L’impegno nell’educazione è decisivo per lo sviluppo delle relazioni islamo-cristiane e per combattere le tendenze fondamentaliste che puntano alla separazione tra le comunità. Molti paesi accettano la presenza di scuole cristiane, altri no. La peculiare situazione del ­Nordafrica.

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Ultimo aggiornamento: 31/07/2024 15:58:41

Se volgiamo l’attenzione al futuro delle relazioni islamo-cristiane, è evidente che l’assunzione di un impegno nel campo dell’educazione è di primaria importanza. La corrente fondamentalista, che tende a separare le comunità le une dalle altre, è attualmente dominante in molti paesi musulmani. Essa esercita in particolare la sua influenza sui giovani, i quali vi aderiscono spesso senza spirito critico, con la radicalità propria dell’adolescenza o della giovinezza. Da ciò deriva l’importanza del compito educativo nei loro confronti per un futuro di pace tra le tradizioni religiose. Ma nel momento stesso in cui affermiamo la centralità dell’impegno educativo dobbiamo anche riconoscere che la responsabilità dell’educazione in ogni società spetta essenzialmente, se non esclusivamente, ai membri della comunità alla quale bambini e giovani appartengono, vale a dire ai loro genitori, prima di tutto, ma anche alla comunità nazionale e alle autorità religiose. Fintanto che i giovani sono minorenni, è sui loro tutori (parentali o comunitari) che ricade la responsabilità dell’educazione. E tuttavia, nella maggior parte dei paesi musulmani accade frequentemente che i genitori affidino i figli a scuole dirette da educatori cristiani. Simili iniziative possono aver luogo soltanto sulla base di un dialogo rispettoso con la società alla quale questi bambini e questi giovani appartengono naturalmente. È ciò che si verifica di fatto in molti paesi musulmani nei quali, con il consenso dei genitori e con l’autorizzazione dei Ministeri dell’Educazione Nazionale, alcune congregazioni religiose cattoliche gestiscono istituti scolastici nei quali i giovani di confessione musulmana, affidati alle scuole cristiane dai loro genitori, sono numerosi e a volte maggioritari. Ovviamente questi bambini, o questi giovani, vengono iscritti alle scuole gestite da cristiani per il livello di istruzione che esse garantiscono. Ma per lo più quei genitori musulmani scelgono per i loro figli le scuole cristiane anche perché ne apprezzano la dimensione educativa, pur sapendola animata e diretta cristianamente a favore di bambini e giovani che rimarranno comunque musulmani.  I genitori chiedono agli educatori cristiani di rispettare le convinzioni dei bambini o dei giovani e delle loro famiglie, ma al tempo stesso comprendono che gli educatori cristiani non garantiscono soltanto istruzione ma offrono anche un’educazione umana e spirituale. Ci troviamo così dunque su un terreno importante per le relazioni islamo-cristiane. La scelta di questi genitori musulmani testimonia della loro fiducia negli educatori cristiani che peraltro sono spesso religiosi o religiose, quanto meno al livello della direzione delle scuole. La situazione descritta è presente in tutti i paesi musulmani che accettano l’esistenza, accanto alle strutture formative statali, di scuole non statali e dunque delle scuole cattoliche. È questa la condizione prevalente per le istituzioni educative cattoliche nel Medio Oriente o in molti paesi dell’Asia e dell’Africa. In queste realtà, quando esiste una minoranza cristiana, i ragazzi delle due comunità si ritrovano a frequentare insieme le scuole cristiane. È un fatto rilevante per il futuro delle relazioni islamo-cristiane. Avviene infatti frequentemente che gli ex allievi cristiani e musulmani di queste scuole mantengano i rapporti tra loro dopo la fine degli studi, all’interno di associazioni di ex allievi spesso attive nella società. Ma nell’Africa del Nord a ciò si aggiunge una peculiarità. Nel Medio Oriente infatti gli istituti che accolgono ragazzi musulmani sono oggi gestiti da cristiani del Paese i quali, benché professino una religione diversa, aderiscono agli stessi valori nazionali. Nel Maghreb invece, là dove queste scuole hanno potuto sopravvivere, come in Marocco o in Tunisia, la gestione degli istituti scolastici cattolici è affidata a dirigenti cristiani stranieri che operano in strutture nelle quali la maggior parte degli allievi e degli insegnanti sono musulmani. È in tale contesto che si manifesta l’impegno educativo dei dirigenti cristiani a favore di ragazzi musulmani e nel dialogo con genitori e insegnanti musulmani. E attualmente in questi due paesi (Marocco e Tunisia) tutti i ragazzi presenti sono di confessione musulmana, perché praticamente non esistono cristiani autoctoni.  Sarebbe dunque molto interessante per la nostra riflessione disporre di una testimonianza sul dialogo educativo che si instaura tra responsabili cristiani da un lato, e insegnanti o genitori musulmani dall’altro, attorno al progetto educativo messo in campo da queste scuole cristiane che accolgono ragazzi tutti musulmani. È l’esperienza che abbiamo vissuto in Algeria prima dell’indipendenza del paese e fino alla nazionalizzazione di tutte le nostre scuole, nel 1976. Fino a quel momento ci occupavamo di oltre quarantamila tra bambini e giovani, dalla scuola materna fino alla secondaria. E il nostro problema principale consisteva nell’impossibilità di accogliere, per mancanza di spazio, tutti gli alunni che i genitori musulmani avrebbero voluto affidarci. Oggi, nel Maghreb, questi istituti non esistono più né in Algeria, né in Libia, né in Mauritania. 

 

Al di Fuori del Circuito Scolastico

La chiusura delle nostre scuole cattoliche non ha significato la fine del dialogo educativo che ci impegnava all’interno della società algerina. Innanzitutto, nei primi tempi l’istruzione pubblica algerina accettava cristiani all’interno delle sue scuole, sacerdoti o religiosi e religiose che, dotati dei necessari diplomi, desideravano offrire il loro contributo. Si realizzava così la situazione paradossale per cui c’erano sacerdoti cristiani che avevano il diritto di insegnare in scuole pubbliche musulmane in Algeria, mentre nel sistema scolastico pubblico francese ciò era proibito in nome della laicità dello Stato. Tuttavia questa situazione doveva durare solo il tempo necessario alla formazione di un corpo insegnante algerino. Quando questo obbiettivo è stato raggiunto, nelle scuole pubbliche sono stati autorizzati a restare soltanto gli insegnanti cristiani che avevano la nazionalità algerina.  Ma nonostante la nazionalizzazione delle loro scuole, in Algeria l’azione educativa dei cristiani restava praticabile in altri tipi di strutture, spesso gestite da suore, in particolare nei quartieri poveri delle città o nelle zone rurali, dove sussistono tuttora: sono centri di formazione femminile, riviste anch’esse dedicate alla formazione delle donne, prodotte in redazioni nelle quali lavorano fianco a fianco cristiani e musulmani; istituti per bambini disabili in cui i cristiani si impegnano insieme ai musulmani; gruppi di animazione educativa nel tempo libero, come le colonie o le attività estive; biblioteche per giovani o studenti o specializzate per educatori; luoghi di riflessione sull’educazione e in particolare sull’educazione dei bambini e delle donne. Queste strutture trasmettono in primo luogo conoscenze di tipo tecnico, ma diffondono anche una determinata concezione della persona umana e della donna e del suo ruolo nella famiglia e nella società. Per offrire un esempio concreto di questo tipo di azione educativa può essere utile un riferimento alla rivista Hayat, pubblicata sia in arabo che in francese e diffusa in Algeria da poco meno di un quarto di secolo tra le donne e le ragazze musulmane, grazie allo sforzo congiunto della Croce Rossa e della Caritas algerine. Il comitato di redazione è composto alla pari da donne cristiane e musulmane che insieme ne determinano l’orientamento. In occasione dell’anno nuovo (2010) l’editoriale della rivista così recita: «L’anno 2010 è appena iniziato [...]. Prepariamoci ad accogliere il nuovo [...]. Il nostro atteggiamento positivo ci aiuterà ad apprezzare gli sforzi e i buoni propositi di chi ci circonda, a metterci nei loro panni e a cercare di capire le loro azioni. Bastano piccoli gesti per dimostrare agli altri che li capiamo, che loro contano per noi» (185, febbraio 2010). O ancora, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, troviamo nell’editoriale le riflessioni che seguono: «Con quali attese affronteremo questo nuovo anno scolastico? Avrò il coraggio di avvicinare quella mamma che vedo ogni mattina quando accompagno i miei bambini a scuola? [...] Quella studentessa del primo anno che prende ogni giorno il mio stesso autobus sembra così smarrita. Forse potrei rassicurarla dandole qualche informazione di base sulla vita universitaria [...]. A tutte queste persone e a tante altre possiamo rivolgerci e fare nuove conoscenze. Prendiamoci il tempo di avvicinarle con delicatezza» (183, ottobre 2009). Annotiamo per finire qualche frase tratta da un editoriale relativo alla giornata mondiale della donna: «Che cosa rappresenta questa giornata mondiale della donna per noi algerine? Assumiamoci la sfida e la lotta volta a garantire che su tutto il territorio nazionale ogni ragazza abbia diritto di andare a scuola, ogni donna sia felice di essere donna e prenda coscienza dell’importanza del suo ruolo nella società» (174, aprile 2008). Un altro ambito di intervento educativo dei cristiani e delle cristiane nella società algerina musulmana è quello delle iniziative al servizio dei bambini con disabilità mentali. Sono note le difficoltà che affrontano le famiglie nelle quali c’è un bambino disabile. Molto spesso, negli ambienti più legati alla tradizione, queste famiglie non osano far uscire di casa il loro figlio perché si vergognano del suo handicap. Ci sono cristiani che, lavorando con famiglie algerine musulmane interessate da questo problema, si sono attivati per ottenere dalle autorità le sovvenzioni necessarie all’apertura di centri di formazione. In questi centri lo sviluppo delle capacità dei bambini è contemporaneamente occasione per far crescere il rispetto da parte delle famiglie e dell’ambiente circostante per tutti i bambini, indipendentemente dall’handicap, e dunque per qualsiasi persona handicappata, in nome del pieno riconoscimento della dignità di ogni persona umana. Un giornalista musulmano ha scritto a proposito di una donna cristiana impegnata su questo fronte in una periferia povera: «Questa educatrice è sempre in movimento per ottenere qualche locale dove occuparsi dei più svantaggiati tra gli svantaggiati, gli handicappati mentali. È donna così autentica, così incredibilmente giusta che [...] tutti le sono grati per averla incontrata sulla propria strada. [...] Quella donna è oro puro [...] [...]. Tutti sanno che non cesserà mai di essere la nostra maestra».  

 

Altre Strutture Cristiane 

Impossibile descrivere tutte le strutture educative gestite in Algeria da cristiani a beneficio dei ragazzi musulmani: associazioni giovanili, corsi di sostegno scolastico, biblioteche specializzate per educatori e psicologi, incontri di madri di famiglia, colonie estive e campi per giovani. In ciascuna delle strutture che danno vita a questi interventi, gli animatori sono cristiani e musulmani insieme, così che tra loro il dialogo educativo si instaura nel concreto della loro azione comune. Ci sembra particolarmente esemplare la scuola per educatrici dell’infanzia, che ad Algeri garantisce corsi di formazione biennali per oltre 120 educatrici che già lavorano. È chiaro che in una struttura del genere, al di là della trasmissione di saperi tecnici, si sviluppa una riflessione comune islamo-cristiana attorno al rispetto del bambino e allo sviluppo delle sue facoltà, inclusa l’apertura al senso di Dio. In generale le differenze dogmatiche impediscono che questo dialogo si svolga in base a riferimenti dichiaratamente confessionali. I valori educativi passano piuttosto al livello dei valori umani comuni: onestà, verità, giustizia, sincerità, rispetto dell’altro, in particolare dei genitori ma anche dell’altro in generale, morale sessuale, senso civico, altruismo, attenzione al bene comune, pace, perdono e riconciliazione, sacralità della vita umana e, più recentemente, dell’integrità del creato. Il comune riferirsi a Dio permette anche di riportare questi valori alla loro fonte, che è un progetto di Dio sull’uomo, ma senza connotazioni confessionali precise. È infatti difficile, in un contesto islamo-cristiano, procedere oltre nei riferimenti religiosi, dato che le fonti della morale sono iscritte nei testi considerati come rivelati da ciascuna delle due comunità e non è possibile, per un cristiano, citare esplicitamente fonti bibliche davanti a musulmani e tanto meno lo è fare riferimento alle fonti coraniche dell’etica musulmana. Questa difficoltà aumenta laddove la mentalità musulmana si è orientata in direzione di un’analisi dei comportamenti unicamente in base alle categorie del ‘lecito’ e del ‘proibito’, anziché in base a una riflessione che parta dalla dignità della persona umana e delle comunità umane. Ma, fatte queste riserve, va preso atto dell’importanza che una condivisione concreta tra educatori cristiani e musulmani assume ai vari livelli dell’istruzione. Una biologa algerina musulmana specializzata in citologia, per esempio, ha di recente pubblicato un libro, con la prefazione di una storica algerina musulmana, nel quale illustra ciò che lei e le sue compagne hanno ricevuto da un’associazione educativa cristiana frequentata in gioventù, “La Ruche”, ideata dalle Suore Bianche. Di recente anche un gruppo di adulti algerini ha raccontato un’analoga esperienza vissuta in un’altra situazione educativa ideata per i giovani da un responsabile del movimento dei Focolari, ora deceduto. Testimonianze di questo tipo potranno offrire una visione più concreta e spesso più positiva attorno alle relazioni islamo-cristiane di quella che si evince da astratti dibattiti.  

 

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