Tunisia/ Per an-Nahda, il partito di maggioranza oggi nel Paese, il riferimento islamico sembra aver vissuto una certa evoluzione, passando dall’ideale dell’affermazione dei dogmi dell’Islam al confronto con le domande del popolo, la realtà politica e le circostanze storiche concrete.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:35
Nel nome di Dio, Clemente, Misericordioso. La domanda su che cosa sia un partito a riferimento islamico mi fa riandare con la memoria a uno dei periodi in cui sono stato in carcere: trovandomi in isolamento per sei mesi, ho avuto modo di riflettere a lungo. In quella circostanza ero assillato da una domanda, allo stesso tempo molto semplice ma molto profonda: per chi mi trovo in carcere? Per Dio o per il popolo? La prima risposta, la più intuitiva, era che mi trovavo in prigione per Dio, poiché la battaglia per la libertà in cui eravamo impegnati nel 1991 era una sorta di guerra santa contro la tirannide e la dittatura [del Presidente Ben Ali, N.d.R.]. Questa risposta forniva una giustificazione religiosa adeguata alla lotta contro il regime e ai suoi esiti, riassumibili nei lunghi anni di carcere, e una consolazione personale per le persone che si trovavano rinchiuse. Tale motivazione però non soddisfaceva un’intera generazione di membri del movimento an-Nahda, diplomati in scuole moderne e formati a un pensiero critico. Così sono stato costretto a fare un passo in più e ho iniziato a considerare che la lotta che stavamo combattendo era anche per il popolo. Mi sono allora domandato in che cosa consistesse la differenza tra il movimento islamista, e la sua lotta contro il regime tirannico, e i partiti laici di sinistra o di altre tendenze. Sono così giunto a pensare che la risposta alla domanda iniziale esigeva che nella nostra lotta si tenesse conto della coesistenza di una dimensione religiosa e di una dimensione popolare. Questa risposta era più soddisfacente, ma a certe condizioni. La più importante era la possibilità di considerare la religione anche come un complesso di idee capace di fornire un’interpretazione della realtà e di proporre soluzioni alle sfide che essa deve affrontare. A dire il vero la domanda cui ho fatto cenno non è stata solo mia. Un’intera generazione di militanti di an-Nahda si è a lungo interrogata, dentro e fuori le carceri, sul ruolo del riferimento religioso e sulla presenza del riferimento islamico nel quadro del partito. E se il punto di partenza è stato per tutti la richiesta di libertà e la resistenza contro la tirannia e la dittatura, l’orizzonte ultimo è sempre stato la ricostruzione culturale sulle macerie del modello vigente. In questo senso è bene sottolineare che in tutta la sua storia an-Nahda non è mai stata un partito politico nel senso tradizionale del termine, quanto un movimento per il rinnovamento civile e culturale. Vi è un terzo elemento, che sono convinto abbia influenzato in maniera significativa la nostra comprensione del riferimento ideale di an-Nahda e che è naturalmente rappresentato dalla rivoluzione tunisina, la rivoluzione della libertà e della dignità. Essa infatti non ha prodotto soltanto una redistribuzione delle forze politiche in campo, ma ha dato avvio a un’operazione di trasformazione della cultura politica e delle ideologie su cui si fondano i diversi soggetti presenti sulla scena politica tunisina. Abbiamo potuto notarlo in varie occasioni, per esempio nel dibattito sull’articolo 1 della nuova Costituzione tra quanti erano favorevoli alla formulazione precedente e quanti invece avrebbe voluto modificarla includendovi una indicazione chiara sull’identità arabo-islamica del Paese. Poco a poco ha iniziato a emergere un consenso inedito all’interno dello spazio politico. Il governo di coalizione, la posizione circa la questione della sharî‘a e il modo in cui è stata affrontata la questione religiosa in seno alla società tunisina sono alcuni degli aspetti della convergenza che ha iniziato a verificarsi nella sfera pubblica. Anche le forze di sinistra più aspramente anti-religiose hanno cambiato atteggiamento. Per esempio sono state attente, nella loro comunicazione, a inserire riferimenti al Corano o a far comparire delle donne velate nei loro manifesti elettorali. Sono messaggi chiari per la società tunisina e un cambiamento essenziale nell’azione di questi soggetti politici. Per questo siamo certi che sia stata inaugurata una nuova fase in cui l’Islam rappresenterà la nuova cornice dell’accordo politico nel Paese. Bisogna per questo tenere conto del fatto che il riferimento ideale di una forza politica dipende sempre dalla sua “rappresentatività” all’interno della società. Se una forza politica confligge con la società in questioni sensibili come quella dell’identità non riuscirà a ottenere la fiducia dell’elettorato. Questo può spingerla a operare una revisione. Magari all’inizio può trattarsi di una revisione tattica, ma spesso accade che le revisioni tattiche si tramutino in un ripensamento essenziale e strategico assimilato all’interno delle idee su cui si fonda un progetto politico. Non è un fatto che riguarda solo le tendenze di sinistra, di sinistra radicale e laiche. Riguarda anche an-Nahda. Dall’ideale ai bisogni della storia Il movimento an-Nahda è partito da un pensiero caratterizzato da una sorta di puritanesimo e una tendenza al proselitismo, se posso prendere in prestito questo termine da un altro registro linguistico. Poco a poco però an-Nahda ha iniziato ad avvicinarsi allo spirito generale e alla coscienza collettiva della società tunisina. È da questo quadro che emergono le sue diverse posizioni sulla sharî‘a o su altre questioni, sulle quali il movimento cerca una sorta di accordo tra il suo pensiero e la sua anima ideale e i bisogni, la storia, il carattere della società tunisina. Credo si tratti di un percorso avviato da diversi soggetti politici che produrrà un avvicinamento reciproco in direzione di quello che può essere chiamato il centro della società tunisina. Nel caso di an-Nahda possiamo osservare uno sviluppo metodologico del suo pensiero di riferimento e siamo convinti che su di esso abbiano influito vari fattori. Il primo fattore è la varietà intellettuale interna, cui il partito ha attinto sia nei suoi orientamenti generali quanto nelle prese di posizione ufficiali. Un secondo fattore è la peculiarità dell’ambiente culturale e sociale tunisino e quindi il contesto storico e geografico. La Tunisia è un Paese costiero aperto all’Europa, e la testa dell’Africa, il trait d’union tra varie regioni geografiche e anche tra varie culture. E il passaggio di ogni cultura ha lasciato tracce sul nostro popolo e impresso un’impronta particolare sulla sua personalità. An-Nahda dovrà fare necessariamente i conti con questi elementi. Un terzo elemento è il consolidamento del cambiamento democratico. Considerato che ogni esperienza di transizione democratica ha bisogno di garanzie, an-Nahda ritiene che la forma consensuale sia la garanzia più solida per portare a termine con successo l’attuale fase politica. All’interno di questo quadro, il riferimento ideale del partito, così come emerge dai suoi discorsi e dalle sue prese di posizione, si articola in tre livelli: a) il livello dei fondamentali dogmatici e dei fondamentali legislativi. b) Il livello dell’interpretazione (ta’wîl), che comprende il vasto campo dell’interpretazione dei testi religiosi, della sharî‘a e di tutte le sue questioni. c) Infine il livello che potremmo definire come dello “spazio di risulta”. Si tratta di un ambito molto ampio, non contemplato dai testi, in cui si esercita lo sforzo interpretativo (ijtihâd) in funzione degli interessi presenti in questo spazio. A partire da questi tre livelli la questione del riferimento islamico di an-Nahda si precisa nella sua visione della politica secondo i principi della sharî‘a (al-siyâsa al-sharî‘iyya) o di quella che definiamo gestione della cosa pubblica. Essa è determinata dagli interessi (masâlih) e dalle priorità (awwaliyyât) presenti nella società. An-Nahda considera se stessa una corrente o una delle componenti della corrente centrista, la quale intende affermare i fondamenti dell’Islam e l’integralità del suo progetto attraverso il metodo giuridico delle finalità della sharî‘a, cioè con la distinzione tra fini da perseguire (maqâsid) e la variabilità dei mezzi da utilizzare, tra l’attenzione al significato nell’ambito delle relazioni sociali e l’adesione stretta alle forme nell’ambito degli atti di culto. Riassumendo potremmo dire che, per an-Nahda, l’autocomprensione del riferimento islamico è passata attraverso due fasi fondamentali: la prima è quella dell’affermazione di un’identità derivata dagli aspetti dogmatici dell’Islam, mentre la seconda ha visto la definizione di un’identità culturale attraverso la dialettica tra l’aspetto ideale e la realtà politica. Grazie a questo percorso oggi an-Nahda affronta una fase nuova nella comprensione del suo riferimento e della sua identità per fornire risposte adeguate alle sfide attuali, non attraverso idee generali, ma attraverso programmi efficaci a livello politico, sociale, culturale ed economico.