Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:22
Nel 1183, Ibn Jubayr intraprese un lungo viaggio che da Ceuta, dove s’imbarcò su una nave genovese, lo condusse dopo varie peripezie alla Mecca e, sulla via del ritorno, a Damasco, Baghdad, Mosul… Incantato dalla bellezza architettonica della città di Mosul – oggi epicentro di una cruenta battaglia – il viaggiatore descrive finemente le moschee, il mercato coperto, il mausoleo di san Giorgio, santo cristiano più popolare in Oriente, e quello di Giona, figura dell’Antico Testamento, sul quale Ibn Jubayr si ferma a pregare. Luoghi di pellegrinaggio tanto per i cristiani quanto per i musulmani da centinaia di anni, i mausolei sono stati entrambi distrutti nel 2014 da Isis.
Ibn Jubayr (1145-1217) fu un viaggiatore arabo di origini andaluse, pioniere della letteratura di viaggio, genere letterario che sarebbe andato diffondendosi particolarmente nel Trecento con gli scritti dell’esploratore marocchino Ibn Battuta. Un anno dopo la sua visita a Mosul, Ibn Jubayr si imbarcava ad Acri per tornare in patria, ancora una volta su una nave genovese. Durante una tempesta la nave fece naufragio nello stretto di Messina. Tratto in salvo, attraversò tutta la costa settentrionale della Sicilia e a Trapani riprese il mare verso Granada dove fece ritorno nel 1185. Di questo lungo viaggio durato due anni Ibn Jubayr stese un resoconto, la Rihlat Ibn Jubayr
(“Il viaggio di Ibn Jubayr”), diventato un classico della letteratura araba medievale. L’estratto che abbiamo tradotto dall’originale offre uno spaccato della città di Mosul.
Mosul è una città molto antica, grande, fortificata e imponente, esiste da lungo tempo e ha iniziato a prepararsi [per affrontare] la sedizione: le torri disposte ordinatamente sono così vicine che quasi si toccano. Al loro interno ci sono alloggiamenti circolari disposti uno sull’altro, ricovero sicuro e rifugio per i combattenti, e parte delle installazioni belliche. Nel punto più alto della città sorge un’imponente cittadella dalla struttura salda, cinta da mura di antica costruzione e torri fortificate, vicino alla quale si trova la residenza del sultano. Un’ampia strada che si estende dalla città alta alla città bassa separa la residenza del sultano e la cittadella dal resto della città. Il Tigri scorre a est della città e ne lambisce le mura, tanto che le torri sorgono dalle sue acque. La città ha un grande sobborgo in cui si ergono moschee, hammam, caravanserragli e mercati. Uno dei principi della città, noto come Mujāhid al-Dīn, fece costruire una moschea sulla riva del Tigri.
Mai vidi una moschea tanto adornata e le parole non bastano a descriverne l’architettura, le decorazioni e le proporzioni. Tutto questo è realizzato in mattoni scolpiti. La sua
maqsūra [spazio nella moschea riservato al sultano, NdT] ricorda quelle del Paradiso, la circondano grate in ferro alle quali sono collegati seggi in pietra che si affacciano sul Tigri. Non vidi mai seggi più nobili e più belli di questi. […] Di fronte alla moschea sorge un ospedale affollato costruito dal già citato Mujāhid al-Dīn. Quest’ultimo costruì anche, dentro la città, un mercato coperto (
qaysāriyya) nel suq. Simile a un grande caravanserraglio, chiuso da porte in ferro, e circondato da botteghe disposte una sull’altra, per le sue decorazioni non ha pari.
Mai vidi negli altri Paesi un mercato coperto che potesse reggere il paragone.
La città possiede due moschee per la preghiera del venerdì: una è nuova, l’altra è di epoca omayyade. Il cortile di quest’ultima è sovrastato da una cupola al cui interno si erge una colonna di marmo cinta da cinque anelli incisi nel marmo, alla cui estremità si trova una vasca in marmo ottagonale sulla quale spunta un condotto. Da qui, l’acqua esce rumorosa e potente, schizza nell’aria abbondante come se fosse una colonna di cristallo temperato, per riversarsi nella parte inferiore della cupola. La preghiera del venerdì ha luogo in entrambe le moschee, quella antica e quella nuova, e anche nella moschea del sobborgo. In città vi sono sei o più madrase per acquisire il sapere. Sono sul Tigri e spiccano come palazzi splendenti. La citta possiede un altro ospedale oltre a quello nel sobborgo menzionato poc’anzi.
Dio ha concesso a questa città una terra santa, che accoglie il mausoleo di San Giorgio, la pace e la preghiera siano su di lui. Sopra di esso è stata costruita una moschea; la tomba si trova in un angolo di una delle celle, a destra dell’entrata. Questa moschea si erge tra la moschea nuova e la Porta del Ponte, sulla sinistra di chi proviene dal ponte. Dio ci ha concesso di fare visita a questa santa tomba e sostare su di essa. Che Dio ce ne renda merito. A questa città Dio ha concesso anche Tel Tawba [la collina della penitenza, NdT] – la collina sulla quale Giona
1 e il suo popolo pregarono finché Dio li liberò dal castigo – che si erge a oriente della città, a un miglio circa al di là del Tigri. Nelle vicinanze, a un miglio di distanza, vi è l’omonima sorgente sacra. Si narra che Giona avesse ordinato al suo popolo di purificarsi nella sorgente e fare penitenza, e che poi salirono sulla collina invocando Dio. Su questa collina si erge un grande edificio, un monastero sufi (
ribāt), che ingloba molte case, luoghi per le abluzioni e abbeveratoi, il tutto chiuso da una porta sola. Al centro di questa costruzione si trova una cella avvolta da un drappeggio, chiusa da una porta santa tutta intarsiata. Si narra che questo fosse il luogo in cui si fermò Giona, la preghiera e la pace siano su di lui, e si dice che il
mihrāb di questa cella fosse il luogo in cui pregava. La cella è circondata da ceri simili a tanti tronchi di palma per la loro grandezza. Ogni venerdì notte le persone escono dal
ribāt e si recano in questa cella a pregare. Attorno, sorgono molti villaggi, vicini ai quali vi sono grandi rovine, che si dice siano Ninive, la città di Giona, la pace sia su di lui. Le rovine delle mura che cingevano la città sono ancora visibili, così come sono ancora evidenti i varchi delle porte. Le rovine delle sue torri splendono ancora.
Trascorremmo la notte di venerdì 26 Safar [8 giugno 1184] nel
ribāt, al mattino andammo alla sorgente benedetta, bevemmo della sua acqua, facemmo le abluzioni e pregammo nella moschea adiacente, che Dio ci ascriva questo a nostro merito.
Gli abitanti di questa città sono retti e compiono azioni pie. Non incontrerete nessuno che non abbia un volto cordiale e una parola gentile. Generosi e accoglienti verso gli stranieri, si comportano con loro in maniera giusta. Restammo in questa città quattro giorni [22-6 Safar 580/4-8 giugno 1184 NdT].
[Traduzione dall'arabo a cura di Chiara Pellegrino]
Note
1 Nel Corano il profeta Giona è menzionato più volte. La decima sura, che porta il suo nome, cita esplicitamente il profeta e la città di Ninive in cui Giona esercitò il suo ministero profetico. Nella sura dei Ranghi (n.37) si narra delle prove imposte da Dio ai suoi inviati e della balena che inghiottì Giona (vv. 139-148). Secondo la tradizione, Giona fuggì su una nave e tirando a sorte per decidere chi sacrificare estrasse proprio il suo nome. Gettato in mare, fu inghiottito da una balena e risputato per ordine di Dio. La stessa sura narra inoltre come Giona riuscì a convertire gli abitanti di Ninive. (NdT)