La riflessione di Jacques Maritain su pluralismo e sulla democrazia

Questo articolo è pubblicato in Oasis 16. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 23/07/2024 15:58:16

Nel 1945 il filosofo Jacques Maritain, interrogandosi su pluralismo e democrazia, riconosceva che uomini in possesso di convinzioni metafisiche o religiose diverse, e perfino opposte, possono trovare una convergenza nel riconoscimento pratico di alcuni principi comuni. Ma che nessuna società può vivere senza un’ispirazione fondamentale condivisa.

 

[…] 1. Nell’era “sacrale” del medioevo fu fatto un grande tentativo per edificare la vita della comunità terrena e della civiltà sul fondamento dell’unità della fede teologale e del credo religioso. Questo tentativo riuscì per un certo numero di secoli, ma fallì col passare del tempo, dopo la Riforma e il Rinascimento; e un ritorno al regime sacrale medievale non è più in alcun modo concepibile. Via via che la comunità civile andò distinguendosi più definitamente dall’ambito spirituale della Chiesa – con un processo che di per sé non era che uno sviluppo della distinzione evangelica tra le cose che appartengono a Cesare e quelle che appartengono a Dio –, la comunità civile si trovò fondata sulla base di un bene comune e di un’opera comune che rientrano nell’ordine terreno, “temporale”, o “secolare”, e ai quali partecipano in ugual modo cittadini appartenenti a “famiglie” o gruppi spirituali diversi. La divisione religiosa è in se stessa un male. Ma è anche un fatto di cui, piaccia o non piaccia, dobbiamo prendere atto.

2. Nei tempi moderni è stato fatto un tentativo per fondare la vita della civiltà e della comunità terrena sulla base della sola Ragione, di una ragione separata dalla religione e dal Vangelo. Questo tentativo suscitò immense speranze nel corso degli ultimi due secoli, poi è rapidamente fallito. La ragione si è dimostrata più incapace della fede di assicurare l’unità spirituale dell’umanità, e il sogno di un credo “scientifico” in grado di unire gli uomini nella pace e per mezzo di convinzioni comuni per quanto riguarda i fini e i principi fondamentali della vita umana e della società si è dissolto nelle catastrofi contemporanee. Via via che i tragici avvenimenti degli ultimi decenni hanno dato una smentita al razionalismo borghese del XVIII e del XIX secolo, ci siamo trovati di fronte al fatto che la religione e la metafisica sono una parte essenziale ella cultura umana e occupano un ruolo animatore primario e indispensabile nella vita stessa della società.

3. Conseguentemente, per quanto riguarda la società di domani e la democrazie rinnovata nella quale speriamo, la sola soluzione possibile è quella di tipo pluralistico. Uomini appartenenti alle fedi e alle famiglie filosofiche o religiose più diverse possono e devono collaborare al compito comune e per il bene comune della comunità terrena, a condizione che accettino in ugual modo la carta o i dati fondamentali di una società di uomini liberi. Perché una società di uomini liberi implica una carta essenziale o dei dati fondamentali che stanno al centro della sua stessa esistenza, ed essa ha il dovere di difenderli e di promuoverli. Uno degli errori dell’ottimismo borghese è stato quello di credere che, in una società libera, la “verità” quanto alle determinazioni della vita civile, e le decisioni e i comportamenti conformi alla dignità umana e alla libertà dovevano emergere automaticamente dai conflitti di forze e di opinioni. Questo errore consisteva nel figurarsi una società libera quasi fosse un recinto di pugilato, di irreprensibile neutralità, dove si affrontano in reciproca concorrenza tutte le possibili idee che ciascuno può avere sulla società in sé e sulle basi della vita sociale. Cosicché la società democratica, nel suo comportamento concreto, non aveva alcuna idea di se stessa, e la libertà, disarmata e paralizzata, restava esposta alle imprese di coloro che la odiavano e che si adoperavano con ogni mezzo per far nascere negli uomini un desiderio viziato di liberarsi della libertà[1].

Se vuol trionfare delle tendenze totalitarie e realizzare la speranza dei popoli, la democrazia di domani dovrà avere una sua propria concezione dell’uomo e della società, e una propria filosofia e una propria fede, che la metteranno in grado di educare il popolo alla libertà e di difendere se stessa contro quelli che vorrebbero servirsi delle libertà democratiche per distruggere la libertà e i diritti umani. Nessuna società può vivere senza una comune ispirazione fondamentale e senza una comune fede fondamentale. Ma il punto d’importanza centrale, che qui va sottolineato, è che questa fede e questa ispirazione, questa filosofia e questa concezione di se stessa di cui la democrazia ha bisogno, tutto ciò non appartiene all’ordine del credo religioso e della vita eterna, ma all’ordine temporale e secolare della vita terrena, della cultura e della civilizzazione. Dobbiamo anzi aggiungere che esse costituiscono l’oggetto di un accordo pratico più che teorico o dogmatico: voglio dire che si ricollegano a delle conclusioni pratiche che lo spirito umano può cercare di giustificare – bene o male – a partire da punti di vista filosofici affatto diversi, senza dubbio perché esse dipendono fondamentalmente da intuizioni semplici e “naturali”, di cui il cuore umano diventa capace con il progredire della coscienza morale. Avviene così che uomini in possesso di convinzioni metafisiche o religiose del tutto diverse e perfino opposte – materialisti, idealisti, agnostici, cristiani ed ebrei, musulmani e buddisti – possono trovare una convergenza, non in virtù di una qualche identità dottrinale, ma in virtù di una somiglianza analogica nei loro principi pratici, verso le stesse conclusioni pratiche, e possono avere in comune la stessa “filosofia” democratica pratica, purché venerino allo stesso modo, magari per ragioni completamente diverse, la verità e l’intelligenza, la dignità umana, la libertà, l’amore fraterno e il valore assoluto del bene morale. […].

A questo punto, se vogliamo andare al fondo delle cose e non aver paura delle parole, dobbiamo far osservare che là dove c’è una fede, divina o umana, vi sono altresì eretici che minacciano l’unità della comunità, sia religiosa che civile. Nella società sacrale l’eretico era colui che spezzava l’unità religiosa. In una società laica di uomini liberi, l’eretico è colui che spezza “le comuni credenze e pratiche democratiche”, il totalitario, colui che nega la libertà (la libertà del prossimo) e la dignità della persona umana, e il potere morale della legge. Noi non vogliamo che sia bruciato, o espulso dalla comunità civile, o messo fuori legge, o rinchiuso in un campo di concentramento. Ma la comunità democratica deve difendersi contro di lui – sia egli materialista, idealista, agnostico, cristiano o ebreo, musulmano o buddista – allontanandolo dal timone, grazie al potere di un’opinione pubblica vigorosa e informata, e anche consegnandolo alle mani della giustizia qualora la sua attività divenisse un pericolo per la sicurezza dello Stato; ma soprattutto corroborando ovunque una filosofia della vita, convinzioni intellettuali e un’opera costruttiva capaci di rendere inoperante la sua influenza. […]

4. Le considerazioni fin qui esposte spiegano perché, scrivendo su problemi francesi, ho più volte espresso la speranza che la nuova democrazia francese possa risultare dalla cooperazione tra socialisti e cristiani. Orbene, supposta una cosiffatta democrazia, è nel metodo scientifico che «la comune fede di portata mondiale» da essa implicata troverebbe la sua più alta fonte di autorità? Sarebbe forse sufficiente una «intelligente pianificazione sociale» per assicurare l’«integrazione» della cultura? Nella cultura democratica del futuro – se essa avrà un futuro – è «il professore votato allo spirito scientifico», «e non il prete», «colui che avrebbe la responsabilità prima di alimentare, rafforzare e arricchire una fede comune»? […]

L’espressione stessa di «fede comune» usata da Hook[2] dovrebbe farci comprendere che l’ispirazione democratica non può trovare nel metodo scientifico la sua più alta fonte di autorità. Questa «fede» ha «un carattere secolare, non soprannaturale»; ciò nonostante, anche una fede secolare implica l’impegno di tutto l’uomo e delle sue più intime energie spirituali, e trae quindi la propria forza da credenze che vanno ben al di là del metodo scientifico. In altri termini, la giustificazione delle conclusioni pratiche che rendono comune a tutti una simile «fede comune», è in ciascuno, e nella prospettiva propria di ciascuno, una parte integrante di questa stessa fede. Per quanto riguarda la pianificazione sociale, sia pure intelligente, temo che una cultura organizzata e unificata appunto dalla sola pianificazione sociale non offra che scarse possibilità alle potenze creative della persona umana, nonché all’entusiasmo e alla felicità del popolo.

Lo spirito scientifico rappresenta un aiuto inestimabile per la cultura in quanto sviluppa nell’essere umano, da un punto di vista generale, il rispetto e l’amore della verità e l’abitudine all’esattezza intellettuale. (È per questo, sia detto fra parentesi, che lo spirito scientifico degli Scolastici del XIII secolo ha avuto una parte così fondamentale nel progresso della cultura occidentale). Tuttavia né la cultura né la democrazia possono vivere di sola scienza. La scienza, in special modo la scienza moderna, si occupa dei mezzi, soprattutto dei mezzi materiali della vita umana. È necessaria anche – e in primo luogo – la sapienza, la quale si occupa dei fini. Ed è un fatto che la fede democratica – la quale implica in pratica la fede nella giustizia, nella libertà, nell’amore fraterno e nelle sue responsabilità, in quella qualità delle giuste leggi che le rende obbligatorie in coscienza, nelle profonde aspirazioni che esigono l’emancipazione politica e sociale del popolo – non può essere giustificata, alimentata, rafforzata e arricchita senza convinzioni filosofiche o religiose, «siano esse teologiche, metafisiche o naturalistiche», che attengano alla sostanza stessa e al significato della vita. […]

Di conseguenza, è del tutto normale che in una cultura e in una società democratiche le diverse scuole di pensiero filosofiche o religiose che, nelle loro conclusioni pratiche, si incontrano sul piano delle comuni convinzioni democratiche di base e che pretendono di giustificarle, entrino in libera concorrenza. Affermi pure ogni scuola la propria fede nella sua pienezza e integrità! Nessuna però cerchi di imporla agli altri con la forza! La tensione reciproca che ne risulterà, lungi dal nuocere, non potrà che arricchire l’impegno comune. […]

 

[Testo tratto da Jacques Maritain, Il ruolo del principio pluralistico in democrazia, in Id. Ragione e ragioni, Vita e Pensiero, Milano 1982, pp. 258-267]
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 


[1] Cfr. A.J. Durelli, Libération de la liberté, L'Arbre, Montréal 1944
[2] Maritain fa qui riferimento allo studio di Sidney Hook The Dilemma of T.S. Eliot, pubblicato in «The Nation» del 20 gennaio 1945, in risposta al quale compose questo scritto [N.d.R].

 

Tags