In arabo si chiama tafsīr ‘ilmī e spezza una tradizione plurisecolare dominata dalla tendenza ad assolutizzare l’interpretazione degli antichi.
Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 12:39:06
In arabo si chiama tafsīr ‘ilmī e spezza una tradizione plurisecolare dominata dalla tendenza ad assolutizzare l’interpretazione degli antichi. Emancipandosi dal commento tradizionale, questo tipo di esegesi favorisce letture che si avvalgano anche dell’apporto di altre discipline e mira a dimostrare, con risultati stravaganti, l’accordo tra i contenuti della Rivelazione e le scoperte della scienza.
Il 1798 è considerato uno spartiacque della storia del Medio Oriente. La campagna napoleonica d’Egitto e l’influenza politica, economica e culturale europea che ne seguì mise infatti i popoli arabo-musulmani di fronte al sorprendente sviluppo dell’Europa, innescando un dibattito ancora attuale sulle cause del ritardo tecnologico e scientifico del mondo musulmano. L’Occidente si trovava allora nel pieno della rivoluzione industriale e la sua forza militare ed economica e il suo dinamismo culturale gli avrebbero consentito di imporre progressivamente il proprio dominio su gran parte del dār al-Islām, i territori musulmani.
Molti intellettuali musulmani dell’epoca individuarono proprio nella superiorità scientifica e tecnologica dell’Europa la ragione principale della sua supremazia. Questa convinzione contribuì ad alimentare quel senso di inadeguatezza che alcuni hanno definito “catching up syndrome”[1], ovvero il desiderio di rimettersi al pari con l’Occidente impadronendosi delle sue conoscenze e della sua tecnologia. Tuttavia, impadronirsi di conoscenze e istituzioni straniere presupponeva una riflessione preventiva sulla natura delle acquisizioni da assimilare e sulla loro conformità con l’Islam. Non tutti infatti consideravano positivamente la loro adozione: c’era chi ne sosteneva la necessità senza riserve, chi guardava la scienza moderna con diffidenza per le sue origini occidentali e chi ancora la aborriva, ritenendola fonte di corruzione dell’Islam. Di fatto si trattava di stabilire se le scienze europee recassero impressi i valori delle società d’origine e fossero dunque patrimonio esclusivo della loro cultura o se, al contrario, avessero validità universale e potessero essere importate senza minacciare l’integrità dell’Islam.
Il dibattito filosofico
La questione del rapporto tra l’Islam e la scienza occupò buona parte della riflessione di molti pensatori musulmani, in particolare dopo che nel 1883 ebbe luogo il dibattito tra l’ideologo e attivista panislamico Jamāl al-Dīn al-Afghānī (m. 1897) e il filosofo francese Ernest Renan (m. 1892). Alle accuse di quest’ultimo secondo il quale l’Islam era una religione oscurantista e nemica della scienza[2], al-Afghānī rispondeva affermando che, se correttamente interpretato, l’Islam non soltanto non avrebbe ostacolato lo sviluppo dei popoli musulmani, ma avrebbe loro permesso di colmare il divario politico, economico e culturale con le società europee. Le idee di al-Afghānī sul nesso tra riforma dell’Islam e sviluppo delle società musulmane furono riprese dal suo discepolo Muhammad ‘Abduh (m. 1905) e dal discepolo di quest’ultimo Rashīd Ridā (m. 1935), diventando patrimonio comune del mondo islamico moderno. È evidente perciò che l’importazione delle scienze dall’Occidente non era un fatto puramente tecnico, limitato cioè agli scambi materiali tra le due rive del Mediterraneo, ma finiva per toccare i fondamenti dottrinali dell’Islam e l’appartenenza religiosa dei musulmani. Il dibattito sul rapporto tra le società musulmane e la scienza ebbe perciò importanti ripercussioni anche nel campo dell’interpretazione della tradizione islamica e dell’esegesi coranica.
Fu in questo contesto che, sul finire dell’Ottocento, ebbe origine in Egitto una delle più innovative tipologie ermeneutiche del Corano: il commento scientifico (al-tafsīr al-‘ilmī). Tale tipologia esegetica spezza una tradizione plurisecolare dominata dalla tendenza ad assolutizzare l’interpretazione degli antichi e testimonia la volontà di emanciparsi dal commentario tradizionale a favore di interpretazioni che si avvalgano anche dell’apporto di altre discipline, a partire dalle scienze moderne.
Esegesi concordista
Il tafsīr ‘ilmī è un’esegesi di tipo concordista che mira a dimostrare l’accordo tra i contenuti della Rivelazione e le scoperte della scienza. Più precisamente, esso è «la spiegazione scientifica dei segni (āyāt) [coranici] secondo i fondamenti della scienza moderna (‘ilm hadīth) che ne rendono evidenti i contenuti scientifici»[3]. Questa tipologia ermeneutica si fonda sulla dottrina dell’“inimitabilità scientifica” del Corano (i‘jāz ‘ilmī), secondo la quale il Libro sacro dell’Islam non soltanto sarebbe perfetto e inimitabile dal punto di vista letterario, ma avrebbe anticipato alcune scoperte scientifiche, rivelandole a un profeta analfabeta[4]. L’estensione della nozione tradizionale di i‘jāz ai contenuti scientifici, seppure non nuova nella storia del pensiero islamico, si è affermata in particolare nel Novecento, quando nel mondo musulmano la scienza moderna ha progressivamente conquistato quel posto d’onore che per molti secoli era rimasto un monopolio della retorica. Il successo della nozione di “inimitabilità scientifica” e dell’esegesi coranica che ne consegue si riconduce evidentemente alla difficoltà dell’uomo contemporaneo di accettare un criterio estetico, cioè lo stile, quale unica prova dell’origine divina del Libro, e di cercarne un legittimazione anche dal punto di vista della ragione scientifica.
Restrizionisti, enciclopedisti e moderati
L’approccio scientifico al Corano è molto controverso e, nonostante la grande diffusione che ha conosciuto in molti Paesi a maggioranza musulmana, la sua legittimità è oggetto di un acceso dibattito. Ad alimentarlo ha contribuito fra gli altri Zaghlūl al-Najjār (n. 1933), esegeta scientifico di origini egiziane che ha passato la vita battendosi in favore della concordanza tra Corano e scienza moderna.
Questo autore individua tra gli ulema tre posizioni, in base alla loro propensione o avversione per questa via esegetica. Vi sarebbero i restrizionisti, profondamente contrari a qualsiasi tipo di esegesi cha parta da presupposti diversi rispetto alla tradizione consolidata; gli enciclopedisti, che tendono a considerare il Corano alla stregua di un manuale scientifico; e infine i moderati, promotori di un’esegesi scientifica limitata, la cui funzione non sarebbe quella di istruire nelle scienze ma ricordare al fedele l’onnipotenza del Creatore.
Per i restrizionisti l’esegesi scientifica è illegittima perché offre un’interpretazione coranica fondata sul giudizio personale (tafsīr bi-l-ra’y) anziché sulla tradizione (tafsīr bi-l-ma’thūr). A questo proposito essi citano due detti del Profeta – gli stessi che peraltro avvalorerebbero la tesi opposta dei moderati – in cui Muhammad avrebbe esortato a non dare interpretazioni personali: «Chi si esprime sul Corano secondo il proprio giudizio (ra’y), anche se coglie nel segno, è in errore»[5]; «Chi, senza conoscenza alcuna (bi-ghayr ‘ilm), si esprime sul Corano, avrà nel Fuoco il posto che gli spetta»[6].
I moderati replicano che i restrizionisti non avrebbero compreso l’accezione esatta del termine “ra’y” che, nel primo detto, alluderebbe a chi, interpretando, si lascia guidare dalle passioni umane piuttosto che dalla prova evidente. Quanto al secondo detto, spiegano ancora i moderati, non esprimerebbe il divieto incondizionato di ricorrere alla ragione umana nell’interpretazione del Libro, ma stabilirebbe implicitamente uno dei requisiti che deve soddisfare chi si dedica al commento coranico, dissuadendo chi “non ha conoscenza alcuna” del Testo e delle discipline che lo studiano dall’accostarsi all’esegesi della Parola di Dio[7].
Sulla questione della legittimità o meno dell’esegesi scientifica peserebbe anche la nozione di inimitabilità del Corano. I restrizionisti circoscrivono l’i‘jāz all’ambito linguistico, basandosi sul versetto in cui Dio invita gli uomini a portare «dieci sure come queste, inventate da voi» (11,13), e sfidandoli a produrre un discorso migliore del Corano in termini di eloquenza, forma e stile. Essi sostengono che, anche qualora nel Corano fossero presenti aspetti scientificamente inimitabili, l’umanità non sarebbe in grado di comprenderne le verità, in virtù dell’incapacità (‘ajz) dell’uomo di raccogliere la sfida coranica. A questo proposito il Libro è chiaro: «Se gli uomini e i jinn si unissero per portare un Corano come questo non vi riuscirebbero, nemmeno se si aiutassero l’un l’altro» (17,88).
I moderati rispondono che l’inimitabilità non può essere circoscritta alla sola forma letteraria ma deve comprendere anche i contenuti, in questo caso quelli scientifici, in virtù dell’universalità del messaggio coranico, destinato a tutti gli uomini della storia. Diversamente da quella linguistico-stilistica percepita solamente dagli arabofoni, l’inimitabilità scientifica può essere colta anche da chi non conosce l’arabo ma è versato nelle scienze.
I restrizionisti aggiungono che a rendere illecito il tafsīr ‘ilmī sarebbe anche la natura immutabile del Corano e il principio secondo il quale ciò che è invariabile nel tempo non può essere analizzato alla luce di dati variabili. La scienza produce sistemi provvisori e subordinati al progresso mentre il Corano è parola di Dio eterna e immutabile. Ne deriva la superiorità del Corano sulla scienza, che non può che essergli subordinata.
I moderati respingono la critica facendo leva sull’origine divina che accomuna il Libro sacro e il Libro dell’universo[8]. È la cosiddetta tesi della “compatibilità”[9], secondo la quale non vi può essere incoerenza tra la parola di Dio e il creato e quindi neppure tra le scienze che studiano entrambi. Qualora il commento scientifico dovesse risultare in contraddizione con il Corano sarebbe comunque la scienza a dover rivedere le proprie posizioni in virtù del primato dei “segni” coranici sui sistemi scientifici.
Esegeti scientifici all’opera
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i cosiddetti esegeti scientifici non sono né teologi né esegeti di professione, ma intellettuali con una formazione scientifica che si cimentano, spesso da autodidatti, con il sapere esegetico tradizionale. Sono geologi, fisici, biologi, ingegneri e medici che a un certo punto della loro carriera si lasciano tentare dalla ricerca di riferimenti scientifici nel testo coranico. Teoricamente l’esegeta scientifico sarebbe abilitato a interpretare solamente i versetti coranici che contengono rimandi afferenti al suo ambito di specializzazione, ma nella pratica questa norma è spesso disattesa e accade di trovare commenti scientifici che chiamano in causa diverse discipline, dall’embriologia alla geologia fino all’ingegneria, generando le interpretazioni più improbabili.
Benché i versetti coranici dedicati alle manifestazioni della natura e al mondo animale abbiano suscitato fin da subito l’interesse degli esegeti, a prestarsi maggiormente al metodo “scientifico” sono senz’altro i passi relativi all’origine e allo sviluppo dell’essere umano. I versetti più significativi su questo tema (22,5; 23,12-14; 32,8-9; 75,37-38; 76,2; 80,18-19; 86,5-7; 96,2) sono stati letti alla luce delle acquisizioni dell’embriologia e gli esegeti scientifici ritengono di poter individuare nel Corano le fasi dello sviluppo dell’embrione. Ad esempio Zaghlūl al-Najjār individua sette di queste fasi nella sura dei Credenti:
Abbiamo creato l’uomo da un estratto di argilla fine, poi ne abbiamo fatto una goccia di liquido dentro una solida dimora, poi della goccia di liquido abbiamo fatto un grumo di sangue, e del grumo di sangue una massa molle, e della massa molle ossa, e abbiamo vestito le ossa di carne. Poi lo abbiamo originato (23,12-14)
La prima di queste fasi è quella della cosiddetta “goccia di liquido”, dal termine arabo nutfa, che conterrebbe un riferimento al gamete (khaliyyat al-takāthur) femminile e maschile. Questo liquido diventa una “goccia di miscugli” (nutfa amshāj) (76,2) nel momento in cui il liquido femminile e maschile si uniscono a formare uno zigote[10]. Questa verità scientifica – spiega al-Najjār – troverebbe un riscontro anche in un detto riportato sull’autorità di Ibn Hanbal: «Un ebreo passò accanto all’Inviato di Dio, mentre questi era intento a parlare coi compagni. Un qurayshita disse all’ebreo: “Quest’uomo va dicendo di essere un profeta”. Rispose l’ebreo: “Domandiamogli qualcosa che può conoscere solo un profeta. Muhammad! Da che cosa ha origine l’uomo?” L’Inviato di Dio rispose: “Ebreo, l’uomo ha origine dalla goccia di liquido dell’uomo e dalla goccia di liquido della donna”[11]. Questa prima fase di formazione dell’embrione – spiega al-Najjār – avrebbe una durata di quindici giorni, inizierebbe con la fecondazione (ikhsāb) e si concluderebbe con la fase dell’impianto (marhalat al-gharas, o marhalat al-harath).
A questo punto ha inizio la seconda fase[12] del processo di formazione dell’embrione, quella del grumo di sangue, marhalat al-‘alaq, che si protrarrebbe dal quindicesimo e al ventiquattresimo giorno successivi al concepimento, e corrisponderebbe al momento in cui la «goccia di liquido mischiata», ormai fissatasi alla parete dell’utero, si coagula. Ed è propriamente nel termine coranico “‘alaq” che risiederebbe il miracolo scientifico. Le tre accezioni della radice araba ‘-l-q descriverebbero le peculiarità che secondo l’embriologia contraddistinguono l’embrione a questo stadio. Il verbo “‘alaqa” significa infatti “essere appeso, pendere”, mentre il nome “‘alaq” significa “sanguisuga, ventosa” ma anche “coagulo di sangue”. In questa fase l’embrione, spiega l’esegeta, è appeso saldamente alla parete dell’utero alla quale aderisce a ventosa, ha acquisito una forma nuova, simile a una sanguisuga (dūdat al-‘alaq), e come questa si nutre del sangue del corpo al quale aderisce. Le recenti scoperte della scienza consentirebbero inoltre di equiparare il feto a un grumo di sangue perché in questa fase inizia a formarsi il sistema cardiovascolare.
La sura dei Credenti annuncerebbe in seguito la terza fase[13] dello sviluppo dell’embrione, marhalat al-mudgha: «E del grumo di sangue [abbiamo fatto] una massa molle (mudgha)» (23,14). L’esegeta situa questa fase tra la fine della quarta settimana e l’inizio della sesta settimana di gravidanza, quando nel “grumo di sangue” iniziano ad apparire masse note come somiti che aumentano di volume fino a formare una massa di carne. Tale massa presenterebbe una forma che ricorda quella di un “pezzo di carne masticato” (qit‘at lahm mamdūgha) sulla quale sia rimasta l’impronta dei denti, come su una gomma da masticare (‘alak). Questa forma particolare troverebbe espressione nel termine coranico “mudgha”, che letteralmente significa “boccone, gomma da masticare”, e che nel linguaggio contemporaneo ha assunto anche il significato di “embrione”.
I successivi stadi di sviluppo coinciderebbero con la fase di formazione dello scheletro, (inshā’ haykal ‘azmī), la fase di crescita muscolare (kisā’ bi-l-lahm) e la fase di crescita del feto (nash’a)[14]: «Della massa molle [abbiamo fatto] ossa, e abbiamo vestito le ossa di carne. Poi lo abbiamo originato». La prima di queste ha inizio nella settima settimana di gravidanza e corrisponderebbe al processo che la scienza definisce osteogenesi. Quanto alla fase di crescita muscolare menzionata nel Corano, corrisponderebbe in termini scientifici alla miogenesi.
Resta infine la fase di crescita del feto (marhalat al-nash’a). Quest’ultima fase – spiega l’esegeta – si presta a varie interpretazioni secondo le diverse accezioni del termine “nash’a’”, che può significare crescita e sviluppo oppure nascita e genesi. Se si considerano solamente le prime due accezioni, si potrebbe pensare a questa fase come il processo di rapida crescita che il feto intraprende a partire dalla nona settimana di gravidanza. Tuttavia al-Najjār è propenso a tener conto di tutte le accezioni, perciò il versetto «poi lo abbiamo originato (ansha’nā-hu)» alluderebbe al momento in cui Dio insuffla il suo spirito nel feto. Ciò significa che nelle prime fasi la vita dell’embrione è simile a quella delle piante che sono vive ma prive di anima, mentre il feto possiede un’anima. Gli esegeti ritengono di poter individuare il tempo preciso di acquisizione dell’anima nel momento in cui nel feto si sviluppano gli schemi del sonno e i suoi movimenti sono il frutto di una volontà precisa e non di un semplice riflesso. Una relazione, quella tra acquisizione dell’anima e sonno, che sarebbe sancita nella sura delle Schiere: «Dio chiama a Sé le anime al momento della loro morte, e anche le anime che non muoiono durante il sonno» (39,42).
Nascita di una pseudo-scienza
Nata inizialmente per incoraggiare i musulmani ad acquisire le competenze scientifiche e tecnologiche che avrebbero consentito loro di affrancarsi dall’influenza occidentale, il tafsīr ‘ilmī tradisce in realtà un senso di inadeguatezza culturale nei confronti dell’Occidente. In primo luogo, la pretesa di istituire una relazione, il più delle volte forzata, tra i versetti e le scoperte scientifiche contrasta con la nozione stessa di inimitabilità, intesa come incapacità di riprodurre un elemento coranico. Infatti se una teoria scientificamente dimostrabile interviene a spiegare un contenuto del Libro rendendolo suscettibile di riproduzione da parte umana, a rigor di logica, tale contenuto non potrà più considerarsi inimitabile.
In secondo luogo, l’inimitabilità di un passo coranico sotto il profilo della scienza può essere messa in luce soltanto a posteriori, quando le scoperte sono ormai dati di fatto. Questa via esegetica non consente perciò di produrre nuovo sapere scientifico e tecnologico ma attesta semplicemente la non contraddittorietà di un’acquisizione con il Corano, e la superiorità di quest’ultimo sulla scienza. Qualora vi sia una contraddizione tra i due, infatti, è sempre la scienza a dover rivedere la propria posizione. È esemplificativo a questo proposito il caso dello shaykh Ibn Bāz, gran muftì dell’Arabia Saudita dal 1993 al 1999 e ideologo di riferimento dell’Islam salafita, il quale cita in un libro alcuni versetti coranici e detti del Profeta per dimostrare la rotazione del sole attorno alla terra immobile, tacciando di miscredenza chi afferma invece che sia la terra a ruotare attorno al sole[15]. Il Corano diventa così uno strumento che serve a convalidare o invalidare a posteriori il discorso scientifico, sostenendo o respingendo di volta in volta teorie potenzialmente falsificabili, ciò che finisce tuttavia per mettere a repentaglio la pretesa eterna verità della sua dottrina.
Questi tentativi esegetici sono inoltre sintomatici del desiderio di creare una scienza “islamica” fondata sul Corano in contrapposizione alla scienza “occidentale”. Una scienza che si basi esclusivamente sull’epistemologia di matrice occidentale, che non accolga tra i propri presupposti la metafisica islamica e non contempli l’intervento divino nell’universo infatti non può essere per definizione “islamica”. Va comunque notato che tutti i tentativi messi in campo dagli scienziati-esegeti per dar vita a una scienza religiosamente orientata si sono rivelati fallimentari e hanno prodotto solamente una pseudo-scienza.
Nonostante la dubbia plausibilità del tafsīr ‘ilmī, resta il fatto che l’interpretazione scientifica è oggi un fenomeno in costante crescita – molte università nel mondo islamico possiedono almeno una cattedra dedicata a questo tipo di studi – ed è diffuso a tutti livelli della società, dalla Turchia all’Egitto fino al sub-continente indiano, indipendentemente dal grado di avanzamento tecnologico, dal tasso di scolarizzazione e dalla secolarizzazione del Paese[16].
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
Note
[1] Muzaffar Iqbal, Islam and Science, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 202-203.
[2] Ernest Renan, L’Islam et la science, L’Archange Minotaure, Apt 2005, p. 41.
[3] Salāh al-Khālidī, Ta‘rīf al-dārisīn bi-manāhij al-mufassirīn, Dār al-qalam-Dār al-shāmiyya-Dār al-bashar, Dimashq-Bayrūt-Jidda 1429/2008III, p. 566.
[4] ‘Abd al-Majīd al-Zindānī, Su‘ād Yıldırım, Shaykh Muhammad al-Amīn Walad Muhammad, Ta’sīl al-i‘jāz al-‘ilmī fī l-Qur’ān wa al-Sunna, Hay’at al-i‘jāz al-‘ilmī fī l-Qur’ān wa al-Sunna, Makka al-Mukarrama 1421/20002, pp. 17-18.
[5] Al-Tirmidhī, Jāmi‘, Kitāb tafsīr al-Qur’ān, Bāb mā jā’a fī alladhī yufassiru al-Qur’ān bi-rā’y-hi, n. 2896.
[6] Ibi, n. 2895.
[7] Zaghlūl al-Najjār, Madkhal ilā dirāsāt al-i‘ğāz al-‘ilmī, Dār al-ma‘ārifa, Bayrūt 1430/2009, pp. 85-86.
[8] Ibi, p. 117.
[9] Kurt A. Wood, The Scientific Exegesis of the Qur’an: a Systematic Look, «MAAS Journal of Islamic Science» 5 (1989), n. 2, pp. 88-89.
[10] Zaghlūl al-Najjār, Khalq al-insān fī l-Qur’ān al-karīm, Dār al-ma‘rifa, Bayrūt, 1429/20082, p. 350-357.
[11] Ibn Hanbal, Musnad, n. 465.
[12] Zaghlūl al-Najjār, Khalq al-insān fī al-Qur’ān al-karīm, pp. 464-468.
[13] Ibi, pp. 320-324.
[14] Ibi, pp. 325-340.
[15] ‘Abd al-‘Azīz bin Bāz, Al-adilla al-naqliyya wa al-hissiyya ‘lā imkān al-su‘ūd ilā al-kawākib wa ‘alā jariān al-shams wa al-qamar wa sukūn al-ard, Maktabat al-Riyād al-hadītha, 1402/19822, pp. 21-23.
[16] Una versione più ampia di questo articolo è in corso di pubblicazione sulla rivista Islamochristiana.