Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:53
Il "dibattito sul velo" tedesco è radicalmente differente da quello francese. Si è aperto in seguito alla sentenza del 24 settembre 2003 della Corte Costituzionale, emessa con tre voti favorevoli e due contrari (si tratta quindi di una sentenza controversa). Il provveditorato agli studi della regione del Baden-Württemberg aveva negato ad una cittadina tedesca di origine afgana l'assunzione al periodo di prova in una scuola elementare, perché questa, in quanto musulmana praticante, voleva assolutamente portare il velo durante le lezioni. La donna ha impugnato il relativo provvedimento ed infine, a fronte di quattro decisioni, tutte favorevoli al Baden-Württemberg, si è appellata alla Corte Suprema della Repubblica Federale Tedesca. Il giudice costituzionale, in una sentenza lunga più di quaranta pagine, ha definito giustificata l'accusa della donna, in quanto un divieto al personale insegnante di portare il velo negli edifici scolastici e durante le lezioni non trova adeguato sostegno in un preciso fondamento giuridico. Allo stesso tempo la Corte ha ritenuto che il mutamento avvenuto nella società, legato alla crescente pluralità di religioni, poteva rappresentare lo spunto per ridefinire la quantità accettabile di segni religiosi all'interno della scuola. Diversamente che in Francia, in Germania si tratta in questo caso della questione circa la misura in cui agli insegnanti delle scuole dello Stato che, anche se in periodo di prova, sono impiegati statali possa esser rifiutato il diritto di esprimere visibilmente di fronte agli allievi la propria appartenenza religiosa, a una religione che per di più è in contrasto con le tradizioni occidentali. Nessuna scuola tedesca proibirebbe a una studentessa, come avviene in Francia, di portare il velo. La sentenza della Corte Costituzionale, piuttosto, ha voluto mettere in evidenza il conflitto esistente fra il diritto fondamentale alla libertà religiosa dell'insegnante, da un lato, e, dall'altro, il compito educativo dello Stato, il diritto all'educazione dei genitori e la "libertà religiosa negativa" degli allievi, vale a dire il loro diritto a non venire influenzati dallo Stato in campo religioso senza il loro consenso o senza il consenso dei propri genitori. Qui non si trattava, come in Francia, della laicité, e neppure della rigida separazione fra Stato e Chiesa, bensì del dovere dello Stato di assumere «un atteggiamento aperto e pluralista, che favorisca in un egual misura la libertà di culto di tutte le confessioni religiose». I riferimenti al Cristianesimo, così recita la sentenza, «non sono proibiti tout court» negli ambienti scolastici; la scuola però «deve essere aperta anche nei confronti di altri contenuti religiosi e di altre visioni della vita». Portando il velo durante le lezioni viene lesa la libertà degli allievi «di mantenersi a distanza da gesti cultuali di una fede non condivisa». È come minimo ipotizzabile che «gli alunni ne vengano influenzati e che si generino conflitti con i genitori, che possono compromettere l'adempimento del compito educativo della scuola». Tuttavia la Corte Costituzionale ha dato ragione all'insegnante musulmana, poiché quello in parola sarebbe un «pericolo astratto» e la legislazione del Baden-Württemberg in campo scolastico e del pubblico impiego non è sufficiente a giustificare un divieto del velo. Il legislatore in ogni singola regione (la gestione delle scuole statali di ogni livello e tipo, fino alle università, in Germania è di competenza dei Länder e non dello Stato) è libero, attraverso la legge, di rideterminare nel rispetto della Costituzione «la misura ammessa di riferimenti religiosi nelle scuole», cioè di «ascrivere all'obbligo di neutralità in ambito scolastico un significato più rigoroso e più distanziato di quanto lo sia attualmente». Un'Ondata di Ricorsi Il Baden-Württemberg, la Baviera e la città anseatica (che ha valore di Land) di Brema hanno frattanto preannunciato l'intenzione di emanare una legge in questa direzione. Tuttavia la difficoltà consiste nel fatto che in tal modo non si intende assolutamente proibire, ad esempio, a un frate francescano di insegnare in tonaca, o a una suora di essere riconoscibile come tale attraverso il suo abito, oppure a un insegnante ebreo di portare il copricapo o il cappello durante le lezioni. Finora non è stato reso noto pubblicamente nessun disegno di legge che risolva questo problema in modo soddisfacente. Probabilmente i disegni di legge faranno riferimento alle tradizioni ebraico-cristiane dell'occidente e sottolineeranno che la proibizione del velo musulmano è necessaria perché esso può suscitare conflitti fra gli allievi, i genitori o fra colleghi del corpo insegnante. In qualunque modo sarà strutturata la legge, è prevedibile che ci saranno ulteriori ricorsi e stavolta direttamente alla Corte Costituzionale (che sola può giudicare della costituzionalità di una legge). I ricorsi non verranno presentati solamente dai musulmani, bensì ad esempio anche da atei o da organizzazioni "umanistiche" che sostengono una più rigida separazione fra Stato e Chiesa. La Conferenza Episcopale Tedesca, pur senza prendere una posizione pubblica riguardo alla sentenza della Corte Costituzionale e al programma di legge, ha sottolineato nell'assemblea generale del marzo 2004 che «le tradizioni e i simboli cristiani, comprese le tonache dei sacerdoti e dei religiosi» fanno parte «della cultura sviluppatasi» in Germania e «sono tutelate dall'ordine dei valori costituzionali», perciò occorre respingere fermamente la loro «equiparazione al velo portato dalle donne musulmane e ad altri segni islamici». Il dibattito pubblico che si è acceso attorno alla sentenza della Suprema Corte della Repubblica Federale di Germania fa presupporre che la stragrande maggioranza dei tedeschi (dei quali oltre il 60% si professa cristiano e solo circa il 3,5% dichiara la propria appartenenza all'Islam) avrebbe auspicato un rifiuto più esplicito delle richieste dell'insegnante musulmana. Questo dipende tra l'altro dal fatto che in Germania il velo musulmano viene inteso come simbolo dell'oppressione della donna nell'Islam; inoltre si è venuto a sapere che la donna che aveva sporto il ricorso da anni faceva parte di un'organizzazione islamica radicale, facendo così sorgere il dubbio se le importasse realmente della sua fede e non si trattasse piuttosto di una provocazione politica. Fra gli stessi musulmani non è chiaro se il Corano realmente obblighi le donne a portare un velo quando si trovano in mezzo ad altra gente. D'altro canto più di 70 organizzazioni musulmane presenti in Germania, in una comune dichiarazione pubblica, hanno messo in guardia dal fatto che la proibizione del velo a insegnanti statali possa venire utilizzata per «legittimare discriminazioni in settori privati».