L’unione mondiale degli Ulema di Doha esulta, ad Abu Dhabi si invita alla tolleranza, al-Azhar non si espone. Le reazioni delle istituzioni islamiche al nuovo corso afghano
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:05:07
Da quando i talebani hanno fatto il loro ingresso a Kabul, gli osservatori occidentali si sono concentrati soprattutto sul significato del disimpegno americano in Afghanistan e sul futuro dei diritti umani, in particolare quelli delle donne, nel Paese governato dai mullah.
In questo articolo vogliamo invece considerare il punto di vista delle istituzioni islamiche sulla questione afghana a partire dalle dichiarazioni che esse hanno rilasciato sul nuovo corso talebano. Dopo tutto l’Afghanistan non è soltanto una questione geopolitica e umanitaria; se manterranno fede alla loro promessa i talebani intendono infatti dar vita a un «emirato islamico» e questo impone di considerare anche il fattore religioso.
Su questo punto l’Unione mondiale degli Ulema musulmani, istituzione di riferimento per la galassia dell’islamismo che non a caso ha sede a Doha, è stata molto chiara: uno dei suoi membri per esempio ha scritto che «in quanto movimento islamico, il movimento talebano rappresenta l’Islam e lavora per incarnarlo nella vita quotidiana».
Il presidente dell’Unione, il marocchino Ahmad Raysuni, si è inoltre esposto in modo molto chiaro e subito dopo l’annuncio talebano della riconquista del Paese si è congratulato con il popolo afghano e la sua leadership per aver «liberato il Paese dalle forze di occupazione», effettuato «il passaggio dei poteri senza far cadere il Paese nel caos e nella guerra civile» e «mostrato flessibilità e apertura nel trattare con i vicini e il mondo esterno».
L’Unione mondiale degli Ulema, insomma, ha abbracciato ufficialmente la causa talebana e sta cercando di ritagliarsi un ruolo di primo piano offrendo il proprio sostegno al nuovo governo afghano. Raysuni ha ribadito più volte di aver ripetutamente incontrato i capi del movimento talebano durante i negoziati con gli americani, intestandosi il merito di averlo spinto verso «l’opzione della riconciliazione, del perdono, della tolleranza, della pace e della cooperazione con tutte le componenti del popolo afghano» per evitare spargimenti di sangue.
Raysuni ha inoltre ringraziato pubblicamente le autorità qatarine per aver preparato il terreno ai negoziati tra i talebani e gli Stati Uniti e ha invitato tutti i Paesi musulmani a guardare in maniera costruttiva alla nuova situazione afghana e contribuire alla ricostruzione del Paese.
Proprio l’azione dell’Unione mondiale degli Ulema mostra, peraltro, che la mediazione svolta dal Qatar non si limita agli aspetti politici e militari, a conferma della centralità del piccolo emirato nella partita afghana. Con il rischio, segnalato da Cinzia Bianco in un articolo del Washington Post, che la reputazione di Doha, sia come centro politico che religioso, sarà legata anche alle scelte e alla capacità di governo dei Talebani.
Per la galassia islamista l’Afghanistan è un nuovo banco di prova e rappresenta un’opportunità per dimostrare che l’Islam politico, dopo tante battute d’arresto, può risorgere. Non a caso infatti per l’Unione la nascita di un governo afghano rappresenta «l’inizio dell’ascesa islamica nella politica internazionale».
Questa linea è condivisa anche dal gran muftì del sultanato dell’Oman, Ahmad bin Hamad al-Khalili, che sul suo profilo Twitter si è congratulato con il popolo afghano «per la conquista e la vittoria sugli invasori aggressori» e ha esortato i popoli musulmani a restare uniti per «ordinare il bene e proibire il male secondo quanto previsto dalla sharia». La sua speranza è che la vittoria talebana possa essere l’inizio della «liberazione di altre terre occupate», a cominciare dalla Palestina e dalla moschea di Gerusalemme.
Un personaggio piuttosto controverso, Khalili ultimamente è solito a dichiarazioni abbastanza forti. Se per molti anni ha incarnato la linea omanita tradizionale della neutralità – ricopre la carica di gran muftì dal 1974 –, negli ultimi tempi sembra aver definitivamente abbandonato questa tendenza. Soltanto nel 2020 si è prima congratulato con Erdoğan per la decisione di riconvertire Santa Sofia in moschea e poi si è scagliato contro l’accordo per la normalizzazione dei rapporti con Israele firmato da alcuni Paesi arabi.
Tra le istituzioni religiose che si sono espresse sulla questione afghana, alcune hanno preferito mantenere un profilo più basso limitandosi a commenti di circostanza.
Rientra tra queste il Forum per la Promozione della Pace nelle Società Musulmane, un’istituzione con sede ad Abu Dhabi, presieduta dal prestigioso shaykh mauritano ‘Abdallah bin Bayyah e fondata come risposta all’Unione Mondiale degli Ulema con lo scopo di diffondere una visione moderata dell’Islam e contrastare le interpretazioni islamiste. A fine agosto, il Forum ha pubblicato sul suo sito una dichiarazione in nove punti dai toni e dai contenuti abbastanza astratti e idealisti in cui essenzialmente si invitavano «i fratelli in Afghanistan» a lavorare per portare la pace nel loro Paese e nel mondo facendo prevalere lo spirito della tolleranza e la collaborazione, a preservare una buona immagine dell’Islam, e a ricorrere a tutti gli strumenti della giurisprudenza islamica per arrivare a soluzioni di governo conformi alla sharia ma anche adatte all’epoca contemporanea.
Se ci spostiamo in Egitto, la posizione della moschea-università di al-Azhar sulla questione afghana è ancora più sfumata. Sul suo bollettino settimanale si è infatti limitata a comunicare il rimpatrio della delegazione di predicatori e imam di al-Azhar che erano presenti ormai da diversi anni a Kabul. Dal 2009 infatti la moschea-università era impegnata in un programma di cooperazione culturale con il ministero dell’Istruzione afghano, un’iniziativa che prevedeva l’invio nella capitale afghana di alcuni predicatori e imam con l’obbiettivo di diffondere il «vero Islam». Al-Azhar aveva aperto un suo istituto a Kabul per la memorizzazione del Corano e l’apprendimento della lingua araba, e gli studenti che terminavano con successo tutti i livelli potevano proseguire gli studi universitari direttamente alla sede del Cairo.
A differenza di altre istituzioni, l’Azhar non si è espressa in modo esplicito rispetto alla riconquista talebana. In passato il suo Osservatorio per la Lotta all’Estremismo aveva preso le distanze dai talebani pakistani, accusandoli di derivare la loro ideologia da al-Qaida e commettere azioni molto gravi nel nome dell’Islam, ma questo giudizio non può essere esteso alla controparte afghana, visto che i due movimenti presentano differenze significative.
In generale infatti per le istituzioni islamiche esiste una differenza essenziale tra i gruppi jihadisti come l’Isis e al-Qaida, ritenuti un’aberrazione estranea all’Islam, e i talebani afghani, considerati invece un movimento islamico a tutti gli effetti, anche se i loro metodi sono più o meno condivisi a seconda dei punti di vista.
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