Il vescovo di Harran, l’antica Carre, oggi sul confine turco-siriano, nel IX secolo adotta il metodo dei pensatori islamici suoi contemporanei per convincere un immaginario partigiano della predestinazione che è l’uomo a dirigere le proprie azioni

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Ultimo aggiornamento: 18/06/2024 17:32:51

Leggi l’introduzione a questo classico: Quando l’Islam discute sulla libertà

 

[Capitolo Primo. Non vi è predeterminazione né costrizione presso Dio, §§ 28-82]

 

Spiegami, tu che sostieni che l’uomo è predeterminato a fare ciò che fa in bene e in male: sostieni forse che Dio è giustizia? Non abbiamo dubbi che tu risponderai: «Sì». Allora ti diciamo:

 

[a] Certo la giustizia richiede che il giusto disponga – secondo la sua natura – le cose uguali alla pari, nel caso siano uguali. Spiegami, dunque: se l’uomo è, come sostieni, predeterminato a fare ciò che fa, così come, oltre a lui, lo sono gli animali, come può Dio nella Sua giustizia dare all’uomo ordini e divieti, promettendogli una ricompensa per la sua obbedienza e una punizione per la sua disobbedienza, e non fare altrettanto con gli altri animali? Se anche vedessimo Dio, secondo quanto tu dici, disporre – secondo la sua natura – tutte le altre cose uguali alla pari nel caso in cui siano uguali, ebbene, con questo modo di fare si allontanerebbe dalla giustizia; sia dunque lungi da Lui!

 

[b] Come può essere giusto che Dio imponga all’uomo ciò che supera le sue forze e che non ha modo di compiere, per poi castigarlo se non lo fa? Sarebbe come colui che dice al somaro: «O somaro, vola, librati nell’aria come l’aquila». E se non lo fa, lo picchia. Sia lungi da Dio imporre ad alcun’anima più di quanto possa portare[1]! Se poi tu dici: «Dio è giusto, anche se fa questo», noi ti replichiamo: «Dio è giusto, proprio perché non fa questo, in virtù della Sua giustizia».

 

[c] Se poi tu dici: «Dio ha il potere di fare della Sua creazione ciò che vuole.  A quanto ne so, infatti, Dio ha creato la talpa cieca e ha posto la sua dimora nella terra e ha creato l’aquila con una vista acuta e le ha dato di godere della purezza dell’aria», noi ti replichiamo: «Dio ha potere sulla Sua creazione e ha fatto della talpa e dell’aquila ciò che tu hai ricordato. Eppure, non ha fatto della talpa ciò che ha fatto perché essa abbia disubbidito a qualche Suo comando; né ha fatto dell’aquila ciò che ha fatto perché essa abbia ubbidito a qualche Suo comando. Piuttosto, ha fatto della Sua creazione ciò che ha previsto nella Sua saggezza. Come disse San Paolo: «Il vasaio ha il potere di fare dell’argilla un vaso per uso nobile e un vaso per uso volgare» (Rm 9,21).

 

[d] Se tu dici: «Dio dà ordini e divieti agli uomini soltanto per avere un argomento contro di essi, quando poi li punisce», noi ti diciamo: «Questo non è un argomento. Un argomento consiste nel rimproverare giustamente chi lo merita per un’azione malvagia che ha compiuto pur essendo in grado di non compierla o per un’azione buona che ha tralasciato di fare pur essendo in grado di compierla[2]. In questa ipotesi, non è quindi che alla talpa s’imponga un argomento da parte del giusto, per il quale meriti di essere creata così come è stata creata.  Piuttosto, se essa potesse parlare, direbbe a Dio: «È in Tuo potere crearmi come vuoi». Lo stesso dovrebbe valere per l’uomo punito: se, come dici tu, fosse predeterminato, non avrebbe bisogno di un argomento da parte del Giusto per il quale meriti di essere punito, ma, privo della capacità di angustiarsi o rallegrarsi, dovrebbe dire a Dio, se agisse così con lui: «È in Tuo potere punirmi». Insomma, Dio non dà ordini e divieti agli uomini per avere un argomento contro di loro, dopo averli plasmati in modo che facciano quello che fanno. Gli uomini non hanno diritto di pensare questo di Dio. Dio non va in cerca di moventi inutili, a proposito di qualcosa che voglia fare agli uomini; piuttosto li avrebbe trattati come voleva [fin dall'inizio]. E nessuno di loro avrebbe avuto il diritto di chiederGli che cosa stava facendo, poiché li avrebbe preordinati nella Sua potenza, secondo quello che affermi anche tu.

 

A ogni modo, la predestinazione[3] [da una parte] e il comando e la proibizione [dall’altra] non si associano mai, per cui o sostieni la predestinazione rinnegando tutti i comandi e i divieti che provengono da Dio o sostieni che Dio dia ordini e divieti agli uomini, negando la predestinazione e affermando la libertà, necessariamente.

 

Ma tu, o rinnegatore, anche se fingi di chiudere gli occhi alla conoscenza di Dio, devi necessariamente affermare che la libertà è [insita] nella natura dell’uomo, giacché vediamo tutti gli uomini, religiosi e non religiosi, comandare e proibire, essere ricompensati e castigati. A quanto ne so, infatti, non vi è un solo re che, in mezzo ai suoi soldati durante la battaglia contro i suoi nemici, non sopporti delle sventure che l’anima non cercherebbe volontariamente. Ugualmente, chi tra i soldati sopporta quelle sventure è onorato presso il re; e chi non resiste a quelle sventure, il re lo castiga, lo allontana dal suo esercito e lo riunisce al volgo. Tutta la gente non sarebbe d’accordo su questo, a meno che la natura umana non li richiami silenziosamente e li informi che vi è in essa una capacità di libertà che spinge l’anima, malgrado la costrizione del corpo, a fare quello che ha deciso, le sia o meno gradito […]

 

[Capitolo terzo. La prescienza di Dio non abolisce la libertà umana, §§ 228-256]

 

È opportuno che tu sappia che chi introduce la costrizione nella libertà, se non ha altra via di scampo e se la turpitudine ha circondato le sue parole da ogni parte, cerca rifugio giustificandosi con la prescienza di Dio, e dice: «Di certo Dio ha prescienza delle cose; e ciò che è preconosciuto da Dio è inevitabile che sia. E quanto a ciò che è inevitabile che sia, il suo agente è costretto a compierlo. Quindi, la libertà umana è costretta a compiere ciò che fa di buono o di cattivo».

Diciamo quindi a chi pronuncia questo discorso:

 

[a] Se fosse come tu hai ricordato, il primo a subire la costrizione della prescienza di Dio non sarebbe altri che Dio stesso. Poiché nella prescienza di Dio si trova [anche] ciò che Dio stesso farà, prima che lo compia. E se ciò che è nella prescienza di Dio è inevitabile che sia; e se, quanto a ciò che è inevitabile che sia, l’agente è costretto a compiere ciò che fa, come hai sostenuto; allora Dio è costretto a fare ciò di cui è presciente, se ne è l’autore. E questo è quanto di più turpe possa balenare nella mente di qualcuno, che Dio sia costretto a qualcosa che ha fatto o che farà. Iddio – sia benedetto – è troppo eccelso per questo! Se invece la prescienza di Dio riguardo Se stesso non Lo costringe a fare ciò di cui è presciente, allora la prescienza di Dio non costringe neppure la libertà umana a fare ciò di cui Egli ha prescienza, affinché la Sua prescienza non contraddica la Sua volontà.

 

[b] Se la costrizione s’insinua in Dio in questa maniera, non potrai che sostenere una di queste tre cose:

[1] O dici: «Dio non aveva prescienza di alcuna delle sue opere, prima che le facesse», e sia lungi da Dio una tale ipotesi.

[2] O dici: «Dio è costretto a fare ciò che nella Sua prescienza sapeva che avrebbe fatto», e questa è la più grande calunnia[4] su Dio.

[3] O dici: «La costrizione non s’insinua nella scienza di Dio perché Egli compia ciò che aveva prescienza di fare». E questo è vero.

 

Se è così, ne consegue che la prescienza di Dio non costringe la libertà umana, che Dio ha elargito all’uomo e ha disposto nel suo essere, affinché la prescienza di Dio non contraddicesse la Sua volontà, come abbiamo detto, e la Sua scienza gli fosse così contraria. Iddio è ben al di sopra di ciò!

 

[Conclusione e invocazione finale, §§ 343-348]

 

Non conviene quindi a chi possiede l’intelletto rifuggire dal dire: «Iddio è presciente circa le cose», per paura che la costrizione s’insinui così nella libertà umana.

 

Chiediamo dunque a Cristo che effonda su di noi il Suo Santo Spirito senza misura; e che ci faccia godere dei migliori frutti della libertà che ci ha conferito, conducendoci alla felicità del Suo Regno, alla quale aspira il desiderio degli intelletti, quando non errano dal loro sentiero.

 

A Lui la lode con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen

 

[Teodoro Abū Qurra, La libertà, testo arabo a cura di Samir Khalil Samir, traduzione italiana a cura di Paola Pizzi (con numerosi adattamenti), Zamorani, Torino 2002, pp. 141-153]

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

Note

[1] Questa espressione presenta una chiara eco coranica: cfr. 2,286 «Iddio non imporrà a nessun’anima pesi più gravi di quel che possa portare». Cfr. anche 6,152, 7,42 e 23,62 [P. P.].
[2] La punizione e la ricompensa, secondo Abū Qurra, sono la conseguenza di un atteggiamento libero da parte di colui al quale la punizione o la ricompensa sono rivolte, e non dipendono dal “capriccio” di Dio [P. P.].
[3] Correggo jabl (“istinto”, come sinonimo di jibilla?)  in jabr (“predestinazione”) per congettura. Samir nella sua edizione fa in effetti seguire il termine jabl da un sic a indicare la difficoltà del passo. È utile ricordare che il testo arabo si fonda sulla sola edizione a stampa di Qustantīn Bāshā (1904), la quale a sua volta dipende da un unico manoscritto un tempo conservato al Convento del Salvatore (Dayr al-Mukhallis) presso Sidone e andato perduto durante la guerra civile libanese, al pari di un altro testimone originariamente conservato presso il vescovado melkita di Tiro. Cfr. Samir Khalil Samir, Introduzione dell’editore, in Teodoro Abū Qurra, La libertà, pp. 125-129 [M.D.].
[4] Il termine arabo (iftirā’) è dagli immediati echi coranici [M.D.].