusa, l’hanno fatto soltanto come provocazione11. Nel salafismo prevaleva invece l’invito a ripensare, di volta in volta, la dottrina codificata e i capisaldi delle scuole giuridiche.
Il salafismo dei movimenti islamisti
Con l’avvento dell’epoca nasseriana, la sfera religiosa egiziana si modificò. L’obiettivo di Nasser era infatti la nazionalizzazione di tutti i settori dello spazio pubblico, compresi quindi quello culturale e religioso, con la loro subordinazione alla sua autorità. In quest’ottica, il più importante provvedimento adottato dal ra’īs relativamente alla sfera religiosa fu la legge di riforma dell’Azhar del 1961. Questa politica incise sul corso del salafismo egiziano da diversi punti di vista. Da un lato, il salafismo prima maniera risultò notevolmente indebolito da questa impetuosa ondata nasseriana, ciò che può essere spiegato con la mancanza di un’organizzazione strutturata capace di proteggerne l’esistenza in situazioni del genere. D’altra parte, al conflitto tra salafiti e ashariti/sufi si sostituì in Egitto quello tra Nasser e i Fratelli musulmani (con la crisi dei Fratelli nel 1954 e nel 1965), mentre il ruolo dell’Azhar declinava notevolmente. Il fatto che per diciotto anni la sfera religiosa sia stata privata di qualsiasi apporto effettivo da parte della moschea-università spalancò la porta ai movimenti islamisti che iniziarono a emergere con forza all’inizio dell’era di Sadat, colmando questo spazio vuoto. In secondo luogo, lo spostamento del centro di gravità religioso dall’Egitto all’Arabia Saudita, che in questo periodo si erse a custode dell’Islam, permise al Regno di far valere il suo peso nel campo egiziano.
L’epoca nasseriana si concluse nel 1970. Sadat inaugurò una nuova era, adottando una linea diversa da quella del suo predecessore. Il suo primo passo fu la cancellazione dell’eredità di Nasser in vista del traghettamento dell’Egitto verso una fase di apertura, libero mercato e transizione capitalista, e questo malgrado le crisi interne ed esterne che il Paese stava attraversando. Per fare questo Sadat non poté che ricorrere al sostegno dei rivali storici di Nasser e del socialismo: gli islamisti. Aprì le prigioni, rilasciò i detenuti e concesse loro di accedere allo spazio pubblico. Questi movimenti si riversarono nelle università egiziane e ciò, insieme all’acuta crisi psicologica causata dalla sconfitta del 1967, produsse una sorta di risveglio religioso di cui Sadat era consapevole e che seppe sfruttare.
In tutto ciò il termine salafismo non indicava ancora una corrente specifica; il movimento islamico degli studenti delle università egiziane andava sotto il nome di Gamā‘a islāmiyya (“Gruppo islamista”). Quando gli studenti affiliati ai Fratelli musulmani cercarono di estendere la loro influenza sulla Gamā‘a islāmiyya, inglobandola nella Fratellanza, incontrarono il rifiuto di alcuni leader di secondo piano della Gamā‘a. Questi ultimi preferirono staccarsi completamente dal gruppo e creare una loro organizzazione, nota come al-Madrasa al-salafiyya (“Scuola salafita”), che nel 1982 si insediò ad Alessandria con il nome di Da‘wa salafiyya (“Predicazione salafita”). Fu questa la prima volta in cui comparve il termine salafismo come espressione di una corrente militante effettivamente esistente.
La Da‘wa salafiyya non fu l’unica versione di salafismo di quel periodo. Simultaneamente, nei primi anni ’80, nacque infatti una corrente salafita indipendente, i cui esponenti si distinguevano per due caratteristiche: il riferimento al nome salafismo e l’assenza di affiliazione a gruppi organizzati, a causa di divergenze interne. In entrambi i fronti nacquero poi altre entità salafite che si contendevano visibilità e potere. Ad avere maggior peso in Egitto fu però il “Salafismo indipendente”, ciò che si spiega con la sua maggiore diffusione al Cairo, il centro per eccellenza, e con l’assenza di un’organizzazione rigida che ne intralciasse la diffusione. Nel periodo che va dall’inizio degli anni ’90 fino al gennaio del 2011 esso è riuscito a costituirsi una base nella società egiziana. È stato questo tipo di salafismo a implicarsi maggiormente nella polemica con gli aderenti alle scuole giuridiche, a differenza del salafismo di Alessandria, la cui organizzazione piramidale lo ha tenuto al riparo da simili controversie.
L’influenza di al-Albānī
Una delle conseguenze delle politiche religiose adottate da Nasser fu la cesura tra la prima versione del salafismo, cioè la scuola di Rashīd Ridā, e le versioni salafite successive, nate nella scia dei movimenti islamisti. A causa di essa nuove fonti d’ispirazione si sostituirono al salafismo prima maniera, fornendo al salafismo contemporaneo nuovi strumenti concettuali. La più importante di queste nuove fonti è stata l’impronta metodologica impressa dallo shaykh Nāsir al-Dīn al-Albānī sulla teoria giurisprudenziale, che incise profondamente sul salafismo contemporaneo, decretando la contrapposizione definitiva tra i salafiti e gli esponenti delle scuole giuridiche. Le ricerche giurisprudenziali di al-Albānī erano quasi completamente libere dagli schemi delle scuole giuridiche, come si può comprendere alla luce della sua concezione della riforma islamica.
Tutti i suoi sforzi si sono infatti concentrati sul processo che lui stesso ha definito di “purificazione ed educazione” (al-tasfiya wa-l-tarbiya), che è anche il titolo e l’obiettivo del suo progetto. Con “purificazione” s’intende l’eliminazione dalle scienze islamiche di tutti gli elementi estranei che esse hanno integrato nel corso del tempo. In questo senso al-Albānī si è dedicato soprattutto a eliminare dalla tradizione gli hadīth deboli e inventati. A questa purificazione segue per al-Albānī la seconda fase, quella dell’educazione, e cioè la riorganizzazione delle scienze islamiche sulla base del Corano e della Sunna autentica, alla cui delucidazione si è lavorato nel corso della prima fase, per poi educare le generazioni musulmane secondo questo prodotto ormai privo d’impurità.
Per conseguire il suo obbiettivo al-Albānī non ha rispettato la struttura giurisprudenziale scolastica (tradizionale), propendendo invece per l’adozione esclusiva delle tradizioni profetiche, sul modello delle raccolte canoniche come i Sahīh di al-Bukhārī e Muslim e delle altre Sunan, con l’estrapolazione delle norme legali dai testi, direttamente dalle sezioni sotto cui esse si trovano rubricate, senza preoccuparsi di fare riferimento alle scuole giuridiche e ai loro enunciati, e senza procedere a un’esposizione scrupolosa delle dottrine delle varie scuole, come invece abbiamo visto accadere nel caso di Ibn Taymiyya.
A livello puramente giuridico, affermare che il Corano e la Sunna sono fonti legislative imprescindibili è indubbiamente corretto. Si tratta di un principio consolidato che nessun musulmano si sognerebbe di contraddire. La differenza sta piuttosto nei metodi con cui si attinge al Corano e alla Sunna. Al-Albānī e tutto il movimento salafita contemporaneo nato dopo di lui seguono la via dell’approccio diretto ai testi, cercando per qualsiasi questione un riferimento testuale o una prova specifica. Nel corso della storia islamica anche i seguaci delle scuole giuridiche hanno sempre dichiarato di richiamarsi al Corano e alla Sunna – anzi ogni scuola pretendeva di essere più vicina delle altre alle verità del Corano e della Sunna12 –, ma il loro modo di attingere al Corano e alla Sunna era diverso da quello di al-Albānī e della scuola dei neo Ahl al-hadīth, per usare l’espressione di Stéphane Lacroix13. Esso si basava infatti sul patrimonio giuridico prodotto nel corso della storia a partire dal fondatore della scuola. Questo patrimonio trattava le questioni giuridiche con un metodo onnicomprensivo, che per ogni fattispecie adduceva prove (adilla) di genere diverso: alcune si rifacevano ai testi in maniera diretta o indiretta, esplicita o implicita, altre trovano fondamento in norme legali indotte dai testi, in giustificazioni testuali o ricavate dai testi, oppure in considerazioni sapienziali generali e d’interesse pubblico che l’induzione premetteva di ricondurre alla Legge.
E tuttavia, nonostante la conflittualità insita nel modello di elaborazione giurisprudenziale del salafismo contemporaneo, esso ha integrato nella sua struttura una serie di concetti che ruotano attorno all’astensione dalle lotte di potere. Questa scelta è valsa ai salafiti il favore dell’autorità politica, che ha lasciato loro libertà di azione e di propagazione nella sfera pubblica, strumentalizzandoli per limitare l’espansione di qualsiasi idea religiosa che recasse con sé concetti politici. Così il salafismo contemporaneo è diventato centro di gravità e polo di attrazione della sfera religiosa.
La riscossa delle scuole
Nel frattempo, all’inizio degli anni ’90, alcuni membri dell’élite azharita hanno preso coscienza dello spostamento dell’autorità religiosa verso il salafismo, notando che la parte più devota della società seguiva ormai questa tendenza e che anzi essa era penetrata nella stessa Azhar14. Per quest’élite azharita – detentrice dell’antica gloria – restava soltanto un posto ai margini della via tracciata dal discorso religioso salafita. Essa ha cercato allora di riconquistare il proprio status, ma il tentativo è stato minato dal fatto di essersi mossa al di fuori del quadro istituzionale e di non essersi mai spinta oltre i circoli scientifici dell’Azhar diretti da Ali Gomaa e da alcuni suoi discepoli. Ex-Mufti d’Egitto e autore di alcuni libri critici verso i salafiti, Gomaa avrebbe svolto un ruolo di rilievo a diversi livelli, e in particolare nell’escalation fra la tendenza tradizionale (asharita e sufi) e il salafismo15.
Quando nel gennaio del 2011 ha preso avvio il movimento di protesta, i salafiti si sono inizialmente schierati contro qualsiasi forma di contestazione del potere, mentre il popolo viveva uno stato di ebollizione e di collera. Una volta scoppiata la rivoluzione, la loro posizione si è trasformata gradualmente fino a sfociare nell’adesione totale al processo politico di cui erano stati i più acerrimi oppositori. Questo cambiamento avrebbe avuto in seguito strascichi negativi, facendo perdere ai salafiti la fiducia di gran parte della propria base, che di fronte al riaccendersi della rivalità tra il salafismo e l’Islam delle scuole giuridiche avrebbe optato per queste ultime.
Al momento della preparazione del colpo di Stato del 2013, il generale al-Sisi ha sfruttato i salafiti, in particolare la Da‘wa salafiyya di Alessandria, per organizzare la mobilitazione contro i Fratelli musulmani ed eliminarli. Non a caso il segretario generale del partito salafita al-Nūr era seduto dietro il generale quando questi annunciò il rovesciamento del presidente Morsi il 3 luglio 3013.
A poco a poco il rapporto di forze si è modificato e il partito salafita al-Nūr è scomparso gradualmente dalla scena dopo aver svolto efficacemente il suo compito negli eventi egiziani, lasciando il posto all’élite dell’Azhar, che ha sfruttato questi eventi per risolvere a proprio vantaggio la rivalità sia con i salafiti che con i Fratelli. Ali Gomaa ha benedetto la repressione messa in atto dal generale contro i manifestanti di Rābi‘a al-‘Adawiyya, definendoli “kharijiti” e aprendo in questo modo la strada alla liceità della loro uccisione. Gomaa avrebbe poi tenuto una conferenza presso il Dipartimento per gli Affari morali delle forze armate egiziane, durante la quale avrebbe espresso il proprio consenso all’uccisione di chiunque si fosse opposto al generale.
Gli sforzi dell’élite dell’Azhar sono stati coronati dal successo con la nomina di un allievo di Ali Gomaa alla funzione di consigliere religioso del presidente della Repubblica, che il generale al-Sisi avrebbe sfruttato nella sua rivalità latente con il Grande Imam dell’Azhar per indebolire la stessa moschea. Tuttavia, se inizialmente questo discepolo dell’Azhar si è levato a difesa del “metodo azharita” contro i salafiti, oggi si erge contro questo stesso “metodo” sostenendo, sulle orme del generale, la necessità di purificarlo dai semi della violenza e dell’estremismo di cui è impregnato.
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1 Muhammad al-Saffārīnī al-Hanbalī, Lawāmi‘ al-anwār al-bahiyya wa sawāti‘ al-asrār al-athariyya, al-Maktab al-islāmī, Bayrūt 1991, vol. 1, p. 20. I kharijiti sono un gruppo rigorista che giocò un ruolo importante nell’Islam delle origini, rafiditi (letteralmente “rifiutatori”) è un appellativo negativo degli sciiti, qadariti e murjiti sono due antiche scuole teologiche che si espressero rispettivamente a favore del libero arbitrio e del rimandare il giudizio del peccatore alla fine del tempo (NdR).
2 Il giudice mu‘tazilita ‘Abd al-Jabbār (m. 415/1025) colloca i quattro califfi ben guidati in un altro gruppo rispetto a quello dei Compagni, considerandoli la prima generazione della Mu‘tazila. Si veda, Fadl al-i‘tizāl wa tabaqāt al-mu‘tazila, al-Dār al-tūnisiyya li-l-nashr, Tūnis 1974, p. 214. Si veda anche ciò che Tāj al-Dīn al-Subkī (m. 771/1370) dice di Abū al-Hasan al-Ash‘arī (m. 324/936) in Tabaqāt al-shāfi‘iyya al-kubrā, Faysal ‘Īsā al-bābī al-halabī, 1964, vol. 3, p. 365.
3 Ibn Taymiyya rimase in Egitto sette anni, dal 1306 al 1313 (705-712 del calendario islamico). Sull’influenza latente che esercitò in questo contesto si vedano, nell’ordine, Al-Maqrīzī, Al-Mawā‘iz wa-l-i‘tibār bi-dhikr al-khitat wa-l-āthār, Dār al-kutub al-‘ilmiyya, Bayrūt 1418, vol. 1, pp. 434-442, 446-450, 714, e si confronti questa posizione con Ibn al-Qayyim al-Jawziyya, Al-Turuq al-hikmiyya, Maktabat Dār al-bayān, n.d., vol. 1/8, pp. 7-8, e Id., I‘lām al-muwaqqi‘īn ‘an Rabb al-‘ālamīn, Dār al-kutub al-‘ilmiyya, Bayrūt 1991, vol. 5, p. 513. Si vedano inoltre Al-Maqrīzī, Tajrīd al-tawhīd al-mufīd, e al-Jabartī, ‘Ajā’ib al-āthār fī-l-tarājim wa-l-akhbār, Dār al-kutub al-misriyya, al-Qāhira 1998, vol. 2, p. 519.
4 Ibn Taymiyya, Al-Radd ‘alā al-Subkī fī mas’alat ta‘līq al-talāq, Majma‘ al-fiqh al-islāmī, Judda, n.d., vol. 2, pp. 626-628.
5 Con l’espressione “tahrīr al-madhhab” s’intende l’indagine volta a distinguere le opinioni dei fondatori delle scuole giuridiche, che costituiscono i fondamenti del madhhab, dalle interpretazioni degli ulema successivi all’interno della stessa scuola (NdR).
6 Si veda Ibn Taymiyya, Al-Radd ‘alā al-Subkī, vol. 1, p. 170.
7 In arabo “al-adilla al-juz’iyya”: si tratta delle prove testuali specifiche circa una determinata questione (NdR).
8 Il wahhabismo ha incontrato l’ambiente egiziano a più riprese, innanzitutto nella scia delle due campagne condotte da Muhammad ‘Alī contro l’emirato saudita. A questo proposito si veda al-Jabartī, ‘Ajā’ib al-āthār, vol. 2, p. 591, vol. 3, pp. 189, 247, 341, 600. Relativamente all’influenza esercitata dal wahhabismo sull’ambiente egiziano fino all’inizio della Nahda, quando si formò la scuola riformista, si veda Muhammad ‘Abduh, Al-A‘māl al-kāmila, qism al-ilāhiyyāt, pp. 212, 335, 541-545, 557. Per quanto riguarda l’influenza esercitata dal wahhabismo su Rashīd Ridā e la successiva fase di diffusione in Egitto si veda Muhammad Rashīd Ridā, Al-Wahhābiyyūn wa-l-Hijāz, Maktabat al-manār, Misr 1344, e la sua introduzione a Muhammad Bashīr al-Sahsawānī al-Hindī, Siyānat al-insān ‘an waswasat al-shaykh Dahlān, Maktabat al-manār, Misr 1351.
9 Si vedano Al-Durar al-saniyya fī-l-ajwiba al-najdiyya, vol. 1, pp. 15, 277, 446, vol. 10, p. 304; Muhammad Bashīr al-Sahsawānī al-Hindī, Siyānat al-insān, p. 546, Muhammad Ibn al-Hasan al-Hajwī, Al-Fikr al-sāmī fī tārīkh al-fiqh al-islāmī, vol. 2, p. 446.
10 Cioè della moderna Arabia Saudita, fondata da ‘Abd al-‘Azīz Āl-Sa‘ūd nel 1932. I due precedenti emirati sauditi durarono rispettivamente dal 1744 al 1818 e dal 1824 al 1891 (NdR).
11 Per alcuni esempi si vedano Ibrāhīm al-Samannūdī, Sa‘ādat al-dārayn fī-l-radd ‘alā al-firqatayn: al-wahhābiyya wa muqallidat al-zāhiriyya, Dār al-khulūd li-l-turāth, al-Qāhira 2009, e Muhammad Zāhid al-Kawtharī, Al-Lāmadhhabiyya qantarat al-lādīniyya, al-Maktaba al-azhariyya li-l-turāth, al-Qāhira, n.d., che è una confutazione del salafismo.
12 A questo proposito si veda Abū al-Mu‘ālī al-Juwaynī, Mughīth al-khalq fī tarjīh al-qawl al-haqq, al-Maktaba al-‘asriyya, Saydā-Bayrūt 2003. A questo libro ha risposto Muhammad Zāhid al-Kawtharī al-Hanafī con Ihqāq al-haqq bi-ibtāl al-bātil fī mughīth al-khalq, al-Maktaba al-‘asriyya, Saydā-Bayrūt 2003. Ci sono numerosi altri esempi, tra cui Bakr Ibn ‘Abdallah Abū Zayd, Al-Madkhal al-mufassal li-madhhab al-imām Ahmad wa takhrījāt al-ashāb, Dār al-‘āsima, Judda 1417, vol. 1, pp. 53-77.
13 Stéphane Lacroix, Sultat al-hadīth fī-l-madrasa al-salafiyya al-mu‘āsira: qirā’a fī ta’thīr al-shaykh Muhammad Nāsir al-Dīn al-Albānī wa madrasatihi, «Marāsid» 6, gennaio 2012.
14 Si veda il caso di Muhammad Yusrī Ibrāhīm, diventato ministro degli Affari religiosi nel 2012, suscitando clamore tra le fila degli azhariti.
15 Per esempio Al-Bayān li-mā yashghal al-adhhān, Dār al-Muqattam, al-Qāhira 2009, e Al-Mutashaddidūn: manhaju-hum wa munāqashat ahamm qadāyāhum, Dār al-Muqattam, al-Qāhira 2011.