Il dubbio è uno strumento necessario ma non sufficiente per arrivare alla certezza della fede, come invece è la luce che solo Dio può accendere nel cuore dell’uomo
Ultimo aggiornamento: 27/06/2024 11:51:43
Questo articolo è l'introduzione a Elogio del dubbio, quando necessario.
Non si può dire che negli ultimi due secoli siano mancate nel mondo islamico le riflessioni intorno ad alcune questioni cruciali come il ruolo della religione in uno Stato moderno, la posizione del non-musulmano o della donna in una società islamica o i limiti all’uso legittimo della violenza. Le risposte sono state e restano estremamente varie, dalle più conformiste alle meno scontate.
Ma c’è una posizione mentale, senza la quale la discussione dei singoli punti di dottrina rischia di arenarsi sul nascere: è la convinzione che il compito per i musulmani di oggi non sia soltanto applicare le risposte giuste, ma anzitutto trovare quelle risposte, attraverso un paziente lavoro di indagine. Così è avvenuto anche in passato, nella prima epoca abbaside, quando i musulmani si misurarono con le altre religioni e culture del Vicino Oriente.
E di questo atteggiamento indagatore dello spirito dà viva testimonianza la pagina di al-Jâhiz (776-868), uno dei maestri della prosa araba. Originario del porto cosmopolita di Basra, passato alla storia come scrittore poliedrico e mordace, al-Jâhiz si considerava prima di tutto un esperto di kalâm (la teologia apologetica), esponente di quella scuola mu‘tazilita che si proponeva di difendere razionalmente le dottrine islamiche dagli attacchi dei seguaci delle altre religioni, come pure da “eretici, materialisti e negatori”.
Tuttavia il Libro degli animali, da cui è tratto il brano che presentiamo, non è affatto un trattato teologico. Al-Jâhiz accumula infatti, senza alcun piano apparente, numerosi aneddoti relativi agli animali, intervallati da riflessioni sull’uomo e da considerazioni generali. Tra di esse figurano anche alcuni detti intorno al valore del dubbio, non come fine in sé, ma come strumento per raggiungere la verità, anche attraverso un confronto serrato con altre dottrine. Perché «nessuno abbandona una credenza per aderire a un’altra senza passare per una condizione di dubbio». Come osserva il grande Franz Rosenthal, mentre «per l’opinione comune dubitare su Dio era necessariamente e semplicemente sinonimo di miscredenza», «va detto a gloria della Mu‘tazila che tra le sue fila esistettero convinti campioni del dubbio», per i quali esso «mostrava la via per una comprensione fondata dei dati scientifici, come pure dei fenomeni religiosi che costituivano la loro prima preoccupazione». Naturalmente un tale atteggiamento non era esente dai pericoli del razionalismo, fatto che, unito a considerazioni politiche, attirò sulla scuola una crescente ostilità, dopo l’iniziale favore da parte dei califfi. Malgrado questi limiti, «la morte dei mu‘taziliti – scrive Ahmad Amin – è una delle più grandi sciagure che abbiano colpito i musulmani».
Quel dubbio che al-Jâhiz descrive con la leggerezza un po’ blasée dell’intellettuale di successo diventa quasi tre secoli dopo angosciosa esperienza esistenziale nella vicenda di al-Ghazâlî (1058-1111), il grande rinnovatore del sunnismo. Opera per alcuni aspetti accostata alle Confessioni agostiniane, la Salvezza dalla Perdizione racconta, probabilmente operando una selezione e schematizzazione dei dati biografici, un tormentato percorso di ricerca. Al-Ghazâlî vi descrive due crisi e due conversioni, piuttosto intellettuale la prima, decisamente morale la seconda. Rifiutata la prova d’autorità, al-Ghazâlî cade vittima di uno scetticismo da cui guarisce non tramite una prova razionale, ma grazie all’irrompere di una luce divina. Ma questo è solo l’inizio del cammino alla conquista di una certezza intellettuale ed esistenziale che costituisce, come ha dimostrato Farid Jabre, il principale motore del pensiero ghazaliano. Tale ricerca lo porterà a misurarsi con teologi, filosofi e soprattutto con gli adepti dello sciismo esoterico. Mentre però per questi ultimi la certezza viene dalla sottomissione all’insegnamento dell’imam, Volto visibile di quanto in Dio è accessibile all’uomo, per al-Ghazâlî l’unico imam è Muhammad e le vie mistiche che da lui originano. Il sunnismo si ristruttura così attorno al tema della certezza, per meglio resistere alla sfida dell’esoterismo sciita, e concede diritto di cittadinanza a un sufismo principalmente morale. E tuttavia dice qualcosa anche al presente il fatto che questa nuova sintesi sia stata raggiunta passando attraverso il dubbio: dubbio non «delle credenze, ma piuttosto dei motivi di credibilità che le giustificano agli occhi della ragione».
Ma nella fede a cui approda al-Ghazâlî, quanto vi è di simile e quanto di diverso rispetto alla corrispondente nozione cristiana? A questa domanda risponde in alcune pagine magistrali l’islamologo Louis Gardet. Frère Marie-André, questo il suo nome in religione, dopo una gioventù inquieta e misteriosa si converte al cattolicesimo e nel 1933 entra nel primo gruppo dei Piccoli Fratelli di Gesù. Discepolo di Maritain, che lo ha accompagnato nel suo itinerario spirituale, si dedica allo studio del pensiero religioso islamico pubblicando più di 20 libri, alcuni in coppia con il domenicano Georges Anawati. In Dieu et le destinée de l’homme (1967) affronta cinque tra i principali problemi della teologia musulmana sunnita, ponendoli in parallelo con l’elaborazione cristiana in materia. Significativamente per Gardet, che ha in mente proprio al-Ghazâlî, la fede nell’Islam «è adesione a una testimonianza per l’evidenza intrinseca di questa stessa testimonianza».
La riforma che verrà in Medio Oriente (perché venire deve certamente) sarà insieme politica e religiosa, forse prima politica che religiosa. Ma nell’illustrare il crocevia a cui il mondo islamico sosta, indeciso, da più di due secoli, sembrava importante non tralasciare, accanto alle considerazioni politiche, sociali ed economiche, un affondo sul nucleo indivisibile della fede islamica e sulle modalità con cui è vissuto.
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