Muhammad ‘Abduh interpreta la storia dell'Islam e dell'Occidente

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Ultimo aggiornamento: 12/07/2024 12:43:17

Leggi l'introduzione a questo classico: All’origine dell’ambiguità del riformismo

 

L’Occidente è dominante? Sì, ma perché ha attinto all’Islam. I musulmani «hanno chiuso davanti a sé le porte della scienza»? Sì, ma perché hanno abbandonato il vero Islam. È questa l’interpretazione della storia del fondatore del riformismo moderno, che gode ancora oggi di un’enorme fortuna.

 

Una facile obiezione

Più d’uno potrebbe osservare: se l’Islam è venuto unicamente per chiamare a concordia i discordi come si legge nel suo Libro («per vero quelli che han ridotto in frammenti la loro religione formando sette diverse, tu non hai nulla a che fare con loro», 6,159), come mai la religione islamica è lacerata da varie tendenze e divisa dalle scuole giuridiche in varie comunità?

Se l’Islam predica il monoteismo, come mai i musulmani hanno moltiplicato i loro signori? Se ha ordinato al servo di volgere il viso verso il Creatore del cielo e della terra, come mai le masse musulmane invocano chi neppure a se stesso può giovare o nuocere, chi, prescindendo da Dio, nulla può in bene o in male, e quasi considerano questo comportamento come un articolo di fede? Se l’Islam è stata la prima religione a fare appello alla ragione chiamandola a meditare sull’universo, lasciandole libero corso e la più ampia possibilità di riflessione all’unica condizione di conservare il vincolo della fede, come mai i musulmani si sono accontentati di così poco e molti di loro hanno chiuso davanti a sé le porte della scienza, pensando di soddisfare Dio con l’ignoranza e trascurando la riflessione sulle opere che Egli ha sapientemente creato?

Se l’Islam è stata la prima religione a fare appello alla ragione chiamandola a meditare sull’universo, come mai i musulmani si sono accontentati di così poco e molti di loro hanno chiuso davanti a sé le porte della scienza

Come mai dopo essere stati messaggeri dell’amore, oggi ne sentono il profumo senza riuscire a trovarlo? Come mai sono diventati esempio di pigrizia e indolenza, loro che erano stati modello di serietà e lavoro? Che cosa hanno fatto i musulmani alla loro religione, pur avendo il Libro di Dio quale bilancia d’equità per distinguere tra le loro innovazioni e le ingiunzioni trascurate di quello?

Se l’Islam è davvero così vicino alle menti e ai cuori come hai spiegato, come mai oggi la gente lo considera irraggiungibile? Se l’Islam chiama al discernimento, come mai i lettori coranici recitano il Libro come fosse soltanto una bella canzone e gli esperti di religione in gran parte non lo conoscono che per sentito dire? Se l’Islam ha concesso alla ragione e alla volontà l’onore dell’indipendenza, come mai costoro le hanno ridotte in catene, e che catene? Se ha stabilito le basi della giustizia, come mai la maggior parte dei loro governanti sono un esempio d’ingiustizia? Se la religione desidera impazientemente la libertà per gli schiavi, come mai hanno trascorso lunghi secoli a rendere schiavi i liberi? Se l’Islam conta tra i suoi pilastri il rispetto dei patti, la sincerità e la fedeltà, come mai tra i musulmani abbondano slealtà, menzogna, falsità e maldicenza? Se l’Islam vieta la frode e l’inganno e condanna l’imbroglio arrivando a escludere dalla comunità musulmana chi pratica queste cose[1], come mai inventano astuzie addirittura ai danni di Dio, della Sua legge e dei Suoi santi? Se ha interdetto le turpitudini, visibili e nascoste, che cos’è quello che vediamo tra loro in segreto e apertamente, nell’anima e nel corpo?

Se ha dichiarato esplicitamente che la religione consiste nel domandare consiglio a Dio, al Suo inviato e ai credenti, volgo e classe elevata,[2] se ha affermato che «c’è la rovina per l’uomo! Eccetto per coloro che credono ed operano il bene, e si consigliano a vicenda la verità, e a vicenda si consigliano la pazienza!» (103, 2-3), e che i credenti, se non ordinano il bene e non proibiscono il male saranno governati dai malvagi mentre i migliori resteranno inascoltati[3], se ha insistito su questo punto come su nessun altro, come mai i credenti non si scambiano i pareri, non si consigliano a vicenda la verità e non si sostengono nella pazienza, al punto che non s’indirizzano suggerimenti né in bene né in male? Al contrario, ognuno ignora il suo compagno e gli lascia mano libera, di modo che vivono soli e agiscono singolarmente senza che nessuno s’interessi delle opere del fratello, come se questo non lo riguardasse, come se non li unisse un vincolo né li congiungesse un legame?

 

Come mai i figli uccidono i padri, come mai le figlie disubbidiscono alle madri? Dove sono finiti i vincoli della misericordia? Dove il sentimento di compassione verso i parenti? Dove la giustizia che ha prescritto ai ricchi di dare una quota dei beni ai poveri, mentre ora sottraggono ai miseri anche quel poco che è rimasto loro?

Un tizzone di luce proveniente dall’Islam avrebbe illuminato l’Occidente, come tu sostieni, ma la sua luce maggiore e il suo sole più grande sarebbero in Oriente? Ma se gli orientali sono nelle tenebre più complete!

Un tizzone di luce proveniente dall’Islam avrebbe illuminato l’Occidente, come tu sostieni, ma la sua luce maggiore e il suo sole più grande sarebbero in Oriente? Ma se gli orientali sono nelle tenebre più complete! È mai possibile questo razionalmente, si è mai sentita una cosa del genere storicamente? Non vedi come quei musulmani che hanno gustato un po’ di scienza sono generalmente i primi a immaginare che i dogmi islamici siano favole e le sue norme e precetti ciarlatanerie, come provano gusto a imitare quei cosiddetti “liberi pensatori” e “arditi speculatori” che si fanno beffe della religione? E non vedi come quelli che hanno ristretto le loro preoccupazioni a sfogliare i libri di religione, difensori autoproclamatisi delle sue norme e custodi delle sue leggi, fuggono invece le scienze speculative e le disprezzano, pensando che dedicarsi ad esse sia vano in questo mondo e nell’altro, tanto che molti di loro si vantano d’ignorarle come se, così facendo, avessero fuggito un male o evitato un’infamia? Chi tra i musulmani sosta alle porte della scienza percepisce la sua religione come un vestito logoro che è vergognoso esibire in pubblico, mentre chi s’illude di capire qualcosa di religione e pensa di tenersi stretto ai suoi dogmi considera la ragione come una pazzia e la scienza come un’illusione: in tutto questo non vi è forse una prova davanti a Dio, ai Suoi angeli e alla gente tutta del fatto che non vi è accordo tra scienza e ragione da un lato e questa religione dall’altro?

 

Risposta

Questa descrizione della situazione in cui versano i musulmani oggi, e anzi da diverse generazioni, non è probabilmente esagerata e molto altro vi si potrebbe aggiungere. Lo shaykh al-Ghazâlî (che Dio abbia misericordia di lui) e Ibn al-Hâjj[4] e altri uomini di religione hanno scritto interi volumi descrivendo la condizione dei musulmani del loro tempo, volgo e classe elevata. Ma per quanto riguarda la natura specifica della religione islamica ho portato degli argomenti per ammettere i quali basta soltanto leggere il Corano, facendo attenzione a comprenderne il significato e riconducendolo alla comprensione di coloro tra i quali fu rivelato e dai quali fu applicato. E per ammettere gli effetti positivi dell’Islam [sui popoli che lo hanno abbracciato] basta leggere un po’ di storia scritta dagli studiosi musulmani e dagli autori onesti delle altre nazioni. Quello è l’Islam. Abbiamo poi premesso che la religione è guida e ragione; chi dunque se ne sa servire e si attiene alle disposizioni ricevute ottiene la felicità promessa da Dio ai suoi seguaci e sperimenta come attraverso quella medicina venga curata la società umana fino a conseguire un successo così evidente che nessun cieco può negare o sordo ignorare. E tutta l’obiezione che ho riportato si riduce a questo: il medico ha dato al malato una medicina che lo ha fatto stare meglio, ma quello stesso medico è stato colpito dalla malattia che stava curando. Soffre le pene dell’inferno, ma la medicina ce l’avrebbe in casa, solo che non vuole prenderla. E molti di quelli che vanno a trovarlo o che, dopo essere stati guariti da lui, si rallegrano della sventura che gli è toccata prendono quella medicina e si ristabiliscono dalla malattia, mentre il medico ormai dispera della vita e attende la morte o un miracolo[5].

Oggi dobbiamo parlare della religione musulmana e la sua situazione è quella che abbiamo descritto; quanto ai musulmani, con le loro stesse vite sono diventati una prova vivente contro la loro religione, ma non è di loro che dobbiamo parlare adesso. Ne tratteremo in un altro libro, se Dio lo vorrà.

 

***

 

La diffusione dell’Islam

La sapienza divina risplende nella vicenda di questa religione, fonte di vita sgorgata nei deserti d’Arabia, il Paese tra tutti più lontano dalla civiltà. Come un fiume in piena, essa raggiunse tutta la penisola araba, la unì e la ridestò a una vita nazionale e religiosa[6]. L’onda della sua marea sommerse regni che gareggiavano con gli abitanti del cielo in altezza e superavano ogni altra gente della terra in civiltà; il suo fragore scosse anime ormai pietrificate e liberò il segreto della vita che era in esse rinchiuso. Obietteranno: “Questo non è avvenuto senza una conquista militare”. Rispondiamo: “Tale è il costume di Dio nella creazione: la lotta tra il vero e il falso, la retta via e il traviamento, durerà finché Dio pronunci il Suo giudizio. Se Dio porta la primavera in una terra sterile per ridarle vita ed estinguerne la sete portandola a fioritura, ciò perde forse di valore per il fatto di rimuovere un ostacolo lungo il cammino o abbattere una casa dalle alte colonne?”.

La sapienza divina risplende nella vicenda di questa religione, fonte di vita sgorgata nei deserti d’Arabia, il Paese tra tutti più lontano dalla civiltà.

L’Islam s’irradiò sulle terre in cui giunsero i suoi seguaci e fu sufficiente che gli abitanti di questi Paesi sentissero la Parola di Dio e la comprendessero perché abbracciassero la nuova religione. Poi i musulmani si contrapposero gli uni agli altri per un periodo e a volte deviarono dal sentiero della religione. Allora l’Islam s’arrestò, come un comandante che si deve fermare per il tradimento dei suoi seguaci, e fu sul punto di retrocedere. Ma «Iddio è Colui che la sua meta sempre raggiunge» (65,3): sul Paese dei musulmani calarono i mongoli guidati da Gengis Khan[7] e commisero ogni sorta di barbarie. Erano pagani, venuti unicamente per sopraffare, rubare e depredare. Eppure i loro discendenti adottarono ben presto l’Islam come religione, la portarono alle loro tribù ed essa si diffuse tra loro come tra altri che, arrivati [nei territori islamici] per portarvi la rovina, ne ripartivano con la felicità.

 

L’Occidente condusse contro l’Oriente una campagna a cui presero parte tutti i re e tutti i popoli. Il conflitto tra occidentali e orientali durò più di duecento anni, durante i quali gli occidentali diedero prova di uno zelo e di un ardore per la religione quale mai avevano conosciuto prima. Raccolsero tutte le truppe che potevano e misero in campo ogni forza di cui disponevano. Marciarono contro il Paese dei musulmani animati da un resto dell’[autentico] spirito della religione e conquistarono molto territorio islamico, ma quelle guerre cruente si conclusero con la loro espulsione.

Perché erano venuti? E con che cosa fecero ritorno? I capi religiosi in Occidente erano riusciti a sollevare i popoli perché sterminassero quanti abitanti dell’Oriente avessero voluto e s’impadronissero di quei territori islamici a cui ritenevano d’avere diritto. Venne una gran folla di re, principi, persone ricche e altolocate, insieme a milioni di persone, a quanto si stima, delle classi inferiori e molti fra questi si stabilirono nelle terre dei musulmani. A volte il fuoco dell’ira si placava in loro e le menti tornavano alla calma; allora osservavano come vivevano i vicini, captavano qualcosa delle idee di quanti la pensavano diversamente da loro e restavano colpiti da quanto vedevano e udivano. Gli apparve chiaro che le esagerazioni che avevano confuso le menti e accresciuto le sofferenze non reggevano il confronto con la verità. Trovarono poi una libertà nella religione, una scienza, una legge e delle arti accompagnate da perfetta certezza e appresero che la libertà di pensiero e lo sviluppo delle scienze sono strumenti a servizio della fede e non suoi nemici. Raccolto di questo modo di vivere quanto Dio volle, tornarono ai loro Paesi lieti del loro prezioso bottino. A questo s’aggiungeva il frutto degli incontri con i sapienti e i letterati nel corso dei viaggi che li conducevano dai loro regni alla volta della Spagna musulmana e da cui tornavano portando con sé la dolcezza delle loro acquisizioni per farle gustare ai loro popoli. Da quel momento le idee si rimisero in circolo e il desiderio della scienza andò sempre crescendo tra gli occidentali. Sorse l’anelito di spezzare le catene della tradizione e maturò la risoluzione di limitare l’autorità dei capi religiosi, frenandoli in quei comportamenti che violavano i precetti della religione [cristiana] e ne alteravano il significato. Poco dopo apparve una setta che invitava alla riforma e a tornare alla religione nella sua semplicità[8]. Nella sua riforma essa giunse a posizioni che poco si discostano dall’Islam, anzi alcune sette riformate assunsero posizioni dogmatiche che sono in accordo con il dogma islamico eccetto che per il riconoscimento della missione profetica di Muhammad (Dio lo benedica e gli dia eterna salute), tanto che la loro posizione coincide con la religione di Muhammad, differendo unicamente nel nome ma non nella sostanza, nel modo di eseguire il culto ma nulla più.

 

Poi le nazioni europee cominciarono a liberarsi dalla prigionia e a prosperare finché la loro condizione mondana arrivò a conformarsi ai precetti dell’Islam, trascurando però il loro mentore e ignorando colui che le aveva guidate fin lì. In tal modo furono gettate le fondamenta della civiltà presente, di cui le ultime generazioni vanno così fiere nel confronto con quelle dei tempi andati.

Molti studiosi occidentali hanno dato all’Islam il posto che gli spetta e hanno riconosciuto che esso è stato il loro più grande maestro nel raggiungere la condizione in cui si trovano oggi. E «a Dio tutte le cose ritornano al fine»

Essa è una rugiada originata da un temporale caduto su terra fertile: la terra si scosse e sbocciarono fiori e piante di ogni genere buono. Venne poi altra gente per sterminare, ne trasse beneficio e tornò per beneficare. I capi pensarono che sollevare i loro popoli fosse un modo per dar sfogo al rancore e rafforzare il potere, ma essi furono svelati per quello che erano e il loro potere crollò. E ciò che abbiamo spiegato riguardo all’Islam (e che chiunque vi rifletta può ben comprendere) lo hanno scoperto anche molti studiosi occidentali. Essi hanno dato all’Islam il posto che gli spetta e hanno riconosciuto che esso è stato il loro più grande maestro nel raggiungere la condizione in cui si trovano oggi. E «a Dio tutte le cose ritornano al fine» (22,41).

(Muhammad ‘Abduh, Risâlat at-tawhîd [Epistola sull’unicità divina], a cura di Mahmûd Abû Rayyah, Dâr al-Ma‘ârif, Cairo 20036, pp. 169-173 [primo brano] e 165-168 [secondo brano], traduzione di Martino Diez)

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

[1] «Chi froda non è dei miei» avrebbe detto Muhammad (cfr. Muslim, Sahîh, îmân, bâb 43, n. 284).Questa nota e le seguenti sono del traduttore.
[2] «La religione – così un celebre detto di Muhammad – è domandare consiglio». «A chi?» «A Dio, al Suo libro, ai Suoi angeli, agli imâm dei musulmani e ai credenti comuni» (cfr. Muslim, Sahîh, îmân, bâb 23, n. 196).
[3] Si tratta del testo di un celebre hadîth riportato dal tradizionista Ibn Abî d-Dunyâ (IX secolo) nel suo libro Ordinare il bene e proibire il male. Il testo esatto del detto, attribuito a Muhammad, è il seguente: «Ordinate il bene e proibite il male, altrimenti Dio vi metterà nelle mani dei malvagi tra di voi che vi infliggeranno le peggiori pene, mentre i migliori resteranno inascoltati. Ordinate il bene e proibite il male, altrimenti Dio vi manderà chi non avrà pietà dei piccoli né rispetto dei grandi» (n. 8, sull’autorità di Ibn ‘Umar).
[4] Si tratta probabilmente di Ibn al-Hâjj al-‘Abdarî (XIV secolo), giurisperita malikita originario di Fez, autore di un trattato di diritto molto popolare (al-madkhal, “l’introduzione”), ispirato in parte all’opera di al-Ghazâlî e critico verso gli usi del suo tempo.
[5] Lett. “un mutamento del modo abituale (sunna) con cui Dio guarisce le persone che soffrono della sua stessa malattia”. C’è qui un riferimento implicito a un versetto coranico tra i più citati dai riformisti della fine del XIX secolo, invocato per scuotere i musulmani dalla rassegnazione: «Iddio non muta mai la Sua grazia ad un popolo, avanti ch’essi non mutino quel che hanno in cuore» (13,11).
[6] Lett. “una vita popolare comunitaria”. ‘Abduh, uno dei primi pensatori egiziani a introdurre il concetto di patria, scrive in un momento in cui la lingua araba è ancora alla ricerca delle parole che possano esprimere le idee moderne.
[7] Dalla nativa Mongolia conquistò la Cina, l’Asia Centrale e la Persia, dando vita, seppure brevemente, al più grande impero terrestre della storia. Morì nel 1227.
[8] Il riferimento è alla Riforma protestante.