È una canzone del 1968, ma è come se fosse inedita. Trae spunto dalla guerra dei sei giorni, ma non ha perso d’attualità. Una perla della diva libanese riscoperta grazie alla tenacia dei suoi appassionati e di un ingegnere del suono
Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:10:51
Fayrouz, al secolo Nouhad Haddad. Un’esile signora libanese, ora ottantenne, che ha cambiato per sempre il volto della musica araba. Silenziosa, discreta e riservata: queste le principali caratteristiche con cui viene ancora oggi descritta dai tanti media che celebrano i suoi successi. Una carriera prolifica, e una vita privata lontana dai riflettori. Un’aura paragonabile forse a quella di una delle più grandi cantanti italiane: potremmo infatti dire – per una volta rovesciando il paragone (cantante arabo ≈ cantante straniero) – che Mina è la Fayrouz italiana.
Non intendo qui riassumere la straordinaria carriera personale e artistica di una delle voci arabe più amate al mondo, l’icona musicale del Libano e l’artista della regione con più vendite di tutti i tempi. Sono numerosi gli articoli, le tesi, i documentari, gli studi, le conferenze, i libri e i capitoli di libri che lo fanno già adeguatamente. Piuttosto, con il “classico” di oggi, esploriamo un aspetto meno noto della sua eredità.
Il repertorio di Fayrouz include molti brani dedicati ai Paesi arabi e alle loro capitali. Sebbene abbia celebrato il suo Libano in molte canzoni patriottiche, la Siria e la Palestina fanno la parte del leone nei suoi tributi. Decine (se non centinaia) di questi brani sono andati persi e non sono mai stati pubblicati dopo la loro iniziale trasmissione radiofonica o dopo la loro prima (e spesso ultima) esibizione dal vivo.
In effetti, la carriera di Fayrouz è un perfetto esempio del disperato bisogno di avviare, nel mondo arabo, un’opera di archiviazione istituzionale: se non fosse per la solerzia di ricercatori e collezionisti indipendenti, buona parte di questi tesori musicali nascosti sarebbe già scomparsa per sempre.
Il brano di oggi è emblematico. È stato inizialmente mandato in rete da uno dei tanti forum (ora chiuso) gestiti dagli appassionati di Fayrouz. In realtà, la canzone risale al 1968: sulla scia della cosiddetta guerra dei sei giorni del 1967 (meglio nota agli arabi come al-Naksa, “la ricaduta”) molti palestinesi furono resi profughi per una seconda volta. Fayrouz e i fratelli Rahbani (i suoi sodali musicali di una vita) fecero luce su questa tragedia con un sarcasmo amaro. Sāfarat al-qadiyya (“La questione si è messa in viaggio”) è una dura critica nei confronti della comunità internazionale (e in particolare delle Nazioni Unite), della sua inutilità e del suo cinismo nel trattare il problema palestinese e i suoi profughi. Benché il testo non menzioni esplicitamente né la Palestina né le Nazioni Unite, è impossibile non cogliere gli eufemismi e i riferimenti impliciti.
Pare che la registrazione dal vivo del brano sia stata realizzata nel settembre 1968, in occasione dell’apparizione annuale di Fayrouz a Damasco. Ogni anno infatti la cantante preparava un nuovo musical o operetta, che veniva proposto durante l’inverno a Beirut al Piccadilly Theatre di Hamra, e in estate alla Fiera Internazionale di Damasco. Qui i musical si aprivano abitualmente con un nuovo tributo alla Siria, ma quell’anno l’omaggio andò a coloro che, pochi mesi prima, avevano perso le loro case e si erano visti costretti a vivere da rifugiati in tende di fortuna.
L’aspetto più inquietante di questa canzone è la sua attualità: sfollamenti continui, esili permanenti e una comunità internazionale che assiste in silenzio, come si vede ancora oggi nella violenta espropriazione dei palestinesi di Sheikh Jarrah e Silwan, quartieri di Gerusalemme occupati da Israele.
Per un’ironia della sorte, 13 anni dopo, nel novembre 1981, Fayrouz fu invitata alla sede delle Nazioni Unite a New York a celebrare con un breve concerto il centenario del famoso scrittore libanese Khalil Gibran, presso la General Assembly Lobby, in una delle sue più acclamate esibizioni fuori dal mondo arabo. La cantante aprì l’evento con alcuni dei passi più belli del libro Il Profeta, messi in musica da suo figlio, il genio musicale Ziad Rahbani, e adattati dal poeta libanese Joseph Harb.
L’episodio settimanale di T-arab, un tributo alle popolazioni che in tutto il mondo vengono sfollate ed espropriate con la violenza, non sarebbe stato possibile senza il duro lavoro dei “nerd” di Fayrouz e senza il compianto Farid Abulkheir, un grande ingegnere libanese del suono che ha preservato l’eredità della “nostra ambasciatrice presso le stelle”.
Fayrouz (fayrūz) significa “turchese” in arabo. La canzone di oggi, proprio come la sua interprete, è una gemma: preziosa, senza tempo e dolorosamente familiare.
Buon tarab!
Canzone: Sāfarat al-qadiyya
Artista: Fayrouz
Anno: 1968
Nazionalità: Libanese
Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.
Qui tutte le precedenti puntate.
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La questione si è messa in viaggio[1]
La questione si è messa in viaggio
E ha esposto il suo reclamo
Nel vestibolo dei tribunali internazionali[2]
L’assemblea ha dunque dedicato una seduta
a indagare la questione della questione
Sono arrivati delegati dalle altre nazioni
Dagli Stati del nord e da quelli del sud
dagli Stati piccoli
e dagli Stati grandi
Si sono riuniti insieme[3]
in una seduta ufficiale
L’assemblea ha dunque dedicato una seduta
a indagare la questione della questione
Il Segretario generale ha fatto un discorso
Ha parlato di Pace
I membri hanno discusso l’argomento
Si è proposto il progetto
La giustezza della questione[4]
La libertà dei popoli
La dignità dell’essere umano
La carta dei diritti
Il cessate il fuoco
La fine del conflitto
Il voto!
Le raccomandazioni!
La risoluzione definitiva dei problemi in sospeso!
Il consenso!
Fonti affidabili hanno affermato
secondo informatori ben informati
La commissione ha studiato
La commissione ha ponderato
La commissione ha deciso
L’invio di un inviato
L’inviato ha dichiarato
che è un inviato
secondo le fonti
e che una qualche soluzione
è in via di soluzione
E quando è arrivata la notte
i giudici erano stanchi
e quando è arrivata la notte
i giudici erano stanchi
La lunga discussione li aveva stancati
perciò hanno chiuso i faldoni
e sono andati a dormire
sono andati a dormire[5]
Fuori
c’era un suono d’inverno e di tenebre[6]
i miseri cercavano pace[7]
mentre dormiva, la fame, nei rifugi degli sfollati
e il vento continuava a sradicare le tende.
سافرت القضيه
سافرت القضية
تَعرضُ شكواها
في رُدهة المحاكمِ الدولية
وكانت الجمعية
قد خصصت الجلسة
للبحث في قضيّة القضيّة
وجاءَ مندوبون
عَن سائر الأُمم
جاؤوا من الأُمم
من دول الشمال والجنوب
والدولِ الصّغيرة
والدّولِ الكبيرة
واجتمع الجميع
في جلسةٍ رسمية
وكانت الجمعية
قد خصصت الجلسة
للبحث في قضية القضية
وخطبَ الأمينُ العام
حكى عن السلام
وبحثَ الأعضاءُ الموضوع
وطُرحَ المشروع
عدالةُ القضية
حريةُ الشُعوب
كرامةُ الإنسان
وشُرعَةُ الحقوق
وَقفُ إطلاقِ النّار
إنهاءِ النّزاع
التّصويت
التّوصيات
البَتُّ في المشاكلِ المُعلقة
الإجمـــــاع
وصرّحَت مصادِرُ موثوقة
نقلاً عن المراجعِ المُطّلعة
ودرست الهيئة
وارتأت الهيئة
وقررت الهيئة
إرسالَ مبعوث
وصرّحَ المبعوث
بأنهُ مبعوث
من قِبَلِ المصادر
وأنّ حلاًّ مـــا
في طريقِ الحلّ
وحين جاء الليــــل
كانَ القُضــاةُ تَعِبــــوا
وحين جاء الليــــل
كانَ القُضــاةُ تَعِبــــوا
أتعبَهُم طــــولُ النّقاش
فأغلقوا الــدّفاتر وذهبـــوا للنـوم
وذهبـــوا للنـوم
وكان في الخــارج
صوتُ شــتاءٍ وظلام
وبائســونَ يبحثونَ عن ســلام
والجوعُ في ملاجئ المشَرّدين ينام
وكانتِ الرّياحُ ما تزال
تقتَلعُ الخيــــام
[1] Qadiyya è un termine polisemico che può essere tradotto con “azione legale”, “caso o procedimento giudiziario”, “controversia”, “problema”, “faccenda”. Come scopriremo in fondo, si tratta della “questione” per eccellenza, ossia quella palestinese, benché la canzone possa essere interpretata anche più ampiamente come un “caso” su cui le autorità internazionali devono esprimersi. Sāfarat significa letteralmente “si è messa in viaggio”, “è partita”, “ha viaggiato”. Qui si intende che la “questione” è “aperta” e non può più essere ignorata. È interessante notare che la “questione” è il soggetto dell’azione. Essa gode dunque di vita propria, agisce in prima persona, come se si fosse resa nota “da sé”, reclamando il suo spazio, senza il concorso di altre persone (le quali anzi paiono passive o disattente). Per questo motivo, si è preferito tradurre con “si è messa in viaggio”.
[2] Si noti l’utilizzo di un arabo standard moderno e formale, a tratti giuridico e persino “burocratico”. È chiaro l’intento di scimmiottare lo stile dei documenti dell’ONU, di cooperazione internazionale, delle comunicazioni tra ambasciate o dei resoconti giudiziari.
[3] Si noti la ridondanza della frase: ijtama‘ al-jami‘.
[4] Lett. la “giustizia”, la “correttezza” della questione. Si noti l’enumerazione di frasi fatte e parole vuote di questo progetto, in un climax che porta al consenso sul nulla.
[5] Si noti il cambio ritmico non tanto musicale quanto testuale, ottenuto con la ripetizione di alcune frasi che cullano l’ascoltatore verso l’inattività della notte dei giudici.
[6] Shitā’ può indicare sia l’inverno che la pioggia.
[7] Si noti qui l’efficace cambio di tempo verbale, oltre che il chiaro avverbio di luogo “fuori”, a indicare una realtà completamente “altra”.